La storia di Rut e la affidabilità dello straniero


fontanella

Nella serata di giovedì scorso ho parlato alla Abbazia di S. Egidio, a Sotto il Monte, nel ciclo “Molte fedi sotto lo stesso cielo”. Riprendo qui Prologo ed Epilogo della mia meditazione sul libro di Rut.

 

Fontanella di Sotto il Monte – 26 novembre 2015 – Molte fedi sotto lo stesso cielo

RUT LA STRANIERA

La storia di RUT e il “nascere di nuovo”

Ringrazio tutti per questo invito e mi accingo a meditare con voi sulla storia di Rut. Farò un itinerario attraverso la vicenda sorprendente di questo libro brevissimo, densissimo e dolcissimo. Ma anche arduo, arcaico, misterioso. Indico subito la struttura del mio percorso, che è in tre momenti, più una breve Epilogo. Il primo momento, introduttivo, ci conduce in modo complessivo all’interno del significato del libro e costituisce un Prologo. Il secondo momento passa in rassegna i 4 capitoli del libro biblico, trattandoli come una sorta di “sinfonia in 4 movimenti”. Infine il terzo movimento, che è anche conclusivo, passa in rassegna una serie di “temi”, nei quali il “nascere di nuovo” assume forme svariate e sorprendenti, implicate in un mondo tanto diverso dal nostro, ma dal quale possono scaturire istanze ed evidenze di cui abbiamo ancora bisogno e delle quali siamo come affamati ed assetati.

1. Prologo: Rut senza diritti, mostra a Israele la verità della legge

Sarra, Rebecca, Iudit e colei,

che fu bisava al Cantor che, per doglia,

del fallo disse “Miserere mei”

Come risuonano bene, questi versi di Dante, in questo luogo silenzioso, dove Padre Turoldo ha ritrovato, con vita austera e potenza poetica, quei toni e quegli accenti che furon danteschi! E quanto è bello ritrovarsi qui, non lontano dal luogo dove egli posa per sempre il suo cuore mai stanco, nelle stanze tante volte da lui abitate e animate, che hanno risuonato dei suoi toni e dei suoi accenti, per riflettere sul “nascer di nuovo”, alla scuola del libro in cui Rut, la straniera, ammaestra Israele su che cosa è fedeltà, pazienza, generosità.

Nel lampo della immaginazione dantesca, Rut chiude la sequenza di Sara, Rebecca e Giuditta. Una donna “gentile” – non ebrea, straniera – diventa protagonista di una vicenda di “riscatto”, di “redenzione”. Ma Rut non è semplicemente una “straniera”, è una “moabita”. E dire moabita significa squalificare gravemente la stessa identità della straniera: come dimenticare che i moabiti sono, secondo Genesi e Numeri, “frutto di incesto e principio di idolatria”? Che cosa potremmo aspettarci, dunque, da Rut? In Rut la pagina sacra propone una sorprendente rilettura “universalista” e “femminile” della salvezza. E Dante sottolinea la “genealogia” che porta da Rut, attraverso Davide, a Gesù. Ma Dante propone, in realtà, una duplice sequenza: una esplicita successione tra donne, che fa capo a Rut e una implicita successione tra uomini, che fa capo a Gesù.

Di Gesù potremo dire che la “pietra scartata è diventata testata s’angolo”. Ma anche di Rut, analogamente, possiamo affermare il riscatto, la risurrezione. Nella storia di Rut, infatti, la predilezione per il povero, per l’ultimo, per lo straniero, per la periferia più disastrata e più accidentata si fa libro, canto, poema, speranza. Dio preferisce “ciò che nel mondo è debole” e per questo Rut ha trovato grazia ai suoi occhi!

Come in una sinfonia in 4 movimenti, i 4 capitoli di Rut ci introducono in tanti “miracoli”, in un crescendo irresistibile e quasi romanzesco dalla disgrazia alla grazia, dai funerali al matrimonio, dalla perdita di speranza alla nascita del bimbo Obed, dalla tristezza alla gioia. I 4 movimenti, con estrema delicatezza, sono “metafora” di non abbandono, di sollecitudine silenziosa, di cura, di predilezione, di integrazione, di accompagnamento, di grazia. Le condizioni della “rinascita” non sono solo “grazie a Rut”, ma sono “per Israele”, che può far tesoro di questa novità. Nasce una cosa nuova, mediante Rut, nella coscienza di Israele, che può imparare da una moabita che cosa significa fedeltà, che cosa significa legame, che cosa significa speranza. E può costatare che Dio procede in modo imprevedibili e benedice proprio nel cuore di una apparente maledizione.

[…]

4. Epilogo

Avevo iniziato con una terzina di Dante, dal XXXII canto del Paradiso. Ora vorrei concludere con un grande scrittore francese, che non ha trascurato di proporre una grande “variazione” sul libro di Rut. Victor Hugo ha trascritto, su un registro sentimentale, la scena del “notturno” che impreziosisce il libro, al capitolo 3. Vorrei concludere questa mia conversazione leggendo alcuni versi degli 88 scritti da Hugo sotto il titolo La legende des siècles (La leggenda dei secoli) nella traduzione che sta in appendice a Erri de Luca, RUT, Feltrinelli.

 

… Colei con cui dormivo da tanto tempo ormai

ha lasciato il mio letto, Signore, per il vostro;

e ancora siamo, io e lei, così forte intrecciati

che lei vive a metà e io a metà son morto.

Da me verrà una gente! Come credere a questo?

Come poter pensare di avere ancora figli?

Da giovani succede di aver mattini in festa;

dalla notte esce il giorno come da una vittoria;

ma come una betulla d’inverno, il vecchio trema;

sono vedovo, solo, scende su me la sera

e io piego la mia vita, mio Dio, verso la tomba all’acqua”.

 

Boàz così parlò nel sogno, nell’incanto

volgendo a Dio i suoi occhi annegati nel sonno;

come il cedro non sa la rosa alla sua base

così lui non sentiva una donna ai suoi piedi.

Durante il sonno, Rut, una donna moabìta

si stese, a seno nudo, ai piedi di Boàz,

sperando chissà quale lampo di raggio ignoto

che porti nel risveglio un’improvvisa luce.

Boàz niente sapeva che lì c’era una donna,

né Rut sapeva cosa volesse Dio da lei.

Un profumo saliva dai ciuffi d’asfodelo;

su Gálgala aleggiava il soffio della notte.

 

Una lettura borghese, intensa, parziale ma struggente. Come Abramo, Rut non sapeva che cosa volesse Dio da lei. Diversamente da Abramo, non ha avuto bisogno di alcuna vocazione. Ma intorno a lei è rinato ciò che era morto. Noemi ha avuto una discendenza. Booz ha ritrovato la gioia. A Israele è reso possibile un re. Nell’ultimo passo del testo, però, Rut si ritrae, scompare, quasi ascende al cielo. In vista di altri è vissuta. In vista di altro è ricordata. Anch’essa, come Maria, riluce per ciò che oltre a sé ha reso possibile. Mostra il figlio, che non è “suo”, ma del popolo santo di Dio. E per questo è segno di azione divina, mistero di grazia, sacramento della “prima radice”, che ci arriva da altrove. Che non è mai “di casa”. Ma che ci dona una casa. 

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