Piramide? No grazie! Compagnia-cum pane (di Cosimo Scordato)
Nel dibattito suscitato dai post precedenti (miei e di Cosimo Scordato su questo blog) è intervenuto oggi Umberto Rosario del Giudice, canonista, che nel suo blog ha scritto un testo molto stimolante, che ripensa la “dignità” dei ministri cattolici, pensata come “dignità dal basso” e come “dignità dall’alto” (il suo testo, dal titolo “Ministero ordinato e forme semplici di ‘dignità'” si può leggere qui). A questo testo reagisce, proseguendo la riflessione, Cosimo Scordato, con la riflessione che pubblico qui di seguito. Le risorse della teologia, del diritto canonico e della identità ecclesiale attraversano la storia e si confrontano con la maturazione che le stesse parole del Concilio chiedono alla Chiesa di oggi: perché sappiamo distinguere bene “ciò che non muore e ciò che può morire” della tradizione. In questo dialogo tra giuristi e sacramentalisti scopriamo anche un bel contributo per il cammino sinodale della Chiesa italiana, che deve pensare in grande e non lasciarsi condizionare dalle zavorre che la affaticano e la appesantiscono.
Piramide? No grazie! Compagnia-cum pane
di Cosimo Scordato
Interagendo con l’ultimo intervento di U. Rosario Del Giudice, del quale ho apprezzato gli accenni di ricostruzione storica e il tentativo di alleggerire l’apparato ecclesiastico da titoli, stemmi e altro ancora, vorrei insistere sulla esigenza di pensare a un nuovo paradigma di ecclesialità. Non ho la pretesa di offrirlo anche perché richiede, oltre che l’attenzione ai segni del tempo e della storia, un processo di maturazione ecclesiale e l’affermarsi di un certo consenso. Mi limito ad offrire, però, un elemento come possibile nuovo punto di partenza.
Il Vaticano II e il suo linguaggio
Il riferimento obbligato resta il Concilio Vaticano II, che assumo come traguardo importante rispetto al passato, ma soprattutto come punto di partenza verso il futuro e quindi, comprensibilmente, riconoscendone sollecitazioni importanti ma solo parzialmente realizzate.
Ebbene la Costituzione dogmatica sulla Chiesa ha segnato una svolta di non ritorno nel momento in cui, nell’orizzonte del mistero della Chiesa del primo capitolo, afferma che il soggetto ecclesiale tout court è il Popolo di Dio nel secondo capitolo. Detta affermazione, per quanto ripresa e ribadita in tante riflessioni sistematiche, non ha ancora prodotto il suo risultato determinante anche perché il popolo di Dio è stato messo in pendant, quasi come suo correttivo, con la Costituzione gerarchica della Chiesa del terzo capitolo.
Personalmente sono convinto che, rispetto al passato, non era facile spingersi ulteriormente; ma, col senno di poi, tendo a riconoscere che non solo il lemma ‘costituzione gerarchica’ costituisce una pessima formulazione (gerarchia e gerarca evocano il peggio della nostra storia); ma sono convinto che, ciò che nel terzo capitolo viene affermato, deve essere ripensato nella direzione di ciò che il dopo Concilio ha maturato successivamente in diversi documenti: la Chiesa è tutta ministeriale e dentro questo orizzonte va compreso il senso del ministero ordinato.
Il battesimo e il ministero ordinato
Detto più espressamente, il popolo cristiano è il soggetto princeps della ecclesialità e della ministerialità e ciò perché in forza della iniziazione cristiana ogni credente è figlio di Dio, costituito come sacerdote, re e profeta in forza del battesimo; arricchito dei doni/carismi dello Spirito in forza della cresima; con-corporeo col Signore e con tutta la comunità in forza della eucaristia. Ciascun membro della comunità cristiana è abilitato alle infinite forme di servizio esprimibili nei diversi ambiti della Parola, della regalità e della liturgia e altro ancora, dentro la Chiesa e dentro la società.
A garanzia di tale dinamismo suscitato e animato dallo Spirito di Cristo, vengono costituiti col sacramento del ministero ordinato coloro che hanno il compito di salvaguardare e celebrare la comunione di tutti i membri nei diversi ambiti di realizzazione: chiesa locale, chiesa parrocchiale, diaconia (vescovi, presbiteri, diaconi). Essi sono i servi della comunità e debbono guardarsi dallo scivolare a diventarne i padroni! Ebbene, ci permettiamo di dire che, rispetto a questa nuova consapevolezza, si rendono inevitabili almeno due processi di inevitabile maturazione.
Due maturazioni necessarie
Il primo è quello di sgombrare il terreno da tutte quelle superfetazioni che hanno accompagnato la realizzazione del ministero ordinato omologandolo di volta in volta con altre forme della vita sociale; ci riferiamo a privilegi, onori, titoli di vario genere… tutte cose inutili e dannose che offuscano la regale bellezza dell’umile servizio reso in ginocchio, ai piedi della comunità, come Gesù nell’ultima cena.
Il secondo processo è relativo al processo di maturazione che deve sollecitare il popolo cristiano a diventare sempre più consapevole della propria dignità in senso evangelico, e quindi della propria soggettualità ecclesiale; ciò non per rivedicazionismo populistico, quanto piuttosto per presa di coscienza della propria identità filiale, crismale-pneumatica, eucaristica-cristica. Mettiamo in conto che ciò dovrà comportare, inevitabilmente, che vada sempre più arretrando la mentalità ‘clericale’ di coloro che, all’interno, e non di sopra o al di fuori della comunità, non si ritengono nè superiori nè inferiori, ma semplicemente accanto e a servizio.
Non siamo per nessuna piramide, né rivolta all’alto nè rivolta al basso, ma siamo per la compagnia (cum pane) della mensa, che trova tutti intorno alla stessa mensa, intavolata dal Signore perché tutti morti di fame, bisognosi di essere sfamati di vita e di vita piena… reciprocamente!
Nel testo I fondamenti a commento del terzultimo post qui pubblicato osservo che circa il collegio dei vescovi non vi è parità senza primato né primato senza parità. Vi è sempre un equilibrio nello Spirito di Gesù Dio e uomo tra due poli. Tanta la storia della cultura oscilla tra due poli: teoria e pratica, identità e incontro, parità e primato, perché non cerca sempre più l’equilibrio trinitario in Cristo. Nel racconto seguente esplicito alcune possibili vie di una rinnovata sinodalità di cui, se, come, quando, Dio vuole, sembra esservi bisogno come il pane.
https://gpcentofanti.altervista.org/un-racconto-breve-habemus-papam/
Grazie a Umberto Rosario del Giudice per il suo bel testo. Quando fui ordinato diacono e poi sacerdote, rimasi molto colpito dalla prostrazione ai piedi di tutti mentre si cantavano le litanie dei santi. Davanti a Dio, sono diventato il servo di tutti. Successivamente ho letto le due diverse reazioni di Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord e François de Sales durante la prostrazione della loro ordinazione episcopale. Talleyrand, che aveva detto che la gente si sarebbe pentita di averlo fatto sacerdote, svenne mentre Francesco di Sales sperimentava una grazia trinitaria mistica. Preferisco la gerarchia conciliare orizzontale nello stile François de Sales rispetto allo stile principesco di Talleyrand. Al diavolo le Eccellenze ei Monsignori con i loro cappelli e le loro nappe! Lo Spirito Santo saprà bene ispirarci un nome più semplice e più adatto ai nostri tempi per i nostri vescovi.