Le difficoltà dei cardinali Pell, Burke e Sarah: assenza di esperienza e difetto di dottrina
Dopo la fine del Sinodo ordinario, nell’ottobre scorso, abbiamo letto una serie di interventi, interviste e dichiarazioni di cardinali nelle quali suonano con particolare forza una serie di “argomenti” che potremmo riassumere in tre punti:
– Il Sinodo ha confermato la dottrina “di sempre” sul matrimonio
– In seguito al Sinodo non ci saranno aperture agli “irregolari” diverse da quelle previste da Familiaris Consortio;
– Le “porte” non potranno essere aperte, perché non possono esistere “porte” in questo campo.
In modi, tempi e toni diversi, questi sono i contenuti che soprattutto tre cardinali (Pell, Burke e Sarah) hanno ripetuto con insistenza e con forza, non senza la “sponda” di altri cardinali (ad es. Ruini, Ouellet, De Paolis…).
Una valutazione spassionata dei loro interventi mostra, accanto a una certa paura, che sembra trapelare dalle loro parole, una duplice grave difficoltà, che compromette il giudizio che esprimono non soltanto sul Sinodo, ma sul rapporto Chiesa-mondo e sulla eredità del Concilio Vaticano II nella Chiesa di 50 anni dopo.
Io vorrei identificare queste “difficoltà” sia sul piano di una assenza di esperienza, sia sul piano di un difetto di dottrina. Provo a spiegarmi.
a) Una assenza di esperienza
La prima difficoltà consiste, essenzialmente, nel parlare di ciò che si conosce solo “genericamente”. Una delle questioni che il Sinodo ha ripreso in modo più efficace, lungo tutto il suo percorso di svolgimento biennale, è stato il bisogno di maturare una prospettiva adeguata di rapporto con il “mondo delle famiglie”, che non può essere ridotto a stereotipi, tanto più se in gioco vi sono complesse problematiche di vita, di abbandoni, di nuovi legami, di generazioni, di educazione, di speranze…Affrontare questo mondo vuol dire anzitutto “farne esperienza” in modo corretto. Nelle parole di Pell, Burke, e Sarah appare con chiarezza una radicale indisponibilità a mettere in discussione un approccio astratto, generico e pregiudizievole al mondo familiare. E questo è il primo lato della loro difficoltà.
b) Un difetto di dottrina
La seconda difficoltà, che consegue dalla prima, ma che ne è anche una causa, è una comprensione inadeguata della “dottrina” sul matrimonio. Se riduciamo la “dottrina cattolica sul matrimonio” a una serie di “obblighi” o di “divieti”, trasformiamo il pane della dottrina in “pietre”. E’ stato il successore di Pietro a ricordarci il rischio di ridurre tutto a “pietre”. Una comprensione dottrinale adeguata opera una accurata mediazione tra “Parola di Dio” e “esperienza”. Nelle parole di Pell, Burke e Sarah sentiamo invece una ostinata riduzione della dottrina alla difesa di una disciplina che storicamente non è più adeguata alle forme di vita di buona parte della esperienza ecclesiale. Per questi cardinali la Chiesa non ha margine di manovra visto che il “peccato è per sempre”, esattamente come e anche più del vincolo. Dietro le loro parole indignate si vede bene il permanere di una comprensione del “peccato” e del “vincolo” che non discende dalla “parola di Dio”, ma da una comprensione metafisica e giuridica obiettivamente superate. E superate già nel 1981 dalle parole di Giovanni Paolo II in Familiaris Consortio, quando diceva che “i divorziati risposati non si devono considerare separati dalla Chiesa”. Questo è stato un passaggio epocale, che richiede alla Chiesa cattolica di oggi una proposta della dottrina del matrimonio capace di tener conto di questa novità. Per farlo occorre uscire da una lettura del “peccato” e del “vincolo” che perpetuerebbe semplicemente la “scomunica ecclesiale” degli irregolari.
Vi è dunque in Pell, Burke e Sarah non solo un difetto di esperienza, ma anche un difetto di dottrina. Con una esperienza limitata delle forme di vita possono accontentarsi di una dottrina vecchia; ma con una formulazione dottrinale vecchia “possono vedere” soltanto una parte della realtà e trascurarne un’altra. Le difficoltà di cui Pell, Burke e Sarah sono vittime chiedono un lavoro coraggioso di riflessione ai teologi. Se Pell, Burke e Sarah avessero letto, solo a titolo di esempio, i lavori di Vesco (che è anche loro confratello vescovo) , Angelini, Schockenhoff, Petrà, Huenermann e di tanti altri teologi che hanno scritto cose di valore negli ultimi due anni sul tema, si sarebbero dotati di strumenti di comprensione più adeguati e potrebbero fare oggi una esperienza più ampia e più vera della vita delle famiglie reali, sia di quelle felici, sia di quelle infelici, sia di quelle classiche, sia di quelle allargate. Senza essere costretti a condannare tutto ciò che non entra nelle loro categorie astratte e anguste.
Credo che la Chiesa tutta debba aiutare questi cardinali a superare le loro difficoltà di esperienza e di dottrina.