L’umanesimo ritrova la propria ragion d’essere quando affronta situazioni che rappresentano una sfida alla sua fede in una comune umanità. Homo sum, humani nihil a me alienum puto: sono un essere umano, nulla di ciò che è umano mi è estraneo. Sant’Agostino riferiva in una delle sue lettere che «interi teatri, pieni di gente stolta e ignorante, applaudivano a quella battuta» non appena veniva pronunciata durante le rappresentazioni della commedia di Terenzio Heautontimorumenos. E ciò, nonostante un momento di riflessione riveli le oscure implicazioni
di quella battuta. Come ha infatti sottolineato Maya Angelou (1928-2014), attivista e poetessa afroamericana, la battuta di Terenzio ci impedisce di disconoscere persino gli atti più inumani dei nostri simili: «Non importa quanto un crimine sia efferato. Se un essere umano l’ha commesso, bisogna dire: “In me ci sono tutte le componenti che ci sono in lui”».
Spesso evochiamo una metafora spaziale per conciliare il senso di estraneità, che la vita criminale ci ispira, con la consapevolezza, d’altra parte, che i criminali non appartengono a una specie estranea.
Diciamo così che i criminali si guadagnano da vivere ai “margini” della società, ai suoi limiti o nelle sue periferie. E lo stesso vale per altre persone, che vivono, per necessità o per scelta, sfidando le regole del nostro mondo e che tuttavia comunque vi appartengono. I margini, dunque, meritano un’attenta considerazione da parte di coloro che cercano di dimostrare la verità del credo e dello spirito dell’umanesimo.