La poesia guarda la realtà, con uno sguardo che si fa parola, quello «sguardo-tale-che-si-parla» evocato da Francis Ponge (1899-1988) nei suoi Proêmes. Se il poeta è fedele alla propria vocazione e al proprio mestiere, questo sguardo non è mai privo di presa. Esso agisce, smuove forze inaspettate, frantuma le rappresentazioni e gli automatismi del sapere nei quali l’uomo si rinchiude per non subire gli assalti incessanti della realtà, la bestia indomabile che egli sogna di soggiogare.
Roberto Juarroz (1925-1995) apre il suo saggio Poesía y realidad con una delle sue “poesie verticali”: «Uno spazio / non può cancellarne un altro, / ma piuttosto metterlo alle strette». La poesia stana il reale: l’immagine di inseguimento, di tensione, dà voce al potere interrogante che il linguaggio poetico porta con sé, senza smancerie, senza quel tremendo angelismo che il discorso sociale gli affibbia per contenerlo, con la scusa di celebrarlo.