Libertà e “desiderio carnale”: il grande equivoco nella epistola di oggi


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In una domenica del tempo ordinario, con una logica in qualche modo autonoma, prende la parola la II lettura, la epistola, svincolata come è dal tema che lega Vangelo, prima lettura e salmo. Proprio per questa natura di “lectio semicontinua” – che procede autonomamente – il testo proclamato nella messa di oggi, 13^ domenica del tempo ordinario, ciclo C, merita un occhio di grande attenzione. Eccone il testo, con alcune sottolineature:

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.

Siamo alla fine della lettera e Paolo riassume la “dottrina sulla libertà” in Cristo. Alcune opposizioni saltano agli occhi:

– libertà -schiavitù

– amore – carne

– servirsi a vicenda – mordersi e divorarsi a vicenda

– Spirito – carne

Dalla opposizione tra libertà e schiavitù si arriva alla opposizione tra amore/Spirito/servizio da una parte e carne/mordersi/divorarsi dall’altra.

La pericope, nella sua integralità, avvalora una lettura del “desiderio della carne” che assume un significato molto diverso da ciò che ci siamo abituati a considerare come “concetto cattolico”. Che cosa vuol dire “lottare contro i desideri carnali” secondo Paolo?  La risposta a questa domanda nasconde un “grande equivoco”. Per cercare di non cadere in questo grave fraintendimento, seguiamo diverse strade.

Tre strade per interpretare

a) Se interpretiamo il testo senza uscire fuori di esso, vediamo bene come il “taglio” della pericope ci offra una lettura del “desiderio della carne” come opposto al “desiderio della Spirito”. L’unico esempio di desiderio della carne è “mordersi e divorarsi”. Potremmo dire che attinge alla esperienza che la tradizione successiva ha espresso con la triade: “superbia, invidia e ira”.

b) Se interpretiamo il testo attingendo a tutto il vocabolario paolino, troviamo “elenchi” di “desideri della carne”, nei quali si inizia spesso da “fornicazione e dissolutezza”. Questo ha certamente contribuito ad una identificazione facile, ma che distorce il senso dell’elenco e il concetto di peccato. Fermarsi agli “inizi” è una tentazione che è economica e accomodante: riduce carne a sesso e così fraintende quasi tutto.

c) Se interpretiamo il testo utilizzando la “storia delle interpretazioni” possiamo identificare un formidabile modello di lettura in Dante Alighieri, con la sua disposizione dei “peccati” nell’Inferno e nel Purgatorio, che, come è noto, rispondono ad un ordine diverso.  Vediamole brevemente entrambe in uno specifico excursus

Dante maestro sul “desiderio della carne”

Si leggono due diverse e magnifiche spiegazioni, sempre indicate da Virgilio a Dante, ma in due contesti diversi:

 a) Inferno Canto XI

Sei versi sono importanti:


Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che ’l ciel non vole,

incontenenzamalizia e la matta
bestialitade
? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta?

Il peccato può essere compreso in queste tre “categorie” che procedono dalla meno alla più grave. Virgilio stesso le interpreta. Possiamo riportarle sullo schema dei “7 peccati capitali”:  
– Superbia invidia e ira (malizia e matta bestialitade, mai del tutto chiarita)
– accidia avarizia gola lussuria (incontinenza)

Si deve notare che nella Commedia la violenza è più grave della incontinenza, ma la frode più grave della violenza.

b) Purgatorio, al canto XVII

 dove Virgilio dice, in altri sei versi:


“Né creator né creatura mai”,
cominciò el, “figliuol, fu sanza amore,
o naturale o d’animo; e tu ’l sai.

Lo naturale è sempre sanza errore,
ma l’altro puote errar per malo obietto
per troppo per poco di vigore”.

Questa rilettura del peccato è pensata in correlazione all’amore. Come opposto della carità (nel sistema della Summa Theologiae di Tommaso è così)

Vi è dunque:

– amore naturale, che non può sbagliare (l’animale è senza peccato)
– amore d’animo, ossia l’amore che comporta una scelta (animale razionale) che ha tre problemi:
amore per il male del prossimo (superbia lo schiaccia, invidia lo guarda male e ira lo assalta)
amore per il bene troppo debole (accidia come malinconia e depressione)
amore per il bene troppo forte (avarizia, gola, lussuria)

Alcune conseguenze teologiche e pastorali

Le tre strade che abbiamo percorso  ci permettono di indentificare una serie di possibili risposte, che riprendo qui in modo schematico:

– La identificazione culturale del “carnale” con il “sessuale” è una versione distorta della tradizione, che la dimentica in modo interessato. Quando Paolo parla di “epithumia sarkos” (desideria carnis) intende la logica umana che altera la relazione con Dio ed entra nella sfera del peccato;

– Una elaborazione del “peccato” – che, in questo caso, può essere sinonimo di carne –  permette di evitare con una certa nettezza ogni immediata identificazione del peccato con l’ambito della sessualità. La sessualità è una delle dimensioni aperte al peccato, ma rispetto ad altre dimensioni dell’umano è quasi “custodita” dalla sua immediatezza carnale e dalla relativa naturalezza.

