Moneta, linguaggio e pensiero
Nella nostra cultura gli alberi si conoscono dai frutti e in principio era il Verbo o il Caos. «Ciò che è all’origine dell’instaurarsi del legame sociale è appunto ciò che conduce alla sua dissoluzione e/o distruzione. Se l’orda trova compimento nello Stato, esso resta costantemente in preda alla tentazione di convertirsi in Stato di orda; quanto al progresso della spiritualità, esso porta alla creazione di un mondo al tempo stesso funzionale e passionale, dove il lavoro del pensiero è guardato con sospetto, mentre credenze e illusioni si dividono il compito di dirigere le azioni umane» [Eugène Enriquez, Dall’orda allo Stato. Alle origini del legame sociale, tr.it. il Mulino 1986, p. 457, ed.or. 1983].
«Ciascun per sé e lo Stato per tutti. Se si pronuncia questa parola d’ordine, i fratelli restano fratelli solo nella loro similitudine e diventano nemici potenziali, poiché ciascuno difende il proprio Ego o le proprie prerogative più infime. Compaiono dei clan, si costituiscono delle gangs». «Il monolitismo dello Stato comporta conseguenze impreviste. Qualunque sia la perspicacia degli uomini di vedetta, essa non può impedire che un’azione possa uscire dalla rada e sfociare altrove invece che verso l’obiettivo previsto: a) in effetti essa rimuove necessariamente determinate possibilità. E il processo di rimozione provoca sempre, presto o tardi, il ritorno del rimosso» [ivi, p. 464]. «b) Essa provoca, per reazione, fenomeni di resistenza», «il regime più autoritario comporta sempre la sua opposizione». «c) Essa fa nascere al suo interno una struttura rovesciata». «Alla potenza delle istituzioni risponde il desiderio di distruggerle, alla permanenza fa eco l’effimero, all’integrazione la marginalità, al bisogno di sicurezza il terrorismo e la delinquenza, al mondo del lavoro e della produzione quello dei ‘lavoretti saltuari’ e dell’arte di arrangiarsi, al mondo dell’uniformità quello della diversificazione a oltranza. Più il mondo vuole essere unificato, più si frammenta in una miriade di comportamenti, gruppuscoli, cappelle. Qualunque totalitarismo è un padre stupito della dissidenza» [ivi, p. 465]. E in nota all’ultima pagina: «del resto, anche un certo numero di Ebrei ha praticato a sua volta delle persecuzioni, ha desiderato ed è riuscito a creare uno Stato sulla terra dei propri antenati, inglobando quasi a sua insaputa i difetti degli Stati cristiani o laici nei quali aveva vissuto» [ivi, p. 468, n. 1]. È cronaca di oggi: «senza una rapida e completa eliminazione dell’embargo – egiziano e israeliano – che strangola i 2 milioni di abitanti di Gaza, il ‘ritorno alla calma’ di cui si felicitano le cancellerie è una sinistra illusione. Non c’è possibile calma in un ghetto in agonia» [«Israël-Palestine: changer de paradigme», Le Monde, 25-26/5/21, online].
Ma «il peggio non è sempre sicuro. Evocandolo troppo, si rischia di non temerlo più e di non avere più forze per opporglisi. In realtà, ogni sistema sociale si rivela molto spesso, e proprio nel momento in cui tutto sembra perduto e la speranza in lutto, capace di trasformarsi, diversificare le sue risposte, integrare i subbugli che lo scuotono e realizzare i propri scopi seguendo cammini imprevisti o inesplorati» [Enriquez, cit., p. 463]. Next Generation EU, per dire, ma «i Barbari sono tra noi, in noi stessi. Non aspettiamo per combatterli che essi si manifestino dall’esterno, perché non ci faranno questo piacere» [ivi, p. 467]. La globalizzazione pandemica lo conferma.
