“Nell’ Amazzonia un luogo teologico” (QA 57). Sogni, cose dette e cose non dette su “inculturazione” e “liturgia”
Il Sinodo sulla Amazzonia è stato una preziosa occasione in cui mettere alla prova, in loco, un modo di pensare il rapporto tra vangelo e cultura, che potrà valere, mutatis mutandis, per “ogni luogo”. Ciò significa precisamente non pretendere di applicare immediatamente altrove ciò che sarà pensato e sperimentato per il fiume e per la foresta, ma sapere che la fede parla, anche e sempre, a partire da questo o un altro fiume e da questa o un’altra foresta.
Dunque, non è contraddittorio sottolineare, anche con giusta insistenza, la “specialità” del Sinodo appena celebrato, e volerne trarre allo stesso tempo utili insegnamenti sul piano universale, riguardanti perciò ogni chiesa e ogni confessione di fede in Cristo. Il testo di QA dice questa cosa apertamente al n. 6, in modo quasi programmatico, come introduzione ai 4 sogni:
“Tutto ciò che la Chiesa offre deve incarnarsi in maniera originale in ciascun luogo del mondo, così che la Sposa di Cristo assuma volti multiformi che manifestino meglio l’inesauribile ricchezza della grazia. La predicazione deve incarnarsi, la spiritualità deve incarnarsi, le strutture della Chiesa devono incarnarsi. Per questo mi permetto umilmente, in questa breve Esortazione, di formulare quattro grandi sogni che l’Amazzonia mi ispira.” (QA 6)
I “volti multiformi” sono immagine della inesauribile ricchezza della grazia e il compito di “incarnazione” e di “inculturazione” viene assunto come orizzonte di metodo. E in questo senso viene valorizzato come criterio di fondo per “sognare”. Tutti e 4 i sogni riguardano, dunque, la possibilità di una società, di una cultura, di una cura per l’ambiente e anche di una comunità cristiana, che sia capace di valorizzare il Vangelo per la cultura e la cultura per il Vangelo. Il testo lo dice con queste parole:
“Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici.” (QA 7)
Se dare alla Chiesa “nuovi volti con tratti amazzonici” è frutto di “incarnazione”, è evidente come la realtà del sogno debba passare, necessariamente, attraverso un “lavoro di inculturazione” in cui tutta la realtà ecclesiale viene coinvolta radicalmente. Perciò anche nei primi numeri dedicati al “quarto sogno”, al “sogno ecclesiale” (QA 61-69), questo aspetto viene sottolineato e si imposta il disegno con cui “sognare” la Chiesa in Amazzonia secondo questa prospettiva.
Non voglio ora analizzare tutto il seguito di questo IV capitolo, ma soltanto le conseguenze che tale impostazione ha sul tema della “inculturazione liturgica”. E vorrei farlo indicando 3 livelli di espressione: a) il testopropositivo del Documento finale, b) la riflessione trasognata di QA e infine c) il “non detto” dei testi e tra i testi, con tutta una serie di importanti conseguenze.
1. La inculturazione liturgica nel DF
Il tema della “inculturazione liturgica” occupa, in DF, lo spazio di 4 numeri, che stanno subito prima della conclusione ed ha come titolo “Rito per i popoli originari”. La elaborazione di un “rito amazzonico” sarebbe il compito dell’organo attuativo del Sinodo (Organismo Ecclesiale Regionale Postsinodale per la regione amazzonica), di cui parla DF 115.
d. Rito per i popoli originari
116. Il Concilio Vaticano II ha aperto spazi per il pluralismo liturgico per le “legittime diversità e i legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli” (SC 38). In questo senso, la liturgia deve rispondere alla cultura perché sia fonte e culmine della vita cristiana (cfr. SC 10) e perché si senta collegata alle sofferenze e alle gioie del popolo. Dobbiamo dare una risposta autenticamente cattolica alla richiesta delle comunità amazzoniche di adattare la liturgia valorizzando la cosmovisione, le tradizioni, i simboli e i riti originali che includano la dimensione trascendente, comunitaria ed ecologica.
117. Nella Chiesa cattolica ci sono 23 diversi Riti, segno evidente di una tradizione che fin dai primi secoli ha cercato di inculturare i contenuti della fede e la sua celebrazione attraverso un linguaggio il più possibile coerente con il mistero che si vuole esprimere. Tutte queste tradizioni hanno origine in funzione della missione della Chiesa: “Le Chiese di una stessa area geografica e culturale sono giunte a celebrare il Mistero di Cristo con espressioni particolari, culturalmente caratterizzate: nella tradizione del ‘deposito della fede’, nel simbolismo liturgico, nell’organizzazione della comunione fraterna, nella comprensione teologica dei misteri e in varie forme di santità” (CCC 1202; cfr. anche CCC 1200-1206).