– Il “desiderio della carne” appare al grado minimo di gravità in ciò che la tradizione ha chiamato “gola” e “lussuria”. Proprio perché più direttamente legate alla “carne” (segnata natulmente da appetito sul piano del cibo e del sesso), questa sfera del peccato è meramente “incontinente”, non esige violenza e frode.

– Il “desiderio della carne” è tanto più grave, quanto più unisce la violenza o la frode alla propria tendenza. Così, in ordine crescente, accidia, avarizia, ira, invidia e superbia sono i “luoghi per eccellenza” del “desiderio della carne”. Potremmo dire, quanto più si allontana dal desiderio animale, tanto maggiore è la gravità.

– Qui, dunque, sta il “grande equivoco”. La opposizione alla libertà dello Spirito non viene anzitutto da quel “desiderio della carne” che scaturisce dalla intemperanza verso il cibo o verso il sesso. Queste sono debolezza del corpo, certo capaci di recare un male alla vita propria o altrui, ma di per sé senza violenza e senza inganno. Diverso è l’impatto che accidia e avarizia recano sulla vita nello Spirito. Ancor più se l’ira, la invidia e la superbia prendono campo. Tanto maggiore è il “desiderio della carne” quanto più “spirituali” e “disincarnati” sono i peccati. Superbia e invidia non sopportano la carne dell’altro, la schiacciano e la squadrano, la annullano e la distruggono.

Una certa ipocrisia cristiana e cattolica si nasconde nella accezione borghese del “desiderio della carne”: se la confessione “de sexto” è arrivata a coprire l’intero campo degli attentati alla “libertà dello spirito”, e se il peggio della vita si crede che siano gli “atti impuri”, allora la parola di Paolo rimane incompresa e il testo della epistola di questa domenica serve solo a confermare i nostri peggiori pregiudizi. Per stare nell’orbita del desiderio dello Spirito, basterebbe evitare il “desiderio della carne” ridotto ad “atto impuro”. Certo, l’amore del prossimo subisce anche una minaccia dalla gola e dalla lussuria. Con la loro potenza, la tavola e il talamo possono rovinare anche i migliori. Guai se lo negassimo. Ma non sono questi i problemi maggiori, né di ieri né di oggi. Non cadere in “schiavitù”, non cedere al “desiderio carnale” non significa anzitutto restare digiuni, restare continenti e conservare la castità. Significa anzitutto vivere fino in fondo l’amore del prossimo e il servizio reciproco. Che cosa è, allora, il “desiderio carnale” che si oppone allo Spirito? Ecco il peggio: non stimare nessuno degno di fede, desiderare profondamente il male dell’altro, perseguitare il nemico fino alla sua distruzione, non pagare i giusti compensi a chi ti affida il suo danaro o il suo lavoro, disperare del mondo e delle sue promesse, diventando indifferenti a tutto e a tutti, chiamare bene il male e male il bene. Chi mai associerebbe, immediatamente, al termine “desideri della carne” la squalificazione dell’altro, la più sfrontata mormorazione, le bombe sui civili inermi, l’assoggettamento del prossimo per il lavoro o per il bisogno, il raggiro bancario, industriale o politico?

Se proviamo a riascoltare ora il testo di Paolo,  dopo aver considerato questa prospettiva, possiamo restituire alla fede cristiana la sua tradizione più vera e più autentica, non quella che le ha cucito addosso una versione troppo borghese e troppo accomodante delle parole della Scrittura e delle esperienze della tradizione. E’ inutile fare i gradassi pensando che la cosa decisiva, per un cammino di iniziazione cristiana o di matrimonio o di formazione, sia la “continenza sessuale”. Qui parla, anzitutto, una mancanza di respiro nella tradizione: non rispettare le proporzioni, far diventare piccole le cose grandi e grandi le cose piccole, è il frutto di una interpretazione ideologica e unilaterale della “epithumia sarkos“, dei “desideria carnis.  Oserei dire, per concludere, che i desideri più pericolosi, rispetto  ai desideri dello Spirito, sono quelli che appaiono “meno carnali”. Vi è una logica della carne e dell’atto “carnale” che difende dal peccato grave. E’ la carne del viso che, arrossendo, salva l’anima dalla menzogna che ha pronunciato con assoluta sicurezza. Per l’uomo che è carne, la carne può anche essere una risorsa, che lo tiene più vicino alla sua origine non disponibile. Anche nella logica dello Spirito, dove c’è carne, c’è speranza.

 

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