PICCOLA TEOLOGIA DEL CATAFALCO. QUALE SPAZIO PER REGINE E PAPI NELL’ORA DELLA LORO MORTE?
“Cane di un Vasari, bestiaccia, porco, bestia asinina”. Nel 1564 era possibile che Benvenuto Cellini si rivolgesse con questi improperi a Giorgio Vasari, durante le discussioni della co mmissione incaricata di progettare il catafalco del grande Michelangelo Buonarroti. Quante idee e quanti sdegni per un catafalco!
Circa 460 anni dopo è difficile uscire dall’idea che “catafalco” sia una cosa di per sé inutile. Ma vale la pena osservare una reazione che forse spontaneamente abbiamo provato quando, vedendo le centinaia di migliaia di persone in coda per rendere onore alla regina Elisabetta, abbiamo poi scoperto che alla fine del percorso trovano sì il cadavere della regina, ma sulla cima di un catafalco all’altezza di circa 3 metri. Era il caso che Sua Altezza restasse all’altezza anche da morta? La morte non ha avuto su di lei alcuna capacità di trasformarla in semplice creatura umana.
La risposta a questa domanda in apparenza può essere molto semplice. I cerimonieri di corte hanno ripetuto nel 2022 le stesse forme di catafalco che avevano impiegato l’ultima volta, ossia nel 1952, quando era morto il re Giorgio VI, padre di Elisabetta. Settant’anni dopo ,esattamente la stessa cosa: non è forse questa la tradizione?
Può essere utile fare a questo punto un paragone con i catafalchi che la Città del Vaticano ha saputo costruire nei secoli e che pochi anni dopo la morte di Giorgio VI, cioè nel 1958, hanno onorato la salma di papa Pio XII con un catafalco molto simile a quello della regina di oggi, anche se, com’è ovvio in ambito ecclesiale, ricoperto di candelabri a non finire.
Come è evidente da questa immagine, negli anni Cinquanta tutti i grandi personaggi subivano più o meno lo stesso trattamento in fatto di catafalchi. In Vaticano, pochi anni dopo, ci fu un altro funerale papale nel ‘63 con analogo catafalco. Ma la elaborazione di un pensiero nuovo sull’autorità e sulla morte preparava la grande sorpresa del 1975: Paolo VI, nel suo testamento, prevede l’assenza di ogni catafalco, sostituito da un semplice cataletto che lo pone all’altezza di coloro che gli rendono onore.
Questa svolta s’impone nella tradizione cattolica papale e viene conservata sia da Giovanni Paolo I, sia da Giovanni Paolo II nel 2005. Dunque possiamo desumere da questa breve analisi che nella Chiesa cattolica tra il ‘58 e il 2005 vi è stata una grande elaborazione dei riti che accompagnano la morte del vescovo di Roma.
È evidente che niente di tutto questo è potuto accadere nel Regno Unito grazie alla straordinaria longevità della regina Elisabetta che, per questo, ha ricevuto semplicemente lo stesso trattamento cerimoniale di suo padre settant’anni dopo di lui. Potremmo dire che una carenza di esperienza di morte ha creato una forma di sordità allo sviluppo delle forme comuni del costume e del cordoglio.
Un ultimo aspetto, forse il più delicato, mette in campo un profilo della regina al quale spesso si bada troppo poco. La regina Elisabetta, come oggi il re Carlo, sono a capo della Chiesa d’Inghilterra. Questo pone un problema non piccolo allo sviluppo non dei cerimoniali monarchici, ma dei riti cristiani. Se muore il capo di una Chiesa, come accade per il papa, aver guadagnato negli ultimi settant’anni una certa sensibilità per l’abbassamento, per la kenosi, per la umiliazione che la morte comporta è una grande conquista, che certo è presente anche nella cultura britannica. Forse la differenza fondamentale sta nel fatto che il papa non è papa per diritto di sangue e che, quando il suo sangue non circola più nelle sue vene, scende a livello di un comune battezzato.
Dice Paolo: chi è morto non ha peccato. Noi possiamo aggiungere: chi è morto non ha più titoli. Essere a capo di una Chiesa per diritto di sangue non è questione tanto facile da risolvere. Per questo sarebbe stato opportuno che il corpo della regina, Sua Altezza, toccato dalla morte non restasse in una sorta di luce inaccessibile, ma scendesse sul piano di quella umile uguaglianza che permette a chi la onora di stare esattamente al suo livello.
Forse in tutto questo parla ancora quella società dell’onore che ha prodotto lungo i secoli i funerali di diversa classe e che ha proiettato oltre la morte i piccoli e fragili titoli della vita.
Il lungo pellegrinaggio per rendere onore alla regina merita una regina insolitamente accessibile proprio perché morta. La singolare potenza di una morte che permette a tutti, anche ai reali, di giustificarsi solo dicendo “mi basta la tua grazia”.
