Misericordia e sessualità


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Sembra che papa Francesco voglia aiutare le persone a vivere meglio la loro sessualità ferita. Se dovesse decidere da solo, probabilmente ammetterebbe all’eucaristia –non in qualunque modo ma con intelligenza e con dolcezza evangelica – i divorziati risposati che vivono bene le loro seconde nozze e sono nella giustizia nei confronti del primo coniuge. Pensa Francesco a delle conseguenze sacramentali, o anche soltanto parrocchiali, alle famose parole pronunciate su un aereo a proposito delle coppie omosessuali fedeli: “Chi sono io per giudicare”? Ci si può domandare quali saranno le consegne date ai “missionari della misericordia” che egli vuole inviare nel mondo (qual era la pratica pastorale della penitenza che egli promuoveva nelle bidonville di Buenos Aires? Senza dubbio era più generosa di quanto il diritto canonico non preveda…). Che cosa pensa veramente a proposito della convivenza delle giovani coppie nel concreto della situazione attuale, caratterizzata dalla difficoltà di trovare un alloggio e dalla disoccupazione giovanile, e come valuta la limitazione delle nascite all’interno di tale contesto? Vi è un tema che egli non sembra aver trattato quando si è recato in Africa: quello della poligamia. In alcuni contesti si tratta di una forma sociale pensata e che può essere vissuta bene, come lo fu nell’antico Israele, sebbene in linea di principio e di fatto essa non sia accettabile. Insomma, il Papa non pensa forse che, andando incontro alle persone e alle situazioni con la dolcezza e l’umiltà di Cristo, ci si dota dei mezzi adeguati per migliorare la pratica e – a lungo termine – la mentalità delle persone, conducendole o riconducendole così alla verità della sessualità e della vita stessa? E la vita sacramentale, ovvero l’ingresso concreto col nostro corpo nel Mistero di Gesù, Figlio di Dio crocifisso e risorto, non rappresenterebbe un aiuto potente in questo processo di conversione?

Le affermazioni di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio non sono contestabili. Ma ciò che non abbiamo più e non possiamo comprendere che a prezzo di una conversione interiore, è il tono col quale Gesù parlava. Non ci restano che delle trascrizioni, mentre dovremmo ascoltare con l’orecchio del cuore. Non potrebbe, questo cuore, essere risvegliato dal considerare l’attitudine di Gesù nei confronti delle persone? È, tale attitudine di Gesù, percettibile da chi si fermi alla Legge, per quanto giusta e vera, senza riconoscere in essa uno strumento dell’Alleanza? E ancora: può il cuore essere risvegliato se non è sensibile alla violenza di Gesù nei confronti della ricchezza? L’amore di papa Francesco per la povertà, il suo comportamento personale, le riforme che ha intrapreso per bonificare le finanze della Santa Sede, la sua sensibilità manifestata nel discorso in Bolivia, non sono, credo, separabili dalla sua preoccupazione di aiutare le persone anche sul piano della sessualità. Per comprendere la “misericordia” cara al Papa, occorre senza dubbio adottare uno stile di vita non troppo distante dal suo e che sia ispirato alla stessa mistica: quella che lo ha spinto a prendere il nome di Francesco.

Oltre a questo ascolto del cuore, senza il quale non si può comprendere in verità le affermazioni del Vangelo, occorre senza dubbio, in materia di sessualità e non solo, fare della buona teologia. Non sono un teologo moralista: mi domando solo se si è presa la misura, nella Chiesa, delle conseguenze dello spostamento che si è prodotto al Concilio e prima ancora, a proposito dei “fini” del matrimonio. Il criterio ultimo, per lungo tempo, è stata la “natura”, secondo una concezione di quest’ultima nella quale l’aspetto fisiologico – quello che abbiamo in comune con gli altri mammiferi – è stato determinante. Oggi è piuttosto la persona, o piuttosto le persone: l’una davanti all’altra, entrambe davanti ai figli e tutti davanti alle Persone divine. La natura, anche nella sua fisiologia, è certo un elemento da prendere sul serio nella gestione dei rapporti interpersonali, ma non è il primo e sta alle persone di gestirne al meglio possibile (o col minor male) l’impatto. Per aiutarli, i teologi si applicano a costruire un nuovo equilibrio dottrinale, fondato su tale nuova gerarchia dei valori. Tra loro ce n’è stato uno, Olivier Clément, autore di un libretto di neanche 150 pagine (Corps de mort et de gloire. Petite introduction à une théopoiétique du corps [Corpo di morte e di gloria. Piccola introduzione alla teopoetica del corpo], Paris, Desclée de Brouwer 1995), nel quale la Scrittura, la Tradizione dei Padri, la filosofia e la cultura sono tutte convocate. La lettura di questo libro crea – mi pare – il giusto clima per affrontare tali questioni, e per prepararsi a ricevere il documento al quale il Papa lavora e che noi attendiamo. Mi piacerebbe che lo si rileggesse…

Alla fine del secolo passato c’è stato in Francia un vescovo che aveva partecipato al Concilio, Armand Le Bourgeois. Egli si era affacciato sulla questione dei “divorziati risposati, miei fratelli”, com’egli diceva. L’ho incontrato alcune volte, in particolare un anno che predicavo il “ritiro sacerdotale” ai preti della diocesi di Autun. Mi ha lasciato il ricordo di un uomo evangelico. Varrebbe forse la pena rileggere i suoi libri sul tema e fare l’inventario delle cose che sono state fate all’epoca nella sua diocesi per sua iniziativa, e in altre diocesi per imitazione. Non si è forse tornati indietro da allora?

