Liturgia e sinodalità: alcune questioni-chiave


Sul n.21 della rivista “ROCCA” è uscito questo articolo, che fissa la attenzione sul rapporto tra sinodo e liturgia. Lo riprendo sul blog, come contributo al dibattito sinodale. Ringrazio la Pro Civitate Christiana della Cittadella di Assisi, che ha sollecitato la riflessione con un Convegno dedicato al tema Sinodo, lo scorso agosto.

 “Il teologo deve fare due cose: salvare i fenomeni e offrire chiarimenti”

(E. Jungel)

Un “infarto” teologico e dogmatico infesta la sinodalità”

(J. M. Gordo)

L’impresa di una “sinodo della Chiesa italiana” ha la forma di una “utopia” che facilmente si converte in “distopia”. Questi due movimenti (utopico e distopico) sono per tutti noi allo stesso tempo di grande incitamento e di grande peso. Questo avviene perché noi parliamo e riflettiamo in un ambito che risulta “stravolto” e “messo alla prova” da un triplice livello di “pressione”:

a) La potente ripresa del Concilio Vaticano II voluta ormai da 8 anni dal magistero di papa Francesco;

b) La parallela convocazione di una Assemblea del Sinodo dei Vescovi sul tema della sinodalità;

c) L’avviamento di un “cammino sinodale” per e della Chiesa Italiana.

Tutti e tre questi livelli sono “sconvolgenti” rispetto agli abiti maturati negli ultimi 40 anni e suscitano facilmente reazioni o “paralizzate” o “disorientate”. Per uscirne abbiamo bisogno non solo di buona volontà, ma di categorie nuove e di pratiche inedite. Il Sinodo è infatti, se considerato teologicamente, un impegno “sistematico” di primo livello. Questa è per noi forse la cosa più imbarazzante. Spesso infatti abbiamo la pretesa di fare i conti con la storia come se la storia stessa fosse semplicemente una “variabile dipendente”, a valle della Rivelazione. Anche la categoria di sinodalità è spesso trattata semplicemente come la “parola preziosa” – che la tradizione ci offre, anche sul piano normativo – ma della quale non dobbiamo nasconderci di avere il compito di scoprire (e inventare e creare e immaginare) significati nuovi e usi inediti. Nella continuità di una parola che attraversa con buoni frutti molti secoli, dobbiamo elaborare la discontinuità di esigenze che sono solo ed esclusivamente degli ultimi 200 anni. Qui mi pare stia la sfida, ad un tempo pratica e teorica. E qui non solo non dobbiamo cadere nel semplicismo che afferma: le cose sono chiare ma non si vogliono fare; ma anzi dobbiamo assumere il compito arduo di un ripensamento categoriale ed istituzionale della Chiesa, che ci mette inevitabilmente a dura prova. Non abbiamo già pronta una risposta! Dobbiamo costruirla e dobbiamo farlo proprio noi. Nessuno lo ha fatto prima di noi e nessuno lo farà al nostro posto. Questo per qualcuno è scandaloso: sarebbe lo Spirito a dover agire, non noi ad agire progettualmente. In questo atteggiamento scisso e ingiusto paghiamo il prezzo di categorie teologiche troppo polarizzate, troppo antitetiche, troppo manichee. Scontiamo una cattiva teologia. Certo! Lo Spirito agisce, ma non senza di noi, senza la nostra migliore esperienza, intelligenza, sensibilità, senza il confronto più aperto e senza la elaborazione più audace1.

La liturgia come “campo di esperienza”

Perché allora dobbiamo correlare sinodalità e liturgia? La liturgia parla di una “sinodalità ecclesiale” che già c’è, purché sia pensata e vissuta con rigore. In effetti la dinamica che mette in correlazione “presidenza”, liturgia” e “sinodalità” fotografa con molta lucidità due tra le più grandi novità del Concilio Vaticano II. Qui, per la tradizione cattolica, ogni sforzo di “ermeneutica della continuità” o fa i conti con la “riforma” o resta al palo. Provo a dirlo in tre proposizioni:

a) La “riforma liturgica” è l’unica riforma compiuta che sia scaturita dal Concilio Vaticano II. Per questo è rimasta e rimane ancora “sotto attacco” da parte di tutti coloro che hanno paura del Concilio. Fermare la riforma liturgica significa, bene o male, ibernare, congelare, paralizzare il Concilio e non comprendere la esigenza di sinodalità.

b) Questa riforma, che è oggettiva e formale, modifica il rapporto che la tradizione medievale aveva strutturato tra “clero/laici”. Per questo, se ragioniamo secondo la riforma liturgica, dovremmo smetterla di usare queste categorie vecchie. Clero e laici sono una costruzione ecclesiologica di cui non abbiamo più bisogno. Anche se facciamo fatica a superarla e continuiamo a usarla per dire il nuovo, quelle parole (clero e laici) dicono solo “cose vecchie” che possono morire. Possiamo dire tutto della fede, del Vangelo e della Chiesa senza farne più alcun uso.

c) Una “sinodalità” non accessoria – ossia non appiccicata ad un corpo ecclesiale che la ignora – deve iniziare dal considerare l’atto di parola e l’atto di sacramento come “atto comune” a tutta la assemblea. Chi “presiede” non sostituisce né Cristo né la Chiesa, ma le pone in correlazione visibile, servendo l’uno e l’altra. Anche qui la liturgia è “campo esperienziale nuovo” – pur se antico quanto la Chiesa – perché cambia due modalità di base della vicenda ecclesiale:

– muta il rilievo dell’esteriorità rispetto alla interiorità

– rimodula l’esercizio del potere in rapporto alla vita ecclesiale

Il rilievo istituzionale della nuova esperienza

La difficoltà di “fare sinodo” dipende da una tradizione istituzionale medievale e moderna, che abbiamo ereditato, a livello ecclesiale, con un certo grado di confusione: è del tutto evidente che la fatica – tutta cattolica – sta nell’accedere ai “beni” del mondo moderno, senza doverlo ammettere. Perché se da cattolici pensiamo di dover essere necessariamente legati a forme istituzionali “da ancien régime”, non ne usciremo mai. Qui l’exemplum liturgico è assai istruttivo.

 La riflessione istituzionale che manca: dove sono i canonisti?

 La riforma liturgica è una “profezia compiuta”. L’unica. Che cosa ci dice di nuovo? Rielabora in modo radicale e profondo una esperienza fondante la vita e la forma della Chiesa. Possiamo riassumere la novità in tre punti:

 – cambia la “nozione” di liturgia, facendone il “linguaggio comune a tutta la Chiesa”, non la lingua di una parte (ossia dei chierici);

 – cambia la esperienza di questo linguaggio, che viene restituita a tutto il corpo di uomini e donne, non solo ad un “atto dell’anima”;

 – cambia perciò la forma della “partecipazione”, che è “attiva”, ossia all’unica azione da parte di tutto il corpo ecclesiale.

 Questi tre passaggi, in modo solenne, ridefiniscono allo stesso tempo “liturgia”, “potere” e “ufficio”. Qui si deve riconoscere che il “mutamento della forma rituale” non corrisponde alle norme che pretendono di regolarla sul piano canonico. Fin dall’inizio – ossia dagli anni 60 – si è creato un “gap” singolarmente accentuato. Sul piano canonico spesso rimane fino ad oggi la impronta indelebile di una ricostruzione della liturgia come “atto di potere” di una “parte della chiesa” sull’altra. Si guardi, ad es., come il diritto canonico descrive il “sacramento della penitenza” e come ne riduce la “forma corporea” a mere “imputazioni formali”, per capire che il sacramento consiste sostanzialmente nel “potere di assolvere” in capo al ministro ordinato. Questa lettura giuridica vecchia e oggi improponibile non ha bisogno di alcun sinodo, è autosufficiente e autoreferenziale nella sua autocomprensione clericale. Ciò significa che accanto al lavoro teologico, pastorale e spirituale – che deve continuare e intensificarsi – abbiamo bisogno di una nuova forma di descrizione/regolazione sul piano normativo: abbiamo bisogno di canonisti dotati di immaginazione.

 Il Sinodo come “Utopia” e “Distopia”, dicevo all’inizio. Proprio gli ambienti teologici che hanno preso sul serio la avventura sinodale possono facilmente essere descritti e delineati come “scismatici”: solo perché affrontano le questioni non solo come “utopie senza effetti”, ma come “progetti realistici” di conversione e trasformazione della Chiesa. Questo ci permette di identificare una serie di questioni di fondo che alcune pubblicazioni tedesche, francesi e italiane aiutano a focalizzare2. Provo a dirle con due immagini.

