Preparate la via del Signore
II DOMENICA DI AVVENTO – A
Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12
Introduzione
La seconda tappa dell’itinerario dell’avvento si sposta dal discorso apocalittico, alla predicazione di Giovanni Battista. Non dobbiamo ridurre la figura di Giovanni Battista a una «figura dell’Avvento», in quanto ci dice qualcosa dell’Avvento o delle modalità per vivere questo tempo liturgico. La liturgia non ci spinge a guardare al messaggio che portò Giovanni ma all’evento che fu Giovanni. È il «tempo di Giovanni» che viene celebrato dalla liturgia e proiettato realmente nell’attuale esistenza delle Chiese e dei credenti. In particolare, il Vangelo di Matteo ci guida proprio in questa direzione.
La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia (Is 11,1-10) pone l’evento di Giovanni il precursore sullo sfondo della profezia isaiano del rinnovamento della discendenza di Davide, attraverso l’immagine del germoglio che spunta dal tronco di Iesse. Dio non restaura qualche cosa di vecchio, ma crea qualche cosa di nuovo, pur rimanendo fedele alle sue promesse. Nella seconda lettura (Rm 15,4-9) l’esortazione dell’Apostolo si fonda sul fatto che «Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri». La fedeltà di Dio nel compimento delle sue promesse diventa per il credente motivo di impegno nella storia e di vita nuova.
Commento
Giovanni è una figura dell’attesa di Dio. Un’attesa autentica, sincera, aperta: senza paracadute, senza false sicurezze, senza sapere già in partenza, come spesso capita a noi, ciò che bisogna trovare.
Innanzitutto, Giovanni è un uomo del deserto. Egli è ritornato lì dove Israele ha vissuto la sua ricerca di Dio e dove, soprattutto, il Signore ha vissuto la ricerca del suo popolo. Pensiamo a quanto dice YHWH attraverso Geremia profeta: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata» (Ger 2,2). Giovanni è uno che nella sua ricerca, nella sua attesa di Dio, ritorna alle fonti, alle origini, lì dove è possibile ascoltare nuovamente la Parola del Signore.
Giovanni vive la sua attesa come un uomo di Dio, un profeta. Veste come Elia (2Re 1,8), si inserisce in quella lunga schiera di amici di Dio che a partire da Abramo si sono fatti attenti alla sua Parola per diventarne testimoni: uditori della Parola e chiamati a condividere la medesima sorte di rifiuto della Parola. Giovanni, come tutti i profeti, è chiamato a gridare: «preparate la strada del Signore!».
Giovanni vive la sua attesa come uomo della Torah, preoccupato di custodire nella sua vita la comunione con Dio e di fare della sua intera esistenza un atto di culto a lui gradito. Egli mangia kasher, locuste, come è attestato dal Libro del Levitico (Lv 11,22) e miele selvatico, mai toccato da mano di uomo. Con la sua esistenza «separata/santa», con le sue azioni, con le sue scelte, Giovanni vive, come Israele, la sua testimonianza della santità di Dio e così attende la manifestazione della salvezza.
Giovanni inoltre è figura dell’attesa perché vive la conversione e richiama alla conversione. Giovanni, ancora una volta sulla scia di tutti i profeti, invita tutti, e in particolar modo gli uomini religiosi del suo tempo, a non dare nulla per scontato, a non assumere l’appartenenza religiosa e l’osservanza esteriore come alibi per astenersi da un autentico processo di conversione a Dio e alla sua giustizia.
Giovanni è anche una figura del «dialogo», se lo vogliamo ascoltare. Lo è con la sua ricerca aperta, libera e radicale. Una ricerca che sa che il compimento della Parola di Dio non sta alle nostre spalle, ma davanti a noi.
Conclusione
Questi sono alcuni dei tratti che fanno di Giovanni una figura dell’attesa. L’evangelista Matteo ce lo propone all’inizio del suo Vangelo come modello da fare nostro per scorgere nelle pieghe della nostra storia la presenza di Dio e la sua salvezza e perché «in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la Speranza». Come gli interlocutori di Giovanni nel brano evangelico, anche noi siamo chiamati a non vivere nella storia in base alle certezze che provengono dalle appartenenze umane, ma all’impegno che nasce dal saper vedere nella storia il germoglio, piccolo e fragile, dell’opera di salvezza di Dio che è già presente e silenziosamente cresce per trasfigurare il creato e le vicende dell’umanità.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli