Ministeria propter homines et ministeria per homines.


Può esistere una universalità non solo dei destinatari, ma anche dei chiamati al ministero secondo Tommaso d’Aquino?

Una evoluzione della coscienza ecclesiale, lungo i due millenni di storia della fede cristiana, ha guadagnato quasi subito la evidenza, sorprendente, della destinazione universale della salvezza in Cristo: il vangelo si rivolge a tutti gli uomini, giudei e greci, liberi e schiavi, maschi e femmine. Invece molto più lentamente è maturata la coscienza della universalità della mediazione ministeriale di tale salvezza. Già le prime generazioni cristiane hanno compreso che in Cristo le differenze etniche religiose sociali e sessuali erano irrilevanti. Più difficile è stato il cammino sul ministero. Sul soggetto ministeriale ha pesato più fortemente la convinzione della necessità della riserva maschile e perciò, tra gli impedimenti al ministero, non la minorità, non la schiavitù, non la nascita senza riconoscimento, non la delinquenza, non la incapacità o la disabilità, ma il sesso femminile è stato per secoli percepito come insuperabile.
Nella ricezione valeva il principio “omnis sexus fidelis”, nella dispensazione, invece, solo il sesso maschile era riconosciuto degno del ministero. Questo non ha impedito, tuttavia, di riconoscere un ambito di “ministerialità femminile”, su cui Tommaso, come ho già illustrato (cfr il post precedente qui), difende la possibilità che sia una donna a battezzare, sia pure in caso di morte e in forma privata. Le argomentazioni che Tommaso d’Aquino utilizza nell’ambito del suo tempo e a proposito del caso-limite del battesimo di necessità, possono insegnarci oggi qualcosa di importante.

Non vi è dubbio che la lettura che Tommaso offre della donna, nel giustificare la sua esclusione dalla ordinazione, dipenda da gravi pregiudizi di carattere antropologico, sociologico e teologico, che compromettono la lettura del testo biblico e la sua applicazione al contesto ecclesiale del tempo. Ma nella teologia di Tommaso, pur segnata gravemente dal segno di questi pregiudizi, si trovano le tracce di una certa resistenza al pregiudizio. Queste tracce sono importanti, perché aprono a letture diverse dalle sue. Tommaso infatti, non era un maestro che impedisse ai propri allievi di pensare diversamente da lui. Per questo possiamo e dobbiamo chiederci: che cosa direbbe Tommaso se non avesse condiviso in modo acritico il principio (del senso comune, della tradizione filosofica e anche della tradizione teologica) del naturale stato di soggezione femminile?

1. Alcune idee-limite di Tommaso d’Aquino

Vorrei qui presentare brevemente tre “luoghi” di riflessione profetica, su cui Tommaso ha saputo fare eccezione alla lettura ideologica e pregiudiziale, che tratta la donna “in contumacia” e le affibbia una identità fissa, immutabile, spostando il pregiudizio su Dio. Almeno quattro sono i punti in cui Tommaso “esce” da questa logica:

a) Quando ripeteva una lettura che trovava già in Pietro Lombardo (S. Th. I, q92 a3 co), il quale diceva che la creazione di Eva dal fianco di Adamo deve essere interpretata così: se fosse stata creata dalla testa, Eva sarebbe capo di Adamo; se fosse stata creata dai piedi, sarebbe serva di Adamo; ma siccome è stata creata dal fianco, è “socia” di Adamo;

b) Quando, ragionando per giustificare la possibilità della ministerialità battesimale della donna (S. Th. III, 67, 4, c), invocava Gal 3,28, per sostenere che essendo Cristo che battezza, non ha rilievo se il ministro è maschio o femmina;

c) Quando, dialogando con la lettura che Agostino propone del Vangelo di Giovanni (S. Th. III, 67, 4, ad 3), distingueva tra generazione naturale (nella quale, secondo Tommaso, solo l’uomo è attivo, mentre la donna è solo passiva) e generazione spirituale, nella quale tanto l’uomo quanto la donna hanno funzione solo strumentale;

d) Infine quando, nella Summa contra Gentiles (IV, 4), concepisce in modo generale la relazione tra i ministri e il Signore:

“Minister autem comparatur ad dominum sicut instrumentum ad principale agens: sicut enim instrumentum movetur ab agente ad aliquid efficiendum, sic minister movetur imperio domini ad aliquid exequendum. Oportet autem instrumentum esse proportionatum agenti. Unde et ministros Christi oportet esse ei conformes. Christus autem, ut dominus, auctoritate et virtute propria nostram salutem operatus est, inquantum fuit Deus et homo: ut secundum id quod homo est, ad redemptionem nostram pateretur; secundum autem quod Deus, passio eius nobis fieret salutaris. Oportet igitur et ministros Christi homines esse, et aliquid divinitatis eius participare secundum aliquam spiritualem potestatem: nam et instrumentum aliquid participat de virtute principalis agentis.”

