Matrimonio e ordine: un avanzamento teologico necessariamente correlato


sanpietro

La tradizione teologica del magistero cattolico sul matrimonio, a differenza di quella sull’ordine, ha recepito positivamente, anche se gradualmente, molte sollecitazioni provenienti dalla cultura tardo-moderna. Spesso dimentichiamo che l’avanzamento della teologia del matrimonio, prodotto dalle fatiche pastorali e teologiche degli ultimi 70 anni, deriva anche da una progressiva e irreversibile elaborazioni delle identità dei “soggetti” che compongono la famiglia: la rilettura della autorità del soggetto femminile, la ricomprensione non univoca del soggetto maschile, la riconsiderazione della autorità genitoriale e la definizione della identità della età infantile, preadolescenziale, adolescenziale e giovanile, hanno profondamente inciso sulla dottrina del matrimonio, liberandola dalle dipendenze dalle molte forme di ideologia elaborata da una società chiusa, che spesso hanno confuso il vangelo con l’ordine pubblico. Il fenomeno è apprezzabile soprattutto nel recupero del concetto di “comunione di vita e di amore”, che costituisce oggi la definizione del sacramento, all’interno di una comprensione dei rapporti tra uomo e donna, tra genitori e figli, che acquisisce – dalla ricca e antica tradizione, ma anche dalla nuova società aperta – il valore della comunione tra eguali in dignità, superando una lettura esclusivamente gerarchica e statica dei “ruoli sociali” dei soggetti. Lavoro – indoor e outdoor – educazione, sentimenti e autorità, senza negare le differenze, pertengono tanto al padre quanto alla madre, tanto ai genitori quanto ai figli. Questa rilettura, che gradualmente è passata dalle posizioni di Arcanum divinae sapientiae (1880) a quelle di Amoris Laetitia (2016), percorre un secolo e mezzo e mette in moto dinamiche di ripensamento della istituzione, del sentimento, del vincolo e del dono di grande valore.

La stessa cosa non è avvenuta nell’ambito del ministero ordinato, almeno sul versante magisteriale. Il passaggio della considerazione in termini di onore, a quelle in termini di dignità, fatica ad affermarsi in questo ambito. Forse ciò è dovuto alla minore “esteriorità” dell’ordine rispetto al matrimonio. Il matrimonio è costitutivamente e originariamente “periferico”, poiché proviene da una “origine compiuta” che lo segna sempre e in ogni modo. La Chiesa riceve il matrimonio, sa che esso la precede. Viceversa l’ordine, almeno in prima istanza, si dà come espressione ultima di una “condizione ecclesiale”, che lo determina profondamente e che ne rende meno duttile e agile il cammino. Per questo, se guardiamo allo stesso periodo già considerato per il matrimonio, troviamo per l’ordine un minore interesse dottrinale e teologico, e anche una elaborazione pastorale molto più timida, bloccata e statica. Le forme della formazione, dell’esercizio e della identità del soggetto ministeriale sono molto più classiche e stilizzate di quelle matrimoniali. Questa differenza, per certi versi del tutto comprensibile, chiede oggi un supplemento d’anima e quasi un colpo di reni.

Sono convinto, infatti, che oggi la teologia del matrimonio e la teologia del ministero ordinato, se non sanno camminare insieme e se insieme non sanno elaborare nuove identità maschili e femminili, paterne, materne e filiali, non riusciranno ad incidere davvero sulla tradizione, a salvaguardarla attraverso un profondo rinnovamento. Tanto l’una quanto l’altra hanno a che fare con comunità di vita e di amore, con il generare e con l’educare. Le condizioni di esercizio di entrambe, per essere fedeli alla tradizione, debbono confrontarsi apertamente con la esperienza degli uomini e delle donne così come sono oggi, senza nascondersi dietro principi apparentemente immutabili o convinzioni precarie e discutibili. Senza una accurata rilettura della identità maschile e femminile, nel matrimonio e nel ministero ordinato, l’avanzamento teologico in uno solo dei settori sarà più apparente che reale, più ideologico che sostanziale. Così dovremo guardarci dalla tentazione di essere molto spregiudicati in fatto di matrimonio e molto timorosi in fatto di ministero ordinato: non si promuove veramente la identità battesimale degli sposi se non si esce dalla autoreferenzialità clericale nella concezione del ministero ordinato.

La nuova teologia del matrimonio dipende – dobbiamo riconoscerlo – anche dagli sviluppi civili che il mondo ha conosciuto negli ultimi 100 anni. Se la teologia del ministero ordinato resterà arretrata rispetto a tutto questo sviluppo, continuerà a creare sacche di resistenza clericale al pieno riconoscimento del dono che ogni uomo e ogni donna rappresentano nella Chiesa, nella loro identità di battezzati, o come sposi o come ministri ordinati. Per il ministero ordinato abbiamo bisogno di un percorso ecclesiale non solo che sappia riconoscere un”Amoris laetitia”, ma che abbia anche il coraggio di superare un “Ordinis maestitia”. Altrimenti, la gioia dell’amore sarà ecclesialmente apparente, poiché non saprà alimentare una  nuova “gioia del ministero”, capace di declinarsi secondo le forme di vita e di identità non più del XVI, ma finalmente del XXI secolo: con stile non solo maschile, ma anche femminile, non solo paterno, ma anche materno, non solo genitoriale, ma anche filiale. Una nuova “societas” – non più perfecta, ma imperfecta, non più inaequalis, ma aequalis –  richiede da un lato un matrimonio più articolato e dinamico, dall’altro un ministero  meno rigidamente configurato ad una società che non c’è più.

 

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