Omofobia e Capanna dello Zio Tom: alcune “similitudini” nel Comunicato CEI


 capannaziotom

Fin dall’inizio sono rimasto colpito dalla citazione di papa Francesco, che apre il comunicato CEI sul tema della legge sulla omofobia. Mi suonava male. Solo tornando alla fonte, considerata nella sua integralità, ho iniziato a comprendere meglio che cosa era accaduto con quella citazione. Ma andiamo per ordine. Ecco le prime righe del Comunicato:

 Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”, sottolinea Papa Francesco, mettendo fuorigioco ogni tipo di razzismo o di esclusione come pure ogni reazione violenta, destinata a rivelarsi a sua volta autodistruttiva. Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale –costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking… sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini.

 Se però torniamo alla frase completa del papa, che è solo di alcuni giorni fa, essa suona così:

 Non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione e pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana. Nello stesso tempo dobbiamo riconoscere che la violenza delle ultime notti è autodistruttiva e autolesionista. Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”. 

 E’ chiaro che il papa sta parlando dei gravi fatti che, dopo l’uccisione di George Floyd, hanno causato le rivolte negli USA. Ma la frase finale, la sola citata dal Comunicato, non riguarda la uccisione di Floyd, ma le reazioni violente che ne sono scaturite. Nel discorso del papa la frase cade “alla fine”, mentre nel testo della CEI risuona all’inizio sequestra tutta l’attenzione, finendo così completamente fuori contesto. Quasi è cambiata di segno. Sembra citata per una urgenza diversa e in una logica meramente difensiva.

 Ma tutto intero il testo del Comunicato sembra sorretto da unasimilitudine nascosta” – e alquanto azzardata – che si rivela proprio dalla citazione “monca” delle parole papali. Il paragone sembra questo:

 Come è giusto che si denuncino i gravi soprusi e crimini che sono stati commessi contro gli afroamericani, ma non si deve reagire con la violenza, perché essa è sempre una sconfitta

 Così è giusto che si combatta ogni discriminazione anche di carattere sessuale, ma una reazione violenta contro chi discrimina porta ad affermare posizioni negative, pericolose, addirittura liberticide.

 La “similitudine” è dunque tra difensori dei diritti dei neri in rapporto alle violenze, e difensori dei diritti degli omo-transessuali in rapporto alle discriminazioni e violenze.

 Ma il “salto logico”, che nel Comunicato avviene al paragrafo successivo, è quasi un “salto mortale”. Perché si passa da un “giudizio di fatto”, legato alla vicenda americana, ad una considerazione “di diritto”, addirittura di “sufficiente copertura normativa”. Ci si muove così, e con troppa disinvoltura, da una considerazione storica e culturale, ad una considerazione normativa, perdendo del tutto la prospettiva “pedagogica”: anzi, negando ogni spazio a possibili interventi normativi, perché i soggetti a rischio sono già sufficientemente tutelati.

 Anzi, la prospettiva viene di nuovo capovolta, perché una nuova legge, che intervenisse sulla materia, sarebbe addirittura “liberticida”, perché farebbe diventare “penalmente rilevante” tutta intera una cultura e una tradizione. E perciò si chiede che si lavori sul piano della cultura e della formazione e non sul piano legislativo e penale.Come se la formazione non si facesse anche mediante le leggi.

 Sembra quasi che la “nuova legge” venga considerata simile alla “violenza di una reazione degli afroamericani” che vogliono “vendicare” le discriminazioni subite. La nuova legge sarebbe forse equiparata ad una “violenza con cui niente si guadagna e tanto si perde”? Così sembrerebbe anche dalla chiusura del testo, che parla di “polemiche e scomuniche reciproche”.

Ora, il giudizio sulla opportunità di una legge è sempre possibile, a tutti e in ogni momento. Ma mettere in guardia da una “violenza contro la libertà di opinione”, addirittura parlare di “derive liberticide”, nella rischiosa metafora utilizzata fin dall’inizio, assomiglia molto alla ammissione di una reale incapacità nel comprendere le logiche – limitate, ma reali – di una “cultura dei diritti”. Anzi, questo linguaggio può farci anchetornare, per analogia, a quella iniziale resistenza alla cultura dei diritti, tipica del XIX secolo, che li fraintendeva come “soprusi” e come sovversioni del diritto divino e delle leggi naturali. Dietro a quella frase “monca” di Francesco, che campeggia all’inizio del comunicato, si nasconde tutta la foresta oscura dell’antimodernismo europeo, con il suo sospetto radicale verso ogni “eguaglianza”. Che ieri valeva per i neri e per le donne e oggi vale per gli omosessuali. Con tutte le necessarie differenze. Ma anche con troppe disdicevoli somiglianze.

E non dovremmo dimenticare che non solo per gli omosessuali, ma anche per i neri, anche noi cattolici, il rispetto, almeno sul piano giuridico, lo abbiamo imparato dagli altri. Ci siamo messi alla “scuola dei segni dei tempi” – degli Americani protestanti e dei Francesi atei – e abbiamo imparato. E coloro che non volevano imparare, quasi 170 anni fa, sulla “Civiltà Cattolica” del 1853, potevano scrivere, sui neri, frasi terribili come questa:

 Così in essi la condizione di schiavi pare venuta a confermare ciò che avea disposto la natura; e la ripugnanza che le altre razze trovano ad avvicinarlesi sembra condannarli ad un eterno servaggio. Or vede ognuno che somiglianti differenze non si tolgono via cogli articoli dei codici. Sia in uno Stato della Confederazione ammessa o no legalmente la schiavitù, sarà sempre vero che un Bianco non si assiderà in eterno alla stessa mensa con un uom di colore, non vorrà con essolui entrare nel medesimo cocchio od avere comune il banco, non che nel teatro, ma fino nel tempio…” (La schiavitù in America e la Capanna dello zio Tom” (Civiltà Cattolica, 1853, IV, 2, 2, 481-499).

 Anche 170 anni fa si diceva: “non si tolgono via cogli articoli dei codici”. Questa tendenza a diffidare delle normative moderne, che introducono logiche egualitarie e riconoscono diritti a soggetti “naturaliter” diversi, è antica. Ed è il frutto di un trauma e di una ferita, che stenta a guarire. E che può sempre considerare come un pericolo mortale di volta in volta “la capanna dello Zio Tom” o una legge contro la omo-transfobia.

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