«La pandemia di Covid-19 ha mostrato al contempo l’evidenza della globalizzazione e la crisi del multilateralismo. Mentre per la prima volta nella storia l’umanità nella sua totalità è posta di fronte alla stessa paura nello stesso momento, gli strumenti forgiati nel dopoguerra intorno al sistema ONU hanno mostrato i loro limiti. Che cosa potrà essere allora un governo mondiale nel momento in cui si manifesta “una inadeguatezza crescente del pensiero giuridico tradizionale” di fronte alle nuove sfide globali quali pandemie, crisi migratoria, crisi climatica, bolle finanziarie, ecc.? È il tema del secondo numero della Revue européenne du droit (RED), sulla scia di Grand Continent, rivista online dell’École normale supérieure, in rue d’Ulm». «“Un efficace governo mondiale dei beni comuni, se è possibile, non può che essere pluralistico e in movimento, ibrido e flessibile”, scrive il caporedattore Mireille Delmas-Marty nell’introduzione firmata con Hugo Pascal e Vasile Rotaru, dottorandi in diritto pubblico. Occorre “pacificare gli essere umani senza uniformarli”. “Un governo plurale consentirà l’emergere di una storia della umanità come vicenda comune, alla ricerca di un equilibrio dinamico in grado di stabilizzare le società nei rapporti reciproci senza cristallizzarle nelle loro differenze”, sottolinea. La crisi del multilateralismo lo è anche di un sistema internazionale in cui la sovranità statale diventa sempre più fittizia». «Dialogando col teologo protestante Oliver Abel, in chiusura Mireille Delmas-Marty ricorda “che diversamente dalle comunità nazionali, la comunità mondiale emergente non ha, per durare, né memoria collettiva né storia comune nata da un passato condiviso”. Da qui l’importanza della ‘lungimiranza’, di pensare a quel che accadrà, “al fine di poter resistere nell’imprevisto via via che l’umanità prende atto del suo destino comune”» [Marc Semo, «La question d’une gouvernance mondiale», Le Monde, 15/5/21, online].
«Proprio la pandemia ci ha mostrato come l’‘io’ e il ‘noi’, la dimensione individuale e quella collettiva, siano interconnesse in un modo inestricabile […] non solo nel dominio delle relazioni interpersonali, ma a livello globale […] viviamo nell’interdipendenza totale» [Daniele Marini, Lessico dal nuovo mondo, una lettura dei mutamenti sociali e economici, Marsilio 2021, p. 56, ringrazio l’amico che me l’ha segnalato]. Perciò, «l’annuncio fatto da Biden sulla sospensione dei brevetti vaccinali “è sicuramente storico” per Maria Chiara Malaguti, presidente di Unidroit, l’istituto (con sede a Roma) per l’unificazione del diritto privato fra i 63 Stati membri. Che, tuttavia, avvisa: ora “va interpretato e declinato” e, soprattutto, “il mondo del diritto dovrà lavorare parecchio per tradurlo in realtà”». Perché storico? «Ci sono varie interpretazioni: da chi la ritiene una mossa decisiva per spezzare le logiche brevettuali e chi lo interpreta all’opposto, in chiave geopolitica, come una mossa difensiva/aggressiva per opporsi alle politiche distributive di Russia e Cina. E c’è chi crea dei distinguo, perché sente il bisogno di un freno verso prese di posizione così forti. Io credo, però, che sia storico come ‘valore-manifesto’ dell’annuncio» [Eugenio Fatigante, «Annuncio storico, però non basta», Avvenire, 8/5/21, p. 5]. Il valore-manifesto della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale dall’ONU, è ora il valore-manifesto dell’emergente comunità mondiale in cui stiamo combattendo i barbari tra noi.
«La Silicon Valley, mentre cresceva, si guadagnò la fama di enclave liberale, ma attrasse anche una giovane generazione di libertari che non provenivano dal mondo della controcultura, ma dalla nuova destra. Peter Thiel, nato in Germania nel 1967, aveva studiato a Stanford, poi alla Stanford Law School, dove nel 1987 aveva fondato la ‘Stanford Review’. La rivista voleva contrapporsi al multiculturalismo, al femminismo e alla correttezza politica promossi all’interno del campus». «Nel 1996 Thiel era tornato in California, giusto in tempo per assistere al boom del business legato a Internet, o del cosiddetto dot-com, che seguì l’abolizione delle restrizioni sul traffico commerciale online. Ogni giorno venivano lanciati diecimila siti web». «Amazon fu fondata nel 1994, Yahoo! nel 1995, Google nel 1998. Quell’anno, Thiel fondò insieme ad altri Paypal, con la speranza che potesse svincolare i cittadini del mondo dalla moneta regolata dal proprio governo» [Jill Lepore, QUESTE VERITÀ. Una storia economica degli Stati Uniti d’America, tr.it. Rizzoli 2020, p. 815, segnalato da un amico che ringrazio]. In nome dell’ambiente oggi Elon Musk, secondo più ricco del mondo, rinnega il bitcoin dopo averlo accettato per la sua auto elettrica Tesla: ai suoi massimi, ne sarebbe bastato uno per la Tesla base, ma è crollato dopo il giro di valzer verde di Musk.
Nell’interdipendenza totale del mondo, moneta-linguaggio-pensiero sono interdipendenti.
