Matrimonio “laico” e tradizione cristiana: una rilettura non troppo moderna


In un articolo, che sta a metà tra un pezzo da “rotocalco” e una riflessione pensosa sulla tradizione matrimoniale, uscito oggi su “Avvenire” (e che si può leggere qui), si trovano alcuni buoni spunti per una comprensione di ciò che sta accadendo alla tradizione culturale e alla tradizione cristiana della vita di coppia. Il titolo “Sontuoso, ecologico, ma finto” mette subito in campo un giudizio pesante sul “matrimonio laico”. Non è che non ci siano motivi e giustificazioni che invitano a qualche diffidenza verso le attribuzioni di competenze “celebrative” a wedding-planners o soggetti animatori o guru ispiratori solitamente non proprio “a titolo gratuito”. La prima parte del testo è una dettagliata descrizione di alcuni di questi “eventi sontuosi”. Più interessanti sono, nella seconda parte, le considerazioni della storica Lombardi e del teologo Marengo, che scrivono su un numero della rivista Antropothes interamente dedicato al tema. Su questi due interventi vorrei soffermarmi brevemente per alcune considerazioni che reputo interessanti.

a) Il “matrimonio” che oggi viene definito “laico” è una componente originaria del sacramento cristiano. Questa cosa per noi è diventata difficile da riconoscere, a causa di quella “clericalizzazione del matrimonio” che è un fenomeno “moderno”, legato agli sviluppi culturali e sociali del XV-XVIII secolo. Perché è importante questa osservazione offerta a ragione dalla storica Lombardi? Perché solo così possiamo tornare ad essere liberi rispetto all’irrigidimento che questa “clericalizzazione” ha introdotto nella società europea e mondiale, sia pure con le differenze di cultura e di tradizione che i 5 continenti hanno conosciuto. Riconoscere, come poteva fare ancora S. Tommaso d’Aquino nella seconda metà del XIII secolo, che la dimensione naturale e civile è intrinseca al sacramento del matrimonio, implica una necessaria “declericalizzazione”, che risulta ancora assai complessa. La identificazione tra il matrimonio tra battezzati con il sacramento del matrimonio è un automatismo che da almeno un secolo non spiega più la realtà. Questa è una grande sfida, alla quale siamo chiamati a rispondere riprendendo alcuni elementi dello stile “nuovo” con cui Amoris Laetitia ha risposto al compito di un ripensamento della tradizione.

b) Un secondo punto qualificante mi pare la riflessione, che unifica la storica e il teologo, sulla sfida imposta da un capovolgimento della relazione tra “amore” e “impegno”. Si dice, con un certo effetto speciale, del passaggio tra “impegno senza amore” ad “amore senza impegno”.  La nostalgia per una “società dell’onore”, in cui il sesso è esercitato esclusivamente sotto il controllo sociale, non può rimediare al compito, certamente impegnativo, di dare uno sfondo comune e pubblico al legame d’amore. La chiesa cattolica, che ha gestito per 500 anni la questione matrimoniale sul registro prevalentemente giuridico, e lo ha fatto anche per difendere mla libertà dei coniugi,come può elaborare oggi una testimonianza del Vangelo dell’amore che non si illuda di trovare nella “legge oggettiva” il livello più adeguato di conformità alla volontà di Dio e di discepolato di Cristo?

c) Il terzo punto, forse il più delicato, è la rilettura teologica di questa storia. Sarebbe difficile negare che il modello classico abbia subito un grande travaglio. Ma forse la trascrizione di questo passaggio nelle categorie della “dissoluzione individualistica”, in cui alla figura individuale del matrimonio viene attribuita semplicemente (e semplicisticamente) la qualificazione di “violenza e durata (limitata) degli istinti sessuali”. Si ascolta, nel sottofondo, quasi come un basso continuo, la nostalgia per la “società dell’onore” in cui è il diritto e il costume a determinare e controllare l’esercizio sociale della sessualità. Uno stile benedetto dalla Chiesa, ma in un altro mondo. Qui, a mio parere, il modello “tridentino” (di immaginario sociale, culturale ed ecclesiale) sembra assorbire l’intero orizzonte tradizionale e leva il fiato. La parola profetica con cui Amoris Laetitia 304 definisce “meschino” questo ideale sembra quasi tramontare, lasciando ancora spazio alla rivendicazione di una non ben chiarita “antropologia cristiana” che saprebbe, originariamente, la differenza dal desiderio e il ruolo oggettivo della legge. Su questo punto, a me pare, un certo fondamentalismo istituzionale, come inerzia della società dell’onore, non riesce a venire a capo non dico del “matrimonio laico”, ma del “matrimonio” tout-court, senza idealizzarlo in una sorta di “mistica sponsale”, almeno tanto insidiosa quanto il delirio di onnipotenza del soggetto, con cui oggi dobbiamo confrontarci.

Su ognuno di questi punti dobbiamo accollarci la fatica del pensiero, in un confronto davvero radicale con la originaria “laicità” del matrimonio, nel senso più bello del termine, di cui è ricco il pensiero premoderno e postmoderno, molto più di quello moderno. Che il matrimonio stia “prima della caduta” implica una sorta di “metacritica” di ogni sua riduzione a istituzione di rimedio. Nel matrimonio c’è uno stare “in Cristo” prima della incarnazione. Questo “eccesso di amore”, naturalmente fondato, non si lascia ridurre a legge oggettiva né a competenza ecclesiale. Mai. Per questo, tra i sacramenti, è il primo “ratione significationis”.

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