Mistagogia e teologia dei sacramenti: una questione aperta


E’ appena uscito il libro L. Girardi (ed.), La mistagogia. Attualità di una antica risorsa, Roma, CLV, 2014. Del mio articolo (237-258) pubblico qui le prima 3 pagine.

Mistagogia e prospettiva teologica
Recezione della “provocazione mistagogica” e ripensamento iniziatico della “prima comunione”. 

Una valutazione delle “prospettive teologiche” della mistagogia è ancora lontana dall’essere stata adeguatamente considerata e compiutamente articolata. Questo si deve precisamente alla novità che questo termine ha portato nella esperienza ecclesiale dell’ultimo secolo, che ha generato, gradualmente, un profondo ripensamento della teoria e della prassi dei sacramenti, che esamineremo nella prima parte del nostro studio (§.1), cui faremo seguire una seconda parte, in cui metteremo alla prova l’”approccio mistagogico” intorno al problema del ripensamento della “prima comunione”, con tutte le sue ampie conseguenze di carattere pastorale, ecclesiologico e spirituale (§.2), per concludere infine con una significativa relazione tra “mistagogia” e “preghiera” nella esperienza del cristiano in via di iniziazione (§.3).

1. La mistagogia e la crisi della “teologia classica” dei sacramenti

Proviamo a proporre una prima lettura della “mistagogia”, costruendo il ragionamento anzitutto su alcune importanti “polarità aporetiche”, ossia su alternative che, senza escludersi, manifestano possibilità di “soluzioni fittizie”: il recupero della sensibilità non contro, ma a vantaggio di una “ratio” sacramentale più profonda (§.1.1); la coscienza di un mutamento del linguaggio, ma non solo strumentale-espressivo, bensì anzitutto esperienziale (§.1.2); la irruzione di una coscienza storica in liturgia, ma senza lasciar cadere la necessaria “coscienza iniziatica” (§.1.3). In tal modo potremo riconsiderare più complessivamente la questione della mistagogia come “caso tipico” di una rinnovata cura per la “contingenza della grazia” (§.1.4).

1.1. La mistagogia: sensibilità rituale e  concetto teologico

Mistagogia indica senza dubbio i limiti strutturali di un approccio sistematico impostato sul primato dell’intelletto. L’approccio all’atto simbolico-rituale non sopporta più – né dal punto di vista teorico, né dal punto di vista pratico – una “riduzione intellettualistica” della esperienza. L’intera storia del Movimento Liturgico, prima, e della teologia liturgica, poi, attesta una tale dinamica di superamento del primato intellettualistico in teologia. Cionondimeno, l’esperienza simbolico-rituale ha bisogno – costitutivamente – di una coscienza sistematica, che non può essere sostituita da conoscenze storiche o da metodi teoretici mutuati da un passato più o meno lontano. Il concetto di mistagogia, in altri termini, ha avuto, come effetto inevitabile, una forte contestazione della “teologia sistematica”. E questo, voglio ripeterlo, è stato un passaggio inevitabile e anche assai fruttuoso. Ma occorre oggi essere avvertiti su un rischio, che può arrivare anche a mettere a repentaglio ciò che di buono è stato acquisito attraverso questa contestazione: se il recupero del carattere “mistagogico” e “iniziatico” dei sacramenti non riesce a darsi una “ratio” sistematica – che assuma un concetto più ampio e più articolato di ragione  – corre il pericolo di essere un guadagno effimero, che non mette radici, che secca e che il vento della storia travolge in meno di una generazione. Se oggi lavoriamo sulla “mistagogia” solo in ambito “pratico”, trascurandone la teoria, finiremo per duplicare i piani anche noi, per offrire una comprensione “essenziale” del sacramento, cui affincheremo, inultilmente, una “pratica mistagogica” senza alcuna caratteristica di “fons”. La “conoscenza simbolica”, come affermava Romano Guardini , non è qualcosa che si aggiunge alla teologia, ma è l’organo del sapere teologico-liturgico.

1.2.  Il grande cantiere conciliare:  il rinnovamento del linguaggio ecclesiale e la svolta linguistica

Mistagogia, proprio a motivo di quanto abbiamo appena riconosciuto, è un termine che costringe tutti (pastori, teologi, soggetti pastorali) a un profondo rinnovamento del linguaggio ecclesiale. La grande tradizione mistagogica rappresenta certo un modo di concepire e di riflettere, ma è, anzitutto, un modo di parlare. Il linguaggio “metaforico” e “analogico” , che mutua dalla tradizione biblica e culturale le proprie “figure di parola e di pensiero”, comporta una diversa esperienza della rivelazione/fede. Cionondimeno questo rinnovamente del linguaggio è una “logica diversa” che irrompe. Una “orationis ratio” diversa dalla “ratio” che si è imposta dalla scolastica in poi, anche se mai del tutto e ovunque. Il linguaggio che muta non è semplice “rinnovamento della espressione pastorale, omiletica o catechetica”, ma nuova esperienza della verità e del mistero. Questa grande novità, che ci permette oggi di considerare e di apprezzare il Concilio Vaticano II come “evento linguistico” , riposa sulla consapevolezza che il linguaggio non è semplicemente uno “strumento del pensiero”. Nessuna mistagogia sarà mai possibile se non avremo maturato questa nuova consapevolezza, che di fatto contraddice quegli stili ecclesiali che affidano solo al concetto il ruolo di “iniziazione”. Solo accettando che la “iniziazione alla fede” proceda non solo dalla “sapienza dei concetti”, ma anche dalla “sapienza delle azioni, delle narrazioni, delle musiche, degli spazi, dei tempi, dei contatti e dei profumi…” potremo far spazio ad una “urgenza mistagogica” e “iniziatica” al fondamento della esperienza della rivelazione e della fede.

