PRESERVATIVI SESSUALI E PRESERVAZIONI ECCLESIALI La questione sistematica


VaticanoI

Una singolare analogia permette di scoprire come, attorno alla questione degli anticoncezionali, la dottrina cattolica del matrimonio e della sessualità abbia subìto una trasformazione e una polarizzazione del tutto in contrasto con quasi due millenni di storia. Potremmo dire che, di fronte alle nuove sfide che il XIX e XX secolo proponevano alla Chiesa, la Chiesa abbia reagito accettando una polarizzazione e una semplificazione della dottrina matrimoniale e sessuale che ha quasi sfigurato la sua tradizione. In particolare, le parole d’ordine che hanno guidato la reazione, prima alla fine dell’Ottocento e poi nella prima metà del Novecento, hanno introdotto un modo di guardare alla realtà che ha creato una assoluta distanza tra Dio e uomo. In realtà questa lettura è stata guidata da un’urgenza che non è teologica ma politico-ecclesiastica, ossia dal bisogno di una difesa ad oltranza dell’autorità ecclesiastica su matrimonio e sessualità. In questo modo una teologia schiettamente ecclesiastica, e quindi preoccupata di operare sul piano della autorevolezza e del potere, ha largamente dimenticato la ricchezza di pensiero con cui la tradizione ha pensato questi temi.

Origine remota (Tametsi 1563)

Ciò che accade tra Ottocento e Novecento trova la sua premessa nella grande svolta costituita dal decreto Tametsi, con cui la Chiesa cattolica intende requisire in sé tutta l’esperienza matrimoniale e sessuale. È interessante che la parola che dà titolo al decreto – “tametsi”- segnali che i Padri tridentini erano consapevoli dell’azzardo che proponevano, ossia del superamento di tutte le forme di matrimonio irregolare o clandestino che sempre erano state riconosciute come valide. In quel “tametsi” c’è il segno di una svolta istituzionale che introduce una competenza totalizzante in capo alla Chiesa, primo tra gli stati moderni a burocratizzare il rapporto con matrimonio e sessualità. Ciò che accade 50 anni dopo nel Rituale del 1614 è sorprendente: mentre prima il consenso restava sullo sfondo e l’atto ecclesiale era la benedizione, ora il centro del rito del matrimonio è il consenso e la benedizione diventa marginale. Questa è la premessa di una autocoscienza ecclesiale che ritiene di avere in sé le competenze su tutti i livelli di esperienza matrimoniale e sessuale. Si noti che è una cosa del tutto nuova, che comincia 1500 anni dopo la nascita della Chiesa.

Crisi tardo-moderna

Col sorgere degli stati liberali nasce anzitutto una nuova competenza sull’unione tra i coniugi. La prima reazione della Chiesa è negare ogni competenza diversa dalla propria. Dal punto di vista sistematico, però, è interessante vedere quali argomenti si utilizzano per giustificare questa negazione. Colpisce molto il fatto che si dica che è Dio che unisce i coniugi e non l’uomo. In questo modo viene spostato sul piano teologico lo scontro tra Chiesa e Stato: la Chiesa custodisce il primato di Dio, mentre lo Stato tenta di imporre il primato dell’uomo. Lo stesso avviene qualche decennio dopo, ai primi del Novecento, sul piano della generazione: è Dio che fa nascere i bambini, non l’uomo, perciò ogni metodo anticoncezionale è negazione di Dio e affermazione dell’egoismo umano. Questo modo di argomentare non si trova mai nella tradizione precedente ed è il frutto di una pressione culturale e contingente in cui la Chiesa cattolica perde la ricchezza della tradizione. Se c’è una cosa chiara nella tradizione precedente è che le logiche di unione e di generazione non sono mai né del tutto divine né del tutto umane. Spaccare in due la realtà è molto utile per far fronte alle difficoltà, ma non è un grande esercizio di intelligenza e di prudenza. Questo modo di ragionare continua fino ad oggi e se ne può leggere il documento insieme tragico e comico di quel teologo americano, se teologo vogliamo chiamarlo, che dice che la contraccezione è più grave dell’aborto: infatti, mentre il secondo sopprime il frutto di generazione voluto da Dio e da Dio realizzato, la prima osa sottrarre a Dio la possibilità stessa di generare. I sofismi antimodernisti che attraversano questa regione del sapere teologico sono pericolosissimi.

Il dibattito attuale

Troviamo dunque una serie di posizioni ufficiali che costellano l’ultimo secolo e nelle quali la contraccezione o paternità/maternità responsabile viene spesso ricondotta a questi argomenti minori e fragili. Il punto di vista sistematico chiede nuova coerenza tra comprensione del fenomeno e risposta teologica. Per prendere questa strada è importante recuperare la grande tradizione su matrimonio e sessualità, che è stata molto più libera e audace di quanto pensiamo, se proviamo a leggerla senza gli occhiali del decreto Tametsi. In sostanza, si tratta di riconciliare in modo articolato i tre livelli che la teologia sistematica scolastica ha identificato nella generazione: essere generati per la natura, essere generati per la città e essere generati per la Chiesa sono tre esperienze che non si lasciano unificare in un sol punto. Ed è curioso che, nella nota argomentazione con cui Paolo VI ha strutturato Humanae vitae, la dimensione ecclesiale può trovare una piccola via d’uscita dal proprio imbarazzo solo nei “metodi naturali”, come se l’esperienza civile, con la sua creatività e la sua autonomia, fosse semplicemente una deriva sospetta e pericolosa del generare. Un modello di uomo naturalizzato e quindi privato di quelle caratteristiche di parola, di coscienza e di manualità che lo rendono unico, viene utilizzato per uscire dalla crisi. Ma anche qui, come ha sottolineato Peter Hünermann, una teologia del matrimonio semplificata implica una lettura dell’uomo troppo stilizzata e senza vera soggettività. Nella discussione attuale sulla contraccezione non è in gioco un mutamento della dottrina, ma una migliore fedeltà alla relazione complessa che nel generare stringe in un solo nodo l’azione di Dio e l’azione dell’uomo. Rispettare il nodo, anziché tagliarlo o scioglierlo, è il compito di questa fase della migliore teologia sistematica cattolica.

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