 Salvare i fenomeni. Ossia salviamo il fenomeno sinodo

 Di fronte al Sinodo che cosa significa “salvare il fenomeno”? Significa garantire che si possa davvero camminare insieme nella fede. Questo non si identifica con il “salvare lo status quo”. Spesso questo è l’equivoco. E il teologo e il pastore, se interpreta così la sua funzione apologetica non salva il fenomeno, ma lo affossa. Salvare il fenomeno non è “difendere lo status quo”, ma custodire il “motus a quo e ad quem”. Questo non è semplice, perché chiede un discernimento non solo dottrinale e un equilibrato uso di categorie vecchie e di nozioni nuove. Ci sono cose nuove nella storia, che non si lasciano comprendere semplicemente dalle categorie precedenti. Sul piano del ministero, della iniziazione, della guarigione, della vocazione, abbiamo cose nuove da riconoscere e da onorare.

 Offrire chiarimenti: la funzione della teologia

 Per salvare il fenomeno dobbiamo chiarire nozioni, dispositivi e discipline. L’altro corno è quello di “offrire chiarimenti”, chiarimenti veri. Questo non può mai significare “superare il fenomeno”, bensì attraversarlo, per custodirlo. I fenomeni si possono distruggere in due modi: o rendendoli autoreferenziali, o riducendoli ad altro. Chiarimenti esasperati distruggono tutto. Questo è sempre possibile. Ma non è mai un alibi per non chiarire.

 Per prevenire un infarto

 In conclusione voglio riprendere, nella direzione che ho cercato di delineare, alcune idee di un autore spagnolo, Jesus Martinez Gordo3, che parla di infarto e/o di cortocircuito sinodale.

Questo autore pone con lucidità una duplice questione che minaccia in radice il cammino sinodale, così potentemente rilanciato da papa Francesco

 a) Parlare di sinodalità implica una correzione nel modo di pensare teologicamente e dogmaticamente il primato petrino, il ministero episcopale e la partecipazione di ogni battezzato ai “tria munera”: al munus sacerdotale, al profetico e al regale. Ogni battezzato partecipa all’azione di culto, all’ascolto/insegnamento della parola, al governo della Chiesa.C’è un “paternalismo” da superare (già superato in campo liturgico, molto chiaramente dopo Traditionis Custodes)

 b) una questione ancora più rilevante è quella canonica. Una presenza al Sinodo di tutto il popolo di Dio, non solo vescovi, ma preti, diaconi, religiosi, religiose, battezzati e battezzate. E che questo provveda a preparare il graduale superamento di un assetto istituzionale che resta, sostanzialmente, quello feudale, ripensato da Trento e dalla apologetica ottocentesca. Sul piano istituzionale i passaggi sono necessari e non possono essere semplicemente sostituiti con le intenzioni, con le buone coscienze o con le convinzioni illuminate. Ricostruire istituzionalmente la Chiesa è compito sinodale primario.

 Concludo con una parola dell’ultimo C. M. Martini, sulla prudenza della “azione” e la imprudenza della “omissione”:

 “Ritengo che una scelta sbagliata sia preferibile a non scegliere affatto. Per paura delle decisioni ci si può lasciare sfuggire la vita. Chi ha deciso qualcosa in modo troppo avventato o incauto sarà aiutato da Dio a correggersi. Non mi spaventano tanto le defezioni dalla Chiesa o il fatto che qualcuno abbandoni un incarico ecclesiastico. Mi angustiano, invece, le persone che non pensano, che sono in balia degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti”4.

1La debolezza della obiezione di chi ritiene che il Sinodo debba essere “azione dello Spirito” e non “progetto degli uomini” deriva dalla indebita opposizione tra grazia e libertà. L’azione di Dio, nel Sinodo, non è separata dalla azione degli uomini. Spesso questa obiezione deriva anzitutto da una cattiva teologia.

2Rimando solo a tre contributi: Cfr. G. M. Hoff – J. Knop – B. Kranemann, Il potere sacro, “Il Regno”, 14(2021), 461-472; H. Legrand – M- Camdessus, Una chiesa trasformata dal popolo, Milano, Paoline, 2021; Pontificia Accademia per la Vita, Salvare la fraternità – Insieme, che si può leggere al sito: http://www.academyforlife.va/content/pav/it/salvare-fraternita.html

3Sulla rivista “Religion Digital” all’indirizzo: https://www.religiondigital.org/opinion/infarto-teologico-sinodalidad-Gentium-Concilio-FRancisco_0_2362863705.html

4 C. M. Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Milano, Mondadori, 2008, 64.

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