Sacerdozio (e donna) in “Querida Amazonia”: le letture critiche di Lafont e Boff


amazzonia

Come si era notato fin dai primi momenti, il IV sogno di QA è bruscamente interrotto da un incubo. La qualità stessa del testo, il suo lessico e persino la sua sintassi, subiscono una torsione e risultano come “congelati” dalla paura. Questo giudizio è stato condiviso e fatto oggetto di preziosa riflessione da due dei più grandi teologi cattolici viventi. Ghislain Lafont ha dedicato al tema due testi ( qui e qui) del suo Blog “Des moines et des hommes”, mentre Leonardo Boff ha scritto un testo apparso ieri sul Blog “Confini”di Pierluigi Mele. Esaminiamo sommariamente il contenuto di queste critiche.

a) Gh. Lafont e la prospettiva preconciliare sul sacerdozio

Il punto-chiave dell’analisi critica di Lafont è il “modello” di sacerdozio a cui QA si riferisce. Egli presenta un “quadro sinottico” di confronto tra “visione conciliare” e visione “preconciliare” del ministro ordinato. Il modello conciliare è presentato con queste parole:

Il Concilio ha parlato della Chiesa prima di parlare dei vari membri (LG 1 e 2). Ha parlato del sacrificio e del sacerdozio spirituale prima di parlare del sacrificio e del sacerdozio sacramentale (LG, 10, PO 2). In altre parole, il sacramento dell’ordine è ordinato al sacramento del battesimo, dato a tutti i cristiani con la grazia e i carismi ad esso collegati.
Il Concilio ha riflettuto sul sacerdozio dei preti a partire da quello dei vescovi: sono due gradi diversi di una identica ordinazione e missione (LG 21 – vescovi, 28-sacerdoti).
Il Concilio ha attribuito al carattere sacramentale dell’Ordine una portata globale. Questo carattere fonda l’insieme della missione del vescovo (e del sacerdote): proclamazione della parola, celebrazione dei sacramenti, guida della comunità (LG 21). Significa e conferisce una funzione globale alla governance, alla leadership, che gioca il suo ruolo nella missione di quella Chiesa particolare.
In sintesi, è la Chiesa che evangelizza, che offre il sacrificio spirituale, perdona i peccati e fa circolare la grazia. È la Chiesa che celebra l’Eucaristia. Il sacerdote, nella comunità a lui affidata, è animatore, moderatore, responsabile; a questo titolo celebra l’Eucaristia, insieme alla comunità.

A fronte di questo modello, QA sembra tornare a stili e concetti superati, ai quali sta a cuore lo “lo specifico” del sacerdote, in termini di sacro, gerarchia, autorità. Ascoltiamo le sue parole:

Essa cerca di determinare ciò che è specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato ad altri. Questa identità è definita come configurazione al Cristo Sacerdote attraverso l’ordine sacro; essa sottolinea l’assunzione da parte del sacerdote di un carattere ordinato alla presidenza dell’Eucaristia.
Ciò non esclude una configurazione al Cristo Capo, dato che questo potere gerarchico, questa suprema autorità è ordinata alla santità di tutta la Chiesa. Anche in questo caso, il sacerdote manifesta la sua posizione di capo nella celebrazione dell’Eucaristia: lui solo può dire “questo è il mio corpo”.
A questi aspetti specifici si devono aggiungere le parole relative al perdono dei peccati, quindi i sacramenti della penitenza e dell’unzione dei malati.
Pertanto, l’identità esclusiva del sacerdote si trova in questi tre sacramenti. La specificità ricercata è tutta in ciò che, nell’uomo ordinato, è sacro, gerarchico, supremo.
Poiché l’Eucaristia è al centro della vita della Chiesa, il Papa non può che sollecitare la moltiplicazione dei sacerdoti in Amazzonia, pregando, ma anche orientando le vocazioni verso il ministero amazzonico. Bisogna però riconoscere che il discorso sul sacerdote in questi numeri della QA è in linea con quanto si leggeva prima del Concilio nei manuali di teologia sul sacramento dell’Ordine, e ciò che si trova anche in alcuni passaggi dei documenti del Vaticano II, che il magistero successivo ha ripetuto spesso. Ma questa insistenza va a scapito di ciò che c’è di nuovo nell’ insegnamento del Concilio, che ho riassunto sopra.

Dunque, in un documento come QA, nel quale si leggono tante novità importanti, la parte dedicata al sacerdozio sembra scritta con una “mens” e con un linguaggio vecchio e superato. E tuttavia, nonostante questo, Lafont, nel suo secondo articolo, resta aperto a soluzioni sorprendenti. Proprio il “combinato disposto” di QA con il documento finale del Sinodo non impedisce, alle Chiese locali, di recepire un compito più ampio di quello che QA sembrerebbe sancire. La possibilità di ordinare “uomini sposati” non è esclusa. Infatti:

Da parte mia, ne traggo la conclusione che la palla è – ora o in un futuro che spero prossimo – nel campo delle chiese d’Amazzonia e, concretamente, di coloro tra i loro vescovi che avevano votato favorevolmente per questa ordinazione sacerdotale. D’altronde non è che, avendo dato esplicitamente un semaforo verde in “Querida Amazonia”, i problemi concreti sarebbero stati per ciò stesso risolti. Appoggiandosi sul testo del Sinodo e sull’invito del papa a vigilare sulla questione dell’Eucaristia, le chiese e i vescovi possono, direi persino devono immaginare una procedura che permetta alla misura di realizzarsi.

E sembra che questa riflessione di P. Lafont trovi, nella prassi amazzonica di questi giorni, una prima conferma.

b) L. Boff e il “diritto divino” alla Eucaristia

Anche la riflessione del teologo brasiliano mette in luce lo stridente contrasto delle categorie di sacerdozio e di donna che compaiono nella seconda parte del “quarto sogno”, trasformandolo in un incubo. Ed egli arriva a chiedersi “chi sia l’autore” di questa parte. Ad ogni modo, sulla base del testo, Boff, dopo aver apprezzato il valore epocale di QA per quanto riguarda la “difesa