Per una democrazia sostanziale. A vent’anni dalla scomparsa di Giuseppe Dossetti


imagesGiuseppe Dossetti ci lasciava il 15 dicembre di vent’anni fa. Fine giurista, intellettuale eclettico, monaco dalla spiritualità salda ed esigente, difensore della Costituzione: questo è stato Dossetti e molta parte della vita italiana del dopoguerra passa attraverso le sue intuizioni. I due esempi più rilevanti della sua testimonianza risiedono nell’Assemblea Costituente (in cui l’allora vicesegretario della DC teneva le redini del maggiore partito italiano) e nel Concilio Vaticano II (durante il quale Dossetti, come perito di Lercaro, fece emergere temi fondamentali poi introdotti nelle Costituzioni conciliari).

In questo giorno tante cose si potrebbero dire riguardo a Dossetti, con il rischio di voler dare “etichette” di facile uso ad una figura che va presa nella sua complessità. Nel tempo presente, a due settimane dal referendum costituzionale che ha bocciato la riforma, mi sembra però opportuno richiamare la riflessione dossettiana sulla “democrazia sostanziale”.

Per Dossetti, la democrazia si qualificava “sostanziale” quando era “vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale” [1].

La democrazia non era semplicemente affare delle istituzioni; non si riduceva allo spazio della rappresentanza elettorale, ma si apriva ad una partecipazione “feriale” attraverso il lavoro e la costruzione economico-sociale della comunità nazionale.

La Costituzione pertanto non poteva occuparsi solo dell’ “ingegneria costituzionale”, cioè dei meccanismi regolativi degli organi dello Stato, ma doveva indicare i principi fondamentali di questa nuova comunità. Da qui nacque l’idea di una corposa parte delle Carta sui diritti e doveri del cittadino e di norme “programmatiche” che indicassero i fini che lo Stato doveva perseguire (su tutte l’art. 3, sull’uguaglianza formale e sostanziale).

Mi pare che su quest’idea di democrazia ormai sia caduto un velo di rassegnazione; che non ci si sforzi più di capire come attuare un vera partecipazione “dal basso” degli interessi sociali; che si comprimano sempre di più gli spazi per le organizzazioni sociali che, nella loro crisi, sono rappresentate come vuoti gusci lobbistici e conservatori; che i problemi della politica siano pensati solo “dall’alto” e che la verticalizzazione delle decisioni sia considerata l’unica via per un riformismo compiuto.

Con questo non si vuole dire che Dossetti non avesse a cuore i problemi delle istituzioni. Anzi, fin dal 1951 denunciava una “disparità di situazioni” tra la “parte dichiarativa” e quella “organizzativa” della Costituzione. Da ciò si deduce la stretta connessione delle diverse parti della Carta.

In questo anniversario però, ricordare Dossetti, a mio avviso, dovrebbe spronarci a ripensare nell’oggi le forme della democrazia sostanziale. Con le parole di Dossetti, edificare una «struttura che non è soltanto costituzione politica, ma è insieme costituzione politica e sociale nella quale sia sostanzialmente garantita a ciascuno la possibilità di espressione spirituale, ma anche fisica e nel suo essere, pienamente conforme alla proporzionalità delle sue facoltà e dei suoi meriti»[2].



[1] G. DOSSETTI, Triplice vittoria, in «Reggio Democratica», 31 luglio 1945, ora in ID., Scritti politici 1943- 1951, a cura di G. Trotta, Marietti, Genova 1995, 31.

[2] Dossetti a Treviso. Il Vice Segretario Nazionale presiede una riunione del Comitato provinciale, in «Il Popolo della Marca. Settimanale della Democrazia Cristiana di Treviso», 22/12/1945 (I), n. 7, p. 1.

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