Pensare il vincolo, ascoltare le storie, rispettare le coscienze: intorno ad alcune dichiarazioni del Card. Ouellet


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Sul “Foglio” del 16 ottobre si leggeva questo titolo:

Il card. Ouellet: "Se il vincolo c'è, non si può fare nulla" "Non si può, senza toccare la dottrina, proporre un accesso ai sacramenti"

Scorrendo poi l’articolo di M. Matzuzzi, si incontravano queste dichiarazioni del Cardinale:

se il matrimonio è nullo, si deve chiarire attraverso le procedure giudiziarie; altrimenti, se il vincolo coniugale e sacramentale indissolubile c'è, lì non possiamo – senza cambiare la dottrina – proporre un accesso ai sacramenti, perché è un punto dottrinale". Di certo, ha sottolineato il porporato canadese, "bisogna condurre un dialogo per ascoltare bene la loro storia, verificare veramente la sacramentalità del vincolo". Ouellet ha anche detto che "la posizione di 'Familiaris Consortio' è la dottrina tradizionale della Chiesa che è stata confermata da San Giovanni Paolo II e anche da Papa Benedetto" e "quando ci riferiamo alla dottrina ci riferiamo a questo: questa è la norma che ci permette di costruire e di cercare una pastorale, cioè andare incontro alle persone che si trovano in queste situazioni e offrire loro una riconciliazione". 

Qui è evidente come Ouellet identifichi in modo forzato e fuorviante la “dottrina” con la “disciplina”. Dove sta scritto, infatti, che siano le “procedure giudiziarie” l’unico organo in grado di giudicare sulla esistenza e sulla vicenda del “legame” tra marito e moglie? In quale mondo capovolto tutta la storia delle coscienze, delle gioie e dei dolori di uomini e donne deve essere ricondotta semplicemente ad un “processo giudiziale”, che dovrebbe giudicare non di una storia di grazia e di peccato, ma di una originaria presenza del vincolo, al fine di salvaguardare la “dottrina della Chiesa”? Questo strano modo di ridurre la teologia dogmatica e la morale al diritto canonico deve forse essere ripetuto quasi ex officio – e come un disco rotto e stonato – dagli Ufficiali di curia?

Se questa è la premessa, è evidente che gli abbagli in gioco sono tre:

– la dottrina viene ridotta alla disciplina;

– ogni sia pur minimo cambiamento della disciplina viene letto come una allarmante alterazione della dottrina;

– si pretende, addirittura, di bloccare la disciplina/dottrina (così identificate) nella forma acquisita in Familiaris Consortio.

Questo non è il ragionamento di una Chiesa che vuole essere veramente “cattolica” e “universale”; così ragiona una setta fondamentalista, incapace di leggere la realtà a causa delle categorie anacronistiche e inadeguate che ha in testa. E che sembra essere preoccupata non del bene dei fedeli, ma di perdere potere su di loro.

Faccio due osservazioni soltanto.

Si parla di vincolo come se fosse una “cosa”: “se c’è, allora non si può fare niente”. Ma che cosa c’è o non c’è? Perché la Chiesa dovrebbe rinunciare alla propria autorità proprio nel momento in cui può mediare esattamente tra presenza e assenza del vincolo? Tra Dio e uomo non c’è l’abisso, ma c’è Cristo, la Chiesa e ci sono i sacramenti. Ma bisogna pure chiedersi: un vincolo può esserci indipendentemente dalla storia e dalla coscienza dei coniugi? Quando, nel mondo che oggi abitiamo, possiamo fare una tale affermazione senza arrossire? Quale operazione autoritaria e disumana nascondono queste categorie, che sono nate per servire la libertà e ora servono l’arbitrio?

Ovviamente, il Cardinale Ouellet sa bene che così, quella che lui chiama dottrina, non può reggere alla prova della storia. E allora aggiunge, alle categorie superate, un gesto di buona volontà nei confronti dei coniugi in crisi: bisogna “ascoltare la loro storia”: ma quale storia si può raccontare? Di quale storia stiamo parlando? Una “analitica degli inizi” come può reggere di fronte alla storia e alla coscienza che del vincolo hanno “poi” elaborato i soggetti implicati? Come può Ouellet dimenticare che quello che per il medioevo e per la prima modernità poteva essere “irrilevante” oggi è divenuto “decisivo”? A quale secolo si sta rivolgendo?

Tutto questo serve, al Cardinale, per una dichiarazione di “impotenza”. Non possiamo fare nulla. Io credo che questo “non possumus” sia il frutto di una lettura distorta della tradizione e di una grave immunizzazione dal presente. In questa dichiarazione di “non potere” sta una forma arbitraria di potere. Il vincolo deve essere “pensato” e “compreso” con altre categorie. Altrimenti lo si riduce ad una astrazione giuridica, che salva l’anima ai cardinali, ma conduce la Chiesa verso una irrimediabile ipocrisia. E, bisogna riconoscerlo, dopo aver letto queste dichiarazioni infelici viene subito nostalgia del bambino audace, che ha spezzato la particola nel giorno della sua prima comunione: quanta sapienza pastorale, quanta profezia, quanto buon senso potrebbe insegnarci questo piccolo “padre della Chiesa”!

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