Il ministro è in relazione al Signore come lo strumento all’agente principale: come infatti lo strumento è mosso dall’agente per compiere qualcosa, così il ministro è mosso dalla autorità del Signore per compiere qualcosa. Occorre che lo strumento sia proporzionato all’agente. Perciò anche i ministri di Cristo devono essergli conformi. Però Cristo, come Signore, ha operato la nostra salvezza con la sua autorità e la sua grazia, in quanto era Dio e uomo: secondo la sua umanità, ha sofferto per la nostra redenzione; secondo la sua divinità, perché la sua passione diventasse per noi causa di salvezza. Perciò occorre che anche i ministri di Cristo siano uomini, e che partecipino della sua divinità secondo una certa potestà spirituale: infatti anche lo strumento partecipa della grazia dell’agente principale”.

La logica del ministero, per Tommaso, è una logica “strumentale”: i ministri devono essere “conformi” all’agente principale. Per questo devono essere “uomini”. La conformità al Signore Gesù è infatti la umanità e la divinità. La prima è mediata dall’essere “nato da donna”, il secondo dal “ricevere lo Spirito Santo”. Nella logica argomentativa di Tommaso la donna non è ordinabile non perché non sia conforme alla umanità del Signore, ma perché “manca di autorità” in quanto è creaturalmente caratterizzata da subordinazione, inferiorità e passività. Il limite della donna non è cristologico, ma antropologico. E’ il “sapere antropologico e sociologico” a guidare Tommaso in questa conclusione, non la cristologia o la teoria generale del minstero.

2. Alcune conseguenze per l’oggi

Una rilettura di questi 4 testi permette di scovare, quasi in controluce rispetto alla tesi principale di Tommaso, una sorta di “controcanto”, che apre a possibilità impensate, proprio nel momento in cui viene meno, circa la donna, quel pregiudizio culturale e sociale, che tanto ha pesato sulle soluzioni indicate da Tommaso e da tutta la tradizione successiva che a lui, più o meno esplicitamente, si è riferita.

Vediamo brevemente le conseguenze principali:

a) Una rilettura del racconto biblico sulla creazione, che ha visto attirare su di sé, come era inevitabile, la cultura comune dei secoli, trova nel testo di Tommaso una linea di lettura sorprendente, ereditata da Pietro Lombardo, il quale, a sua volta, la ha forse tratta dalle letture delle comunità ebraiche di Parigi del XII secolo. La non subordinazione femminile come verità del testo di Genesi è la prima sollecitazione.

b) Una applicazione di Gal 3,28 non solo in rapporto ai “destinatari” del vangelo, ma per parlare dei “ministri” della chiesa appare una profezia importante, per quanto limitata al solo sacramento del battesimo e allo stato di necessità. Estendendo quel principio, oggi è possibile uscire dalla “impasse” che blocca una riflessione serena sulla ministerialità femminile.

c) Ancora più rilevante sembra la correzione che Tommaso propone alle troppo facili “analogie” tra paternità e maternità naturale e spirituale, tra ministro sposo e chiesa sposa, che spesso dimenticano di essere “analogie imperfette” (AL 72-73) e che, quando vengono pensate sul piano spirituale, non permettono di giudicare in modo troppo diretto la coerenza tra ruoli, funzioni, genere e sesso.

d) Infine la lettura che troviamo nella ScG appare singolarmente profetica. Se applicata ad un mondo, nel quale la donna ha acquisito un “ruolo pubblico” incontestabile, rende necessario riconsiderare le parole-chiave della tradizione, la dottrina che le accompagna e la disciplina che le ordina.

I testi della tradizione parlano dei ministri come homines, viri, circumcisi, galilaei. Nella storia siamo riusciti a superare la limitazione etnica e religiosa, poi quella sociale. Più difficile è stato superare la differenza sessuale. Ma che cosa sarebbe la teologia della ordinazione di S. Tommaso d’Aquino senza il pregiudizio della naturale inferiorità della donna in campo pubblico? Potrebbe essere una teologia del ministero di homines (di maschi e femmine), non solo di viri. Perciò un ministero senza riserve: non solo propter homines, ma anche per homines.

Credo che questa universalità, adombrata dai suoi testi di circa 750 anni fa, possa essere considerata, sul piano sistematico, una sfida che Tommaso è ancora capace di lanciarci, quasi malgré soi.

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