118. È necessario che la Chiesa, nella sua instancabile opera evangelizzatrice, operi perché il processo di inculturazione della fede si esprima nelle forme più coerenti, affinché sia celebrato e vissuto anche secondo le lingue proprie dei popoli amazzonici. È urgente formare commissioni per la traduzione e la redazione di testi biblici e liturgici nelle lingue proprie dei diversi luoghi, con le risorse necessarie, preservando la materia dei sacramenti e adattandoli alla forma, senza perdere di vista l’essenziale. In questo senso è necessario incoraggiare la musica e il canto, il tutto accettato e incoraggiato dalla liturgia.
119. Il nuovo organismo della Chiesa in Amazzonia deve costituire una commissione competente per studiare e dialogare, secondo gli usi e i costumi dei popoli ancestrali, in vista dell’elaborazione di un rito amazzonico che esprima il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dell’Amazzonia, con particolare riferimento a quanto afferma la Lumen gentium per le Chiese orientali (cfr. LG 23). Questo si aggiungerebbe ai riti già presenti nella Chiesa, arricchendo l’opera di evangelizzazione, la capacità di esprimere la fede in una cultura propria, il senso di decentralizzazione e di collegialità che la cattolicità della Chiesa può esprimere. Si potrebbe anche studiare per proporre come arricchire i riti ecclesiali con il modo in cui questi popoli si prendono cura del loro territorio e si relazionano con le sue acque.
Nell’orizzonte aperto dal Concilio Vaticano II, il compito di inculturazione liturgica appare senza possibili alternative. Il configurarsi di un “rito amazzonico” sarebbe il compito di una Commissione appositamente istituita dall’organo panamazzonico preposto alla esecuzione del Sinodo. Nell’orizzonte dei 23 riti già esistenti nella Chiesa cattolica, si dovrebbe un “ventiquattresimo” rito amazzonico, nel quale poter esprimere e comprendere la fede secondo le diverse cultura presenti in Amazzonia.
2. La inculturazione liturgica in QA
Se leggiamo ora QA, vediamo in quale misura in questo caso essa abbia recepito (sempre indirettamente) il dettato di DF e come lo abbia ripensato e ristrutturato. Ecco il testo, cui farò seguire il mio commento:
L’inculturazione della liturgia
81. L’inculturazione della spiritualità cristiana nelle culture dei popoli originari trova nei Sacramenti una via di particolare valore, perché in essi si incontrano il divino e il cosmico, la grazia e il creato. In Amazzonia essi non dovrebbero essere intesi come una separazione rispetto al creato. Infatti, «sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale».[114] Sono un compimento del creato, in cui la natura è elevata per essere luogo e strumento della grazia, per «abbracciare il mondo su un piano diverso».[115]
82. Nell’Eucaristia, Dio «al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. […] [Essa] unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato».[116] Per questo motivo può essere «motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato».[117] Quindi «non fuggiamo dal mondo né neghiamo la natura quando vogliamo incontrarci con Dio».[118] Questo ci consente di raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli. Già il Concilio Vaticano II aveva richiesto questo sforzo di inculturazione della liturgia nei popoli indigeni,[119] ma sono trascorsi più di cinquant’anni e abbiamo fatto pochi progressi in questa direzione.[120] (120 Nel Sinodo è emersa la proposta di elaborare un “rito amazzonico”).
83. Nella domenica «la spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa. L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato. Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita».[121] I popoli originari conoscono questa gratuità e questo sano ozio contemplativo. Le nostre celebrazioni dovrebbero aiutarli a vivere questa esperienza nella liturgia domenicale e incontrare la luce della Parola e dell’Eucaristia che illumina le nostre vite concrete.
84. I Sacramenti mostrano e comunicano il Dio vicino che viene con misericordia a guarire e fortificare i suoi figli. Pertanto devono essere accessibili, soprattutto ai poveri, e non devono mai essere negati per motivi di denaro. Neppure è ammissibile, di fronte ai poveri e ai dimenticati dell’Amazzonia, una disciplina che escluda e allontani, perché in questo modo essi alla fine vengono scartati da una Chiesa trasformata in dogana. Piuttosto, «nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l’effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio».[122] Per la Chiesa, la misericordia può diventare una mera espressione romantica se non si manifesta concretamente nell’impegno pastorale.
La meditazione sognante di papa Francesco riposa sicuramente sul testo di DF, ma utilizza, come schema di esposizione, le sequenze sulla liturgia diLaudato sì e alcuni spunti di Evangelii Gaudium. Viene addirittura rinforzata la prospettiva di un “rito amazzonico” da elaborare, sulla base di un giudizio piuttosto severo sul ritardocon cui sono stati fatti “pochi progressi” nella direzione chiaramente indicata dal Concilio. Sul piano dei sacramenti, della eucaristia e del riposo domenicale, la tradizione cristiana e la tradizione indigena possono trovare significative forme di reciproca illuminazione e conforto.
