Quale è il centro di gravità del vivere oggi?
Nel recente numero di “Munera”, 3- 2018, il dossier mette a tema Pensare la morte. Svolgendo le riflessioni per il mio contributo mi sono imbattuta in una riflessione teologica del cardinale Lustiger che, nel 1993, segnalava la peculiarità della concezione cristiana della morte, coincidente con lo spostamento del centro di gravità della vita nel battesimo (a qualunque età lo si riceva), in netto contrasto con l’orientamento post-cristiano contemporaneo, teso tra fascinazione della morte, suo oblio e pericolosa e varia gestione di un mercato di succedanei. Mentre nell’editoriale, dello stesso numero di “Munera”, si parla di una diffusa “rimozione della morte che rischia di diventare un’allucinazione collettiva”, il saggio di Bernard Schumacher, É forse morta la morte?, mette in evidenza che questa rimozione ha assunto la configurazione di una corrente di pensiero, il transumanesimo. In un recente breve articolo (Sino alle soglie dell’immortalità?, “L’Osservatore Romano”, 27.9.2018, p. 8) Dario Fertilio collega questa rimozione alla “incombente dittatura della tecnica”, che impone un indiscriminato principio di ottimizzazione, coincidente con una ingegneria sociale “in veste apparentemente democratica e portatrice di sempre nuovi diritti”.
Spostando il centro della vita nella nascita battesimale, afferma la tradizione cristiana occidentale, la morte assume figura di un trapasso che è insieme dies natalis di un’altra vita, inimmaginabile nella sua conformazione ma già fin d’ora iniziata. Riti e luoghi di sepoltura attestano la conseguenza più immediata di questo spostamento nella memoria collettiva e individuale: quest’ultima infatti vive di quel dialogo tra vivi e morti che rende la morte, comunque strazio e strappo, parte della vita. Si apre allora un interrogativo che riguarda tutti già fin d’ora: di quale immaginario, di quali memorie anche figurate, alimentiamo il senso del vivere e del morire, nostro e di chi ci è caro? Pensiamo alle celebri Danze macabre, come ad esempio quella di Clusone o di Pinzolo nel Trentino, o ai Trionfi della morte (come, per ricordarne una, quella del Camposanto di Pisa), sorte in momenti di storia precisi, tra medioevo e rinascimento, sotto la pressione di pestilenze devastanti. Oppure pensiamo alle prime raffigurazioni cimiteriali, nelle catacombe romane, dove i segni evocano Cristo, la Chiesa, la Pace, il Cielo, non dunque il morire ma il vivere alla luce di una certezza di salvezza. Oppure al celebre colloquio tra Sant’Agostino e la madre Monica poco prima della morte di quest’ultima, preoccupata solo di un ricordo buono del vivere.
Che ne è oggi dell’immaginario individuale e collettivo di chi, probabilmente ancora molti, avendo ricevuto il battesimo cristiano hanno notizia e, si spera, esperienza del radicale spostamento del centro di gravità della propria vita? Chi potrebbe informarci? Dei disegni di bambini? Espressioni di arte contemporanea? Arte e architettura cimiteriale? Riflessioni autorevoli?Nel recente numero di “Munera”, 3- 2018, il dossier mette a tema Pensare la morte. Svolgendo le riflessioni per il mio contributo mi sono imbattuta in una riflessione teologica del cardinale Lustiger che, nel 1993, segnalava la peculiarità della concezione cristiana della morte, coincidente con lo spostamento del centro di gravità della vita nel battesimo (a qualunque età lo si riceva), in netto contrasto con l’orientamento post-cristiano contemporaneo, teso tra fascinazione della morte, suo oblio e pericolosa e varia gestione di un mercato di succedanei. Mentre nell’editoriale, dello stesso numero di “Munera”, si parla di una diffusa “rimozione della morte che rischia di diventare un’allucinazione collettiva”, il saggio di Bernard Schumacher, É forse morta la morte?, mette in evidenza che questa rimozione ha assunto la configurazione di una corrente di pensiero, il transumanesimo. In un recente breve articolo (Sino alle soglie dell’immortalità?, “L’Osservatore Romano”, 27.9.2018, p. 8) Dario Fertilio collega questa rimozione alla “incombente dittatura della tecnica”, che impone un indiscriminato principio di ottimizzazione, coincidente con una ingegneria sociale “in veste apparentemente democratica e portatrice di sempre nuovi diritti”.
Didascalie delle immagini
1- Sant’Ambrogio battezza Agostino e il figlio Adeodato, cattedrale del SS Pietro e Paolo, Troyes, Scultore di Troyes, 1549
2-Danza macraba di Clusone, Oratorio dei disciplini, Giacomo Borlone de’ Buschis, 1584-5
Mi permetto di fare qualche riflessione avendo avuto recentemente l’esperienza della morte di una persona a me molto cara, di cui avverto la mancanza ogni ora, ogni minuto.
Eppure, non è l’unica mia esperienza di questo genere; ma è di certo un’esperienza SEMPRE NUOVA.
“É forse morta la morte?”
Purtroppo no, non lo è (ovviamente). E non importa che la fede cristiana ci induca a ritenere che la morte è solo un passaggio verso una vita più piena e più bella.
La realtà è che la vita, in carne e spirito, respinge la morte. Non riesce ad accettare la mancanza del corpo, della voce, del sorriso e del pianto di una persona cara. Vengono a mancare, cioè, le radici che hanno alimentato, almeno in parte, la nostra stessa vita.
Resta la speranza? Dipende…La speranza però non è mai certezza, lo sappiamo bene. È solo un’àncora cui aggrapparsi per non naufragare nel dolore. Forse la speranza è un’illusione.
C’è comunque da chiedersi: perché i nostri cari morti scompaiono per sempre dalla nostra vista e diventano ( crudelmente) evanescenti? Restano nella memoria sì, ma è poco; e se la memoria si indebolisce per una debolezza organica, allora neanche quella li riporta da noi.