Me dictante Daniela scripsit
Mihi dictanti dono Daniela perscripsit cito
Il sempre nuovo venire di Gesù chiave di ogni cosa
https://gpcentofanti.altervista.org/il-sempre-nuovo-venire-di-gesu-chiave-di-ogni-cosa/
Era questo il link che volevo mettere
https://gpcentofanti.altervista.org/alla-scoperta-dellamore-meraviglioso-di-gesu/
Fa pensare al rituale delle tre bussate per il sepelimento di Otto di Habsbourg in 2011 alla porta della cripta dei Cappuccini a Vienna. La porta si apre solo la terza volta quando non c’è piu titoli : chi è ? – Otto, simplice mortale e peccatore.
Si tolga la parola ‘Vasari’ e vi si mettala parola ‘Grillo’ per ottenere il perfetto commento al presente sproloquio.
Se si pone la mente a considerare il versetto 7,2 del Qoelet (“È meglio andare in una casa in lutto, che andare in una casa in festa; poiché là è la fine di ogni uomo, e colui che vive vi porrà mente”), si capirà molto di più della teologia del catafalco. Giusto per evitare la catatonia in cui è caduta oggi la nostra società e, purtroppo, anche la Chiesa che preferisce cantare che “la nostra festa non deve finire” piuttosto che il “De profundis”.
Non si poteva evitare di trovare almeno un nostalgico del catafalcp, per di più maleducato
Ma è lei che ha introdotto l’articolo con la gustosa disputa fra due artisti su un catafalco. Lo ha servito su un piatto d’argento, di sua mano. Quella disputa è una piccola testimonianza di quanto importanti fossero i riti funebri e l’importanza che aveva nella vita il pensiero della morte: lei non lo ha compreso e perciò le ricade addosso. Un pensiero che a lei è totalmente sfuggito, ma le è poi sfuggito il finale spogliamento della bara della corona e degli altri segni del potere. Lei è rimasto chiuso nella sua ideologia e il suo unico pensiero è stato di vedere nelle mie parole una nostalgia per il catafalco, cosa che, per la mia età, non ho perché non ne ho mai visto uno direttamente, ma vedendolo ora e meditandovi sul significato, non riesco a non coglierne il senso.
Non sono un nostalgico nè di catafalchi nè di cerimonie a cui non ho assistito (se non in forma indiretta tramite youtube e similia). Trovo però, caro Grillo, il suo commento piuttosto insulso e incongruente, tipico di chi vuole dimostrare le proprie tesi senza capire quelle altrui. In sostanza comunque ha ragione: la cara morte tutto livella. anche i fautori della kenosis pseudoconciliare.
Con i migliori auguri.
MB
Professore Grillo,
che la morte sua una livella lo ha già insegnato il grande Totò e con più fosche tinte anche l’Achille dell’Eneide che, re dei morti, ammonisce Enea di come sia preferibile essere servo dei servi dei vivi…non abbisognavamo dunque della sua sueta lezioncina in difesa delle riforme conciliari, dalle più importanti alle irrilevanti, da guardiano della rivoluzione, preoccupato che nessuno mai, per nessuna ragione e nessuna circostanza possa anche solo indirettamente mettere in discussione o apprezzare un minimo aspetto del passato. Il catafalco che tre miliardi di persone hanno voluto vedere nei giorni scorsi e che il Popolo Britannico ha innalzato per la sua Regina testimonia invece che nella sfera del sacro (e cosa c’è di più umanamente sacro della morte) non premiano le novità, ma la tradizione(anche solo con la t minuscola), che è consapevolezza di porsi in una linea ininterrotta con chi ci ha preceduti, è umiltà che riconosce che ciò che era adeguato per i nostri avi lo è per noi, è intelligente sentire che non siamo sempre superiori ai nostri vecchi solo perché veniamo dopo e che sovente dai loro costumi avremmo da imparare più che con saccente supponenza distaccarci.
Non entro per brevità sulle sue considerazioni del sangue, troppo banali per meritare più di un accenno al fatto che il Signore volle nascere sì nell’indigenza della stalla di Betlemme, ma in una famiglia di stirpe reale (cantiamo ancora a Natale “tu di stirpe reale décor, tu virgineo mistico fior” nonostante i tentativi di rivoluzionare ogni aspetto liturgico e devozionale che una certa falange, sempre più armata, di adoratori del nuovo per il nuovo pone in essere).
Ricordo invece, a proposito del Papa, che la Chiesa non è una comune socialistoide, ma una societas inequalium, e ciò per volere di Cristo, che ha voluto alcuni come Apostoli, e altri discepoli, ha istituito il sacramento dell’Ordine non come una semplice funzione, ma quale costitutiva consacrazione che imprime il carattere, perché ciascuno nel Corpo mistico, stia al suo posto ed agisca per il bene di tutti, ma entro la sua funzione, da vivo e da morto.
Alla nobiltà di sangue di Gesù e alla come societas inequalium dedico un pensiero preoccupato. La storia e la tradizione non si difende coi musei