1.3. Una mediazione della “storia della salvezza” e la “iniziazione al tempo”

Mistagogia, in terzo luogo, è un modo sorprendente, ma del tutto coerente, di far entrare la “storia” all’interno del concetto di Rivelazione. Da un lato, infatti, la teologia del ‘900 ha recepito potentemente la irruzione della “storia della salvezza” come concetto per un approccio più ricco alla Rivelazione. Cionondimeno, con la mistagogia il “tempo” diventa non semplicemente una modalità del rivelarsi stesso di Dio, ma la forma dell’apertura di fede dell’uomo dinanzi al revelatum. La mistagogia pretende una teologia, una catechesi, una pastorale che conoscano e gustino il valore temporale della iniziazione. Ogni iniziazione ha bisogno di tempo, per assimilare linguaggi, forme, modalità, abiti, costumi. In altri termini, la “storia della salvezza” non è, anzitutto, una nozione, un concetto o una proposizione, ma piuttosto un evento. Per questo ci viene comunicata in forma più complessa di una serie di “verità su Dio, mondo e uomo”.  L’importanza della riflessione ecclesiale sulla “mistagogia” sta proprio in questo punto di equilibrio, delicatissimo, tra i contenuti della storia della salvezza e le forme storico-temporali capaci di mediarli. E la riscoperta della “rituum forma”, non a caso, è stata una delle grandi novità del XX secolo , non tanto come “oggetto” teologico, ma come “forma che consente la risposta di fede alla rivelazione”.

1.4. Il recupero della “contingenza della grazia”: tatto liturgico e significato teologico “in periferia”

Quanto ho detto fino a qui ci permette di valutare il “fenomeno mistagogia” da un punto di vista piuttosto interessante. Un dato acquisito da questo nostro Convegno è stato, precisamente, il risalto attribuito alla differenza tra le forme di “omelia mistagogica” del IV e V secolo rispetto alla ripresa della nozione che abbiamo registrato con sorpresa nell’ultimo secolo. Da un lato, abbiamo guardato a quel modello con nuovo interesse e con crescenti aspettative; ma dall’altro abbiamo dovuto anche ammettere che tra noi e quella antica esperienza concettuale – tra noi e quella forma di linguaggio e di temporalità, tra noi e quell’epoca del lavoro teologico – si estende un lungo periodo, nel quale è stata lungamente elaborata una diversa comprensione e una diversa esperienza dei sacramenti e della liturgia. In altri termini, per molti secoli, nel lavoro teologico “de sacramentis” ci siamo concentrati  sul sacramento come significato e come effetto . Una tale “riduzione” ha avuto un esito deflagrante su ogni possibilità mistagogica della Chiesa: ha causato la essenzializzazione dei significati e degli effetti, l’irrigidimento dei linguaggi e la minimalizzazione dei tempi e degli spazi. Potremmo dire che questo fenomeno, assunto sempre più al centro della teoria e della pratica ecclesiale, ha determinato una progressiva perdita di quella “cura del contingente” che è decisiva per ogni pratica mistagogica, che è fatta anzitutto di tatto, di sensibilità, di spazi e tempi adeguati. Proprio su questa determinazione “tattile” della liturgia e della mistagogia mi soffermerò nella parte finale del mio percorso. Per ora voglio solo sottolineare che quando diciamo “mistagogia” mettiamo in gioco non soltanto una caratteristica della “catechesi” o della “omiletica”, ma il complessivo assetto del sapere teologico nella tradizione occidentale.
Se quindi la grande tradizione mistagogica è nata dalle riflessioni pastorali e teologiche sui grandi sacramenti della iniziazione cristiana (anzitutto su battesimo e eucaristia), oggi sono proprio questi sacramenti ad essere “spiazzati” rispetto al luogo mistagogico, essendo ancora preda di letture e di pratiche minimalistiche ed essenzialistiche. Per così dire: abbiamo iniziato duemila anni fa una pratica mistagogica dal battesimo e dalla eucaristia. Oggi proprio su questi versanti sacramentali troviamo ad ostacolarci un sapere teologico e una pratica ecclesiale poco sensibile allo “spazio-tempo della iniziazione”.
Forse oggi le “figure” e le “forme” più promettenti, per un recupero della mistagogia, sono quelle più “decentrate” rispetto alla logica strettamente sacramentale. La mistagogia è nata con il battesimo e con l’eucaristia, ma oggi può rinascere solo “dalle periferie del sacramento”. Voglio dire, in altri termini, che oggi è più facile recuperare il senso “mistagogico” del mistero attraverso la “liturgia delle ore”, attraverso l’anno liturgico, oppure attraverso una liturgia della parola o una liturgia penitenziale. Queste pratiche rituali, che la tradizione non ha considerato sacramenti, sfuggono meglio alla cattura delle logiche minimalistiche ed essenzialistiche, anche se non ne sono affatto del tutto immuni .
In questo modo sarebbe possibile, passando attraverso queste “esperienze minori”, il recupero anzitutto delle logiche elementari della mistagogia, come capacità di “incontro/raduno”, di penitenza, di ascolto, di offerta, di memoria, di rendimento di grazie, di lode, di benedizione, di comunione, di congedo e di missione. Ognuno di questi passaggi non è solo “contenuto”, ma anzitutto atteggiamento, stile, sensibilità e forma di vita.  Su questa tensione, che la riscoperta della mistagogia ha contribuito a portare all’attenzione ecclesiale, dobbiamo ora soffermarci nel contesto della “iniziazione alla prima comunione”…

(per il seguito, rimando al volume citato all’inizio)

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