Penitenza, iniziazione e “terza forma”: una relazione da riconsiderare


Confessione donna (stampa Ottocento)

Con una serie di post degli ultimi mesi, dedicati prima alle vicende legate alla pandemia e poi alla riconsiderazione del “precetto pasquale”, sono tornate a galla una serie di questioni che riguardano il sacramento della penitenza e il suo significato teologico e pastorale per la vita dei cristiani. In particolare è stato esaminato il ruolo della “terza forma” del sacramento e il suo impatto non solo eccezionale sulla pastorale ordinaria del “perdono del peccato”. Su questo U. Del Giudice ha scritto una considerazione di carattere giuridico e pastorale sulla “terza forma”, che segnala dimensioni poco presenti alla coscienza ecclesiale comune. Allo stesso tempo, in un breve commento ad uno dei miei ultimi post, la liturgista americana Rita Ferrone ha scritto:

“Thank you for your thoughtful essay. I applaud your nuanced vision of penance as a process entailing a response. I do want to raise a question, however. It seems to me that your distinction between baptism and penance speaks more aptly about infant baptism than the baptism of adults. Would you agree? For adults, there is most definitely an expectation of dialogue and response. This is illustrated frequently in the catechumenate and its rites. All is grace, but grace works in and through the human person, and this is ritualized in the catechumenate. Thus, the “first stirrings of repentance” are a necessary sign of readiness for acceptance into the order of catechumens (OICA 68), etc. I agree that the two sacraments are different, but not precisely for the reasons you name. I would say, rather, that Christian Initiation is about identity, the construction of the Christian self, whereas Penance is focused on repairing the damage to that self (and to others) that is caused by our sins.”

In questa osservazione, del tutto fondata, viene ad emergere la difficoltà di una “pastorale della penitenza” che sconta l’orizzonte del “pedobattesimo” come dono di grazia senza elaborazione penitenziale. E che perciò è costretta, quasi per necessità, ad una concentrazione di tutta la penitenza soltanto del IV sacramento. Vorrei brevemente soffermarmi su questo punto, che è qualificante, e che tuttavia sconta un “difetto” che la tradizione fatica a rielaborare. E lo farei a partire da una “battuta” che ho sentito da un Vescovo italiano, il quale, commentando una serie di questioni in merito alla penitenza, diceva più o meno così:

“Ho notato che proprio coloro che ricevono il battesimo da adulti, e che quindi accedono alla pienezza della identità cristiana nella sequenza diretta di battesimo, cresima ed eucaristia in un’unica celebrazione, nel loro percorso di iniziazione non vivono la dimensione di penitenza perché non celebrano mai il sacramento della penitenza“.

Si tratta di un paradosso assai istruttivo e che segnala, un problema che Rita Ferrone ha messo in evidenza, ma sulla cui soluzione non abbiamo una parola chiara a disposizione. Provo ad esprimerlo in una sequenza di affermazioni:

a) La tradizione, che elabora la relazione con i sacramenti nell’orizzonte del “pedobattesimo”, tende a concentrare tutta la penitenza nel “sacramento della penitenza”. Ossia tende a negare la differenza tra “virtù di penitenza” e “sacramento della penitenza”, che pure è presente nella attenzione della tradizione scolastica.

b) Per la identità del cristiano, tuttavia, è decisivo non solo elaborare la coscienza di “essere stato perdonato”, ma di poter far esperienza di perdono e di risposta al perdono nella vita ordinaria cristiana, ossia in quella vita che sulla base del battesimo e eucaristia celebra ogni domenica il perdono ricevuto e la necessaria penitenza come risposta

c) Se tuttavia questo non accade nemmeno per i catecumeni adulti, che faticano a comprendere che la virtù di penitenza non implica un “altro sacramento” rispetto ai tre sacramenti della iniziazione cristiana, questo pone una questione allo stesso tempo pastorale e sistematica.

d) Questo equivale a dire che il IV sacramento ha la sua giustificazione nel riattivare la logica dei primi tre. Ossia nel favorire quella “virtù di penitenza” che è tanto il contenuto della iniziazione cristiana quanto l’obiettivo della “riabilitazione” operata dal IV sacramento. Detto altrimenti: può esserci virtù di penitenza senza sacramento della penitenza, ma non può esservi sacramento della penitenza senza virtù di penitenza.

