L’abolizione del contante in India: un passo (traballante) verso l’inclusione finanziaria
Lo scorso 8 novembre il governatore indiano Modi ha annunciato che le banconote da 500 e 1000 rupie (circa 7 e 14 euro rispettivamente) perdevano corso legale con effetto immediato. I possessori potevano depositarle in banca o scambiarle – in quantità limitata – per banconote nuove o di piccolo taglio. Le finalità perseguite erano lodevoli: combattere le attività illecite, il riciclaggio, la corruzione e l’evasione fiscale, obiettivi già annunciati in campagna elettorale per i quali il premier poteva contare su un diffuso consenso sociale.
Forse si tratta di un provvedimento sfuggito all’attenzione di molti, ma mi sembra opportuno dedicargli qualche minuto, poiché è ragionevole ritenere che ad esso seguiranno altri, in diversi paesi, anche in Europa come già annunciato da Mario Draghi lo scorso maggio. Si tratta di un passo verso un nuovo contesto – quello di un’economia senza contante – a cui dobbiamo abituarci. La Svezia vuole diventare un’economia senza contante per il 2020, sebbene già oggi solo il 5% delle transazioni avvengano in contanti e alcuni negozi non accettino più questa modalità.
Ma cosa c’è di diverso fra adottare tale misura nei paesi ad economia matura o in un paese emergente come l’India?
Gli obiettivi sono solo parzialmente diversi, ma sono invece molto diversi i canali con cui essi possono essere attuati e di conseguenza gli effetti concreti che ne possono derivare per l’economia e le persone. L’obiettivo di perseguire l’illegalità è senza dubbio quello principale ed è comune ad ogni paese, indipendentemente dal grado di sviluppo economico raggiunto.
In India, in particolare, ad esso si aggiunge la volontà di sostenere l’inclusione finanziaria, e questo è ciò che voglio evidenziare in questa sede. Il paese ha fatto molto negli ultimi anni per favorire la diffusione dei conti bancari fra i suoi abitanti; ne ha fatto una priorità politica. L’inclusione finanziaria infatti è uno strumento essenziale per sostenere il risparmio, ovvero una gestione oculata delle risorse monetarie a disposizione delle famiglie, anche se di entità molto modeste. Il governo indiano ha perciò fatto dell’inclusione finanziaria un vero e proprio obiettivo prioritario. Nell’ambito di un piano molto ambizioso (Pradhan Mantri Jan Dhan Yojana o PMJDY), ha costituito anche banche specializzate – le cosiddette payment banks – che possono accettare depositi, gestire le rimesse (cioè i fondi inviati o provenienti da lavoratori all’estero), ed effettuare pagamenti ma non con carte di credito nè erogare credito (per impedire che queste banche si assumano il rischio di credito).
Tuttavia, dal punto di vista pratico è ragionevole ritenere che le modalità di attuazione possano essere ben diverse in paesi con economie mature e in paesi in via di sviluppo. In India, infatti, l’attuazione del provvedimento ha generato una gran confusione, poiché le banconote nuove non erano sufficienti, le file in banca erano interminabili, gli ATM si sono inceppati, alcune persone sin sono persino suicidate, mentre molti non hanno convertito le banconote per paura di successivi controlli fiscali.
In un paese dove il 90% delle transazioni avviene in contante, il provvedimento di Modi ha avuto effetti pesanti anche sull’attività economica nelle settimane successive: il sistema si è bloccato, con un calo potenziale del PIL che è stimato poter essere dell’1% nell’anno. Per fortuna, tale diminuzione è attesa essere solo temporanea.
Imporre di utilizzare un conto bancario per effettuare i pagamenti favorisce indubbiamente le banche, ma va considerato che esse sono chiamate ad effettuare rilevanti investimenti in tecnologia e in sicurezza. Peraltro, limitare l’uso del contante consente di limitare i rischi di furti, borseggi e rapine, ma è anche vero che la tecnologia non è in grado oggi di garantire pienamente la sicurezza della transazione (basta pensare alle clonazioni delle carte di credito, per fare un esempio).
Non meno rilevante è il fatto che il provvedimento ha messo in evidenza l’importanza della moneta. Ma per noi europei, viste le tensioni sull’euro, le accese discussioni sul mantenerlo o abbandonarlo, questa non è una novità: siamo consapevoli che la moneta è una cosa importante. Tuttavia, se per un verso la complessità della valutazione del cambio (cioè del valore della moneta) rende difficile la comprensione economica, di contro la risposta politica per molti non appare altrettanto chiara. Ma tutti dobbiamo sforzarci di capire meglio cosa esso rappresenta e cosa comporta per non essere in balia di un manipolo di arruffapopoli.