Quando le svolte del Vaticano II diventano “sciocchezze” (balderdash). Ovvero Sequeri restituito a se stesso


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Mi soffermo sul centro delle contestazioni mosse contro P. Sequeri. Ecco la frase incriminata e dileggiata, da Weigel e tanti altri commentatori, che si arrendono inspiegabilmente di fronte al linguaggio non immediato di questa proposizione e la riducono a “balderdash” (bisogna ricordare, infatti, che il titolo del testo polemico di Weigel suona “Balderdash on the Tiber” ossia “Sciocchezze sul Tevere”):

La ricomposizione del pensiero e della pratica della fede con l’alleanza globale dell’uomo e della donna è ormai, con tutta evidenza, un luogo teologico planetario per il rimodellamento epocale della forma cristiana. E per la riconciliazione dell’umana creatura con la bellezza della fede. Detto nei termini più semplici, attraverso il superamento di ogni intellettualistica separazione fra teologia e pastorale, spiritualità e vita, conoscenza e amore, si tratta di rendere persuasiva per tutti questa evidenza: il sapere della fede vuole bene agli uomini e alle donne del nostro tempo”.

Per chi la legga senza pregiudizi, sia pure confrontandosi con lo stile esigente della “scuola milanese”, appare un testo limpido. Che fa difficoltà, non per la forma, ma per il contenuto, che cammina speditamente nella linea inaugurata e sancita dal Concilio Vaticano II. Provo ad illustrarne la logica, con un minimo di fatica ermeneutica:

a) La “cultura tardo-moderna” chiede alla teologia e alla vita di fede una “ricomposizione”, una “conciliazione”, che implica un “rimodellamento della forma cristiana”. Per “forma cristiana” si intende, appunto, quel modo oggettivo e soggettivo, intenzionale e istituzionale, con cui la Chiesa esprime e sperimenta “ciò che essa pensa di sé” (Paolo VI). La teologia del matrimonio e della famiglia si inserisce in questo grande “cantiere”. E’ evidente che chi rimane aggrappato alla contrapposizione ottocentesca tra “stato laico anticlericale” e “chiesa assediata che difende la fede” questo intento – che non è di Sequeri, ma del Concilio Vaticano II – appare come una sciocchezza o come un tradimento. Bisogna soltanto contrapporre alla vita “laica” un modello totalmente diverso, che si costruisce sulla base di una autorità che sta solo nel passato. Presente e futuro non hanno nulla da insegnare. E bisogna diffidarne. Questa non è tradizione cattolica, ma degenerazione inacidita del modello ottocentesco di magistero cattolico.

b) Si tratta, in parallelo, di riconciliare la creatura umana, l’uomo e la donna “naturali” e “laici”, con la bellezza della fede. Continuando sulla strada, non nuova, che cerca i passaggi di continuità tra naturale e soprannaturale, Sequeri indica la via, senza cadere nelle forme facili ma errate di semplicistica contrapposizione e opposizione. Per usare una terminologia di cui la “scuola milanese” – a chi sia disposto a comprenderla – ha fatto largo uso: mostrare e far emergere la dimensione “credente” della coscienza, con un disegno di sintesi e di rilettura fondamentale della tradizione speculativa che in nessun modo può essere ridotto a “gnosticismo”, ma che fa i conti con le “ragioni della fede”, senza cedere alle facili soluzioni fideiste o razionaliste.

c) Prima di fornire una “traduzione più diretta” di questo intento, che viene offerta alla fine del testo, viene precisata la esigenza di superamento di tutti gli schemi “oppositivi”, e fallaci, con cui si fa valere, semplicisticamente, una “intellettualistica separazione fra teologia e pastorale, spiritualità e vita, conoscenza e amore”. Se Weigel e compagni di cordata non avverte il problema, ed anzi può considerarlo una “sciocchezza”, almeno si informi sul fatto che dal almeno 200 anni la teologia più avvertita lavora su questo livello e lo stesso Giovanni Paolo II, da giovane, lo ha sentito e lo ha studiato seriamente, in dialogo con la fenomenologia, anche se il suo biografo sembra non essersene accorto. Forse ciò che si considera “sciocchezza” non è altro che “apaideusìa” e “rozzezza” non del testo che si legge, ma della testa che lo legge.

d) Ed ecco la formulazione “facile” che chiude il testo: che scandalo! Una teologia, un “sapere della fede” che “vuole bene” agli uomini e alle donne del nostro tempo. Come è possibile? Che cosa significa? Non è altro che la traduzione, in linguaggio nuovo, ma fedele, del grande auspicio del Vaticano II, formulato con parole indimenticabili da Giovanni XXIII, quando nel discorso inaugurale del Concilio, diceva:

Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando.”

Il testo di Sequeri riprende questa grande tradizione, e lo fa con tutta la urgenza di una svolta necessaria. Coloro che restano scandalizzati, o che semplicemente non capiscono, forse non hanno mai davvero considerato questo orizzonte conciliare, largo, aperto, sereno, potente, fedele. Di per sé, studiare accuratamente un papa non dovrebbe significare ignorare tutti gli altri, predecessori o successori che siano. Così, nel dichiarare “balderdash” parole così importanti, si possono vestire facilmente i panni dei “profeti di sventura”, di cui, nello stesso discorso del 1962, Giovanni XXIII disse:

non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.

Il breve testo di Sequeri, nell’ambito della presentazione di una “proposta formativa”, attesta una lucida attenzione per la eredità conciliare. Chiamare “sciocchezze” queste parole non solo offende le orecchie del lettore attento, ma determina una presa di posizione che mira a colpire non tanto il suo autore, Sequeri appunto, quanto il Concilio Vaticano II e il papa che dal 2013, esplicitamente, ha voluto riprenderne orientamento e determinazione.

Dove il profeta di sventura vede solo Vandali distruttori, un passaggio dello Spirito apre la Chiesa sul presente e sul futuro.

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