E’ vero, quindi, che la differenza tra il IV e i primi 3 non sta soltanto della “dimensone cooperante” del IV rispetto ai primi 3. Piuttosto sta in una tematizzazione esplicita di quella “cooperazione” che è presente anche nella iniziazione cristiana e che lo sviluppo storico, che ha favorito il pedobattesimo, ha inevitabilmente considerato con una attenzione ora scarsa ora inesistente.

Alla luce di questa lettura, mi pare utile tornare sul problema della “terza forma” del sacramento (che ho già discusso qui). Poiché può essere un terreno estremamente equivoco, merita una accurata chiarificazione. La terza forma, infatti, è davvero una “forma del IV sacramento”? Provo a rispondere anche qui con una serie di affermazioni concatenate:

a) Da un lato la “terza forma” (ossia la confessione con assoluzione generale) viene giustificata solo “fuori dallo spazio e dal tempo”, ossia per il caso di necessità. E sostituisce in modo contingente una confessione personale, nel caso in cui non vi sia tempo di procedere secondo norma generale (ossia per il caso di necessità). Può sorprendere che la norma preveda che, se il caso di necessità cessa, i penitenti che sono stati assolti con la III forma debbano sottoporsi di nuovo alla I o II forma! Ma questo è perfettamente coerente con il modo di comprendere il IV sacramento in quanto “riabilitazione del soggetto”.

b) D’altro lato, proprio la dimensione comunitaria, così nascosta nella “I forma”, emerge come un richiamo poderoso proprio alla logica della iniziazione cristiana, e alla esperienza eucaristica del perdono. In un certo senso la III forma, con la sua struttura eucaristica, mantiene più forte il legame tra IV sacramento e iniziazione, ma fallisce nel non poter elaborare la risposta del soggetto, se non in forma generica.

c) Di qui l’idea, quasi una provocazione, che la “III forma” non sia una forma del IV sacramento, ma una sorta di “ponte” tra virtù di penitenza e domanda del sacramento. La terza forma in sostanza non è altro che una solenne “memoria del battesimo e della vita eucaristica”, come centro del perdono del peccato, sulla base della quale ogni soggetto peccatore perdonato, nel caso in cui sia caduto in colpa grave, deve elaborare il proprio dolore, la propria parola e la propria azione.

In questo modo le due istanze che qui abbiamo considerato potrebbero essere meglio assunte dalla pastorale:

– da un lato la esigenza di “fare giustizia” e di dare al soggetto un contesto corretto di rielaborazione di sé in relazione a Dio e al prossimo: tale contesto è quello della iniziazione cristiana, al cui interno il “fare penitenza” assume il suo vero significato, che non può essere sostituito semplicemente da un “dono esterno”.

– dall’altro la correlazione strutturale tra IV sacramento e i tre sacramenti della iniziazione, con una doverosa riequilibratura del “lavoro penitenziale” come specificità del IV sacramento, ma come “esercizio di virtù” dei primi tre. Questo oggi può diventare una nuova evidenza grazie ai “riti di iniziazione” del soggetto adulto (RICA), che una lunga tradizione teologica e pastorale aveva sostanzialmente dimenticati.

Anche se rimangono ancora un semplice “sfondo”, costituiscono una bella provocazione a ripensare la pastorale ordinaria, basata ancora largamente sul pedobattesimo. Alla luce di questo sviluppo, ovviamente, la pratica della iniziazione alla “prima confessione” esige una coerente riflessione, che non cada nell’errore, quasi irreparabile, di trasformare un sacramento della guarigione in un sacramento della iniziazione. Questo sarebbe un modo di perdere totalmente la differenza di “dignità” tra sacramenti, come invece ci chiede addirittura il Concilio di Trento, al terzo canone sul “sacramenti in generale”, e di solennizzare la riduzione di tutta la penitenza cristiana al sacramento della penitenza, azzerando così ogni ruolo della virtù, riducendola soltanto ad un “elemento” interno al sacramento.

 

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