3. Il non detto dei (tra i) testi e le prospettive
Dall’esame dei due testi mi pare che si possano dedurre una serie di conseguenze, in parte lineari, in parte indirette, in parte totalmente aperte, su cui occorre trovare modo di agire e di decidere quanto prima, da chi è già indicato ora (o sarà indicato domani) come competente.
a) Inculturare la procedura per un “rito amazzonico”
La inculturazione, ossia la concreta correlazione tra fede cristiana e cultura amazzonica, inizia sul piano “procedurale”: in che modo si dovrà procedere per costruire il nuovo rito? Il DF propone un percorso “in loco”, il cui obiettivo è la creazione di un “rito amazzonico”. QA non parla in alcun modo di procedure. Ma anche la categoria di “rito amazzonico”, ripresa in nota, sembra una forma breve, ma ancora molto vaga, di ciò che dovrebbe costituirsi. Se infatti sono 110 i popoli “isolati” che vivono nella foresta o ai margini delle città, come sarà possibile elaborare un “rito amazzonico comune”? Forse è possibile? Forse sarà necessario fissare alcuni “criteri comuni” perché le diverse diocesi o “regioni ecclesiastiche” possano elaborare riti adeguati ai loro fedeli? Forse il concetto di “rito amazzonico” è espressione già troppo “romana” – cioè troppo poco inculturata – per essere veramente utileal fine di assicurare un buon uso delle fonti. Rito amazzonico suonerà allora come “rito zairese”? Con la stessa incompiuta necessità di essere “inculturato nelle singole diocesi” del Congo?
b) Inculturare il contenuto di un “rito amazzonico”
In secondo luogo, il ripensamento delle forme rituali del rito romano, ma fatte proprie ed elaborate dalle culture indigene, potranno riguardare la integralità della liturgia cristiana, o una sua parte, a seconda delle necessità. Sui singoli contenuti, nella diversità delle culture che dovranno e potranno mediare, sarà utile identificare non soltanto “variabili” all’interno della “classica forma romana”, ma forse anche strutture di inculturazione più profonde, in cui il ruolo della foresta o del fiume, della autorità o del movimento possano diventare riconoscibili e rilevanti in modo nuovo. Il dispositivo verbale – non solo il latino da tradurre, ma le lingue madri da recepire – e il dispositivo non verbale – non solo le sequenze, ma anche le soglie – dovranno rispondere alle attese e corrispondere alle funzioni. Non sarà cosa da poco.
c) Inculturare i ministri di un “rito amazzonico”
Il terzo punto appare il più delicato e forse anche il più decisivo. Perché nel passaggio tra DF e QA questo punto ha subito il trattamento meno chiaro e più laconico. Non solo per via dei silenzi, ma per via di parole in parte profondamente dissonanti con il progetto. Come sarà possibile imparare davvero qualcosa dalla cultura della Amazzonia se il ruolo dei battezzati coniugati e il ruolo delle donne fosse compreso soltanto con le categorie del medioevo europeo? Come sarebbe possibile onorare il fiume e la foresta se mai pensassimo il ministro solo come maschio celibe in talare? Qui la questione non è imporre alla Amazzonia un “tema europeo” – come quello dei viri probati o del diaconato femminile – ma pensare la autorità dell’uomo coniugato o della donna autorevole secondo categorie non adeguate alla cultura amazzonica. Se è vero che “il rischio per gli evangelizzatori che arrivano in un luogo è credere di dover comunicare non solo il Vangelo ma anche la cultura in cui essi sono cresciuti, dimenticando che non si tratta di «imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica»” (QA 69), proprio qui, proprio sul progetto intorno alla inculturazione del ministro, il peso delle tare culturali classiche sembra singolarmente forte e il margine di autocritica e di revisione obiettivamente ancora troppo scarso.
Se l’Amazzonia viene giustamente definita “luogo teologico”, e lo si fa in modo effettivo, non in modo retorico e vuoto, questi tre punti meritano una accurata considerazione e una spedita soluzione. Se l’Amazzonia deve essere un “cantiere”, deve esserlo fino in fondo, ossia quanto alle procedure, quanto ai contenuti e quanto al ministero. Quanto più ciascuno di questi temi resterà in sospeso, indeciso o indeterminato, tanto più rischieremo di aver prodotto con finezza e competenza una serie di documenti di grande forza, con un impatto onirico assai alto, con una forza poetica impressionante, ma con un effetto concreto e un contenuto istituzionale che, in assenza di deliberazioni chiare e inequivocabili, rischierebbe ben presto di tendere a zero. E’ importante che non tutto sia deciso dal centro e che non tutto sia deciso dalla periferia. Ma il raccordo preciso tra quanto decide uno quanto decide l’altro sarà un piccolo e grande banco di prova di ciò che può significare, oggi, inculturazione: per l’Amazzonia come per tutti noi.