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Testo originale in francese

MISERICORDE ET SEXUALITE

Il semble que le Pape François veuille aider les gens à vivre mieux leurs sexualités blessées. S’il était seul à décider, probablement admettrait-il à l’Eucharistie, non pas n’importe comment mais avec intelligence et douceur évangéliques, les divorcés remariés qui vivent bien leurs secondes noces, et sont dans la justice vis-à-vis du premier conjoint. François envisage-t-il des conséquences sacramentelles, ou même seulement paroissiales, aux fameux propos tenus dans un avion à propos des couples homosexuels fidèles : « Qui suis-je pour juger… ? » On peut se demander quelles seront les consignes données aux « missionnaires de la miséricorde » qu’il veut envoyer dans le monde (quelle était la pratique pastorale de la pénitence qu’il promouvait dans les bidonvilles de Buenos-Ayres ? Sans doute était-elle plus généreuse que ne le prévoit le droit canon…). Que pense-t-il vraiment au sujet de la cohabitation juvénile, dans le concret de la situation actuelle, de la difficulté du logement, du chômage des jeunes, et comment apprécie-t-il la limitation des naissances dans le même contexte ? Il est un sujet qu’il ne semble pas avoir abordé lorsqu’il est allé en Afrique, celui de la polygamie. Dans  certains espaces, elle est une forme sociale réfléchie et qui peut être bien vécue, comme elle le fut dans l’ancien Israël, même si en principe et souvent en fait elle n’est pas acceptable. En somme, le pape ne se dit-il pas que, à aborder les personnes et les situations avec la douceur et l’humilité du Christ, on se donnerait en fait les moyens d’améliorer la pratique et, à long terme, la mentalité des gens, les amenant ou les ramenant ainsi à la vérité de la sexualité, et de la vie tout court ? Et la vie sacramentelle, c’est-à-dire l’entrée concrète par notre corps dans le Mystère de Jésus, Fils de Dieu crucifié et ressuscité, ne serait-elle pas une aide puissante dans ce processus de conversion ?

Les propos de Jésus sur l’indissolubilité du mariage ne sont pas contestables. Mais ce que nous n’avons plus et que nous ne pouvons comprendre qu’au prix d’une conversion intérieure, c’est le ton avec lequel Jésus parlait. Il ne nous reste que des transcriptions écrites, alors que nous devrions écouter avec l’oreille du cœur. Et ce cœur ne pourrait-il être éveillé en considérant l’attitude de Jésus envers les personnes ? A son tour l’attitude de Jésus est-elle perceptible si on se bloque sur la Loi, aussi juste et vraie qu’elle soit, sans y voir un instrument de l’Alliance ? Et encore : le cœur peut-il être éveillé s’il n’est pas sensible aux violences de Jésus contre la richesse ? L’amour du pape François pour la pauvreté, son comportement personnel, les réformes qu’il a entreprises pour assainir les finances du Saint-Siège, sa sensibilité manifestée dans le discours de Bolivie ne sont pas, je crois, détachables de son souci d’aider aussi sur le plan de la sexualité. Pour comprendre la « miséricorde » chère au Pape, il faut sans doute adopter un style de vie pas trop éloigné du sien et inspiré de la même mystique, celle qui l’a poussé à prendre le nom de François.

Outre cette écoute du cœur, sans laquelle on ne peut pas comprendre en vérité les propos de l’Evangile, il faut sans doute, dans la question de la sexualité comme dans les autres, faire de la bonne théologie. Je ne suis pas théologien moraliste. Je me demande seulement si on a pris la mesure, dans l’Eglise, des conséquences du déplacement qui s’est produit au Concile et déjà avant, à propos des « fins du mariage ». Le critère ultime, pendant longtemps, a été la « nature », selon une conception de celle-ci où l’aspect physiologique – celui que nous avons en commun avec les autres mammifères – était déterminant. Aujourd’hui, c’est plutôt la personne ou plutôt les personnes : l’une en face de l’autre, les deux en face des enfants et tous en face des Personnes divines. La nature, y compris dans sa physiologie, est un élément à prendre certes sérieusement en compte dans la gestion de ces rapports interpersonnels mais ce n’est pas le premier et c’est aux personnes qu’il revient d’en gérer le mieux (ou le moins mal) possible l’impact. Pour les aider, les théologiens s’appliquent à construire un nouvel équilibre de doctrine, fondé sur la nouvelle hiérarchie des valeurs. Parmi eux, il y en a eu un, Olivier Clément, dans un livret de même pas 150 pages : « Corps de mort et de gloire. Petite introduction à une théopoiétique du corps »[1]. L’Ecriture, la Tradition des Pères, la philosophie et la culture y sont au rendez-vous. La lecture de ce livre crée, il me semble, le « climat juste » pour aborder ces questions, pour se préparer à recevoir le document auquel le Pape travaille et que nous attendons. J’aimerais qu’on le relise…

Il y a eu en France à la fin du siècle passé un évêque qui avait participé au Concile, Armand Le Bourgeois. Il s’était penché sur la question des « divorcés remariés, mes frères » écrivait-il. Je l’ai rencontré une fois ou l’autre, en particulier une année où je prêchais la « retraite sacerdotale » aux prêtres du diocèse d’Autun. Il m’a laissé le souvenir d’un homme évangélique. Il vaudrait peut-être la peine de relire ses livres sur la question et de faire l’inventaire des choses qui ont été faites alors à son initiative dans son diocèse, et dans d’autres à son imitation. N’a-t-on pas reculé depuis ?

 


[1] Paris, Desclée de Brouwer 1995

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