Moneta, linguaggio e pensiero è il titolo italiano [il Mulino 1988] di Money, Language and Thought di Marc Shell [Berkeley UP 1982]. In USA nascono il sogno/incubo neoliberista e la sua critica. «Tra le monete di elettro dell’antica Lydia e la moneta elettronica dell’America contemporanea si è verificato un cambiamento di grande portata storica. Il valore di scambio delle monete antiche derivava totalmente dalla sostanza materiale (elektrum) dei lingotti di cui erano fatte e non dalle iscrizioni impresse sul metallo». «Con l’avvento del trasferimento elettronico dei capitali, il legame tra iscrizione e sostanza fu spezzato. La sostanza della moneta elettronica non è perciò sostanziale». «Alcuni pensatori arrivarono inoltre a riconoscere le interazioni tra scambio economico e intellettuale, vale a dire tra il denaro ed il linguaggio (Seme significa ‘parola’ e ‘moneta’)» [ivi, pp. 19-20]. «Il fatto che il denaro e il linguaggio siano sistemi di produzione e di scambio, complementari e in concorrenza, fa pensare che il denaro non sia solo un tema, un contenuto metaforico,» «ma che il denaro parli attraverso, e dentro, il discorso in generale» [ivi, p. 222].
Presentando l’edizione italiana. Vittorio Mathieu ricorda che «la parola vale ciò per cui è presa; e la moneta anche». «Esattamente come il denaro, la parola acquista il suo valore solo entro un sistema, e nessuno – se non in piccolissima misura, e con la collaborazione d’innumerevoli altri – può fare qualcosa per mutarlo. I sistemi in cui denaro e parola assumono valore sono sistemi sociali. Denaro e linguaggio compaiono nell’uomo (e solo nell’uomo), in virtù della sua (particolarissima) natura di ‘animale sociale’. Più esattamente, di animale che lavora in collaborazione; in una collaborazione che, attraverso denaro e parola, è augurabile che divenga sempre più volontaria» [ivi, p. 9].
La crisi finanziaria USA del 2008 è culminata nella «battaglia senza esclusione di colpi a difesa dell’euro». «Che cos’è il celebre ‘whatever it takes’ pronunciato a Londra di fronte a una platea di investitori euroscettici e acidamente supponenti se non il monumento moderno all’atto linguistico?» «Quelle parole assumono immediatamente la sostanza dei mercati; lo spread quasi a 600 in Italia in mezz’ora scende a 480, le Borse di tutto il mondo brindano, si diffonde l’idea che sia superato per sempre il rischio di ridenominazione dei titoli di Stato (in Grecia e in Italia, secondo paese sotto osservazione della speculazione), che aveva condizionato per settimane la discussione tra gli addetti ai lavori e la percezione dei mercati». «Una mera azione linguistica diventa azione concreta, fatto condiviso e compreso». «John Searle, il linguista, fa ricorso a un celebre esempio monetario per dare forza alla tesi degli speech act: quando il Tesoro americano – è la tesi di Searle – scrive su una banconota da 20 dollari “questo biglietto è moneta a corso legale per tutti i debiti pubblici e privati” non si limita a descrivere una forma di garanzia ma crea, letteralmente crea, quei dollari. Una mera idea linguistica diventa azione concreta, fatto condiviso e compreso» [Donato Masciandaro e Alberto Orioli, Draghi, falchi e colombe. L’Euro e l’Italia 2011-2019, Il Sole 24 ore 2019, pp. 213-4]. Come precisa Mathieu nella presentazione a Shell, la moneta vale perché ha «la capacità di far lavorare, ‘Valere’ significa, infatti, aver efficacia, e né il denaro né il parlare hanno efficacia altrimenti che facendo agire» [Shell, cit., p. 11]. È così anche per la moneta raccolta con il debito pubblico, che i sovranisti e populisti anche nostrani ritengono invece a loro disposizione fino a poterlo cancellare, va da sé in nome della pace fiscale con gli evasori e a dannazione di tutti gli altri, noi.
Senza pensiero e linguaggio, il denaro è solo carta o elettroni, inutili. I barbari distruggono tutto.
Francia, Germania, Italia e i tre paesi del Benelux si sono dimostrati «disposti a barattare la loro sovranità contro la creazione di uno Stato federale europeo. Ma hanno aperto le loro porte a Paesi che non avevano fatto le stesse esperienze e che non intendevano rinunciare alla propria sovranità per creare insieme uno Stato Federale. L’errore più clamoroso fu quello del 2004, quando le porte furono aperte ai satelliti dell’Urss. Erano felici di ritrovare la loro sovranità e furono accolti in una istituzione nata per perderla. È un malinteso che non può giovare né agli uni né agli altri e che bisognerebbe eliminare con un divorzio» [Sergio Romano, «Nazionalismi, per la Ue un malinteso da risolvere. Anche con il divorzio», Corriere della Sera, 16/5/21, p. 15]. Il divorzio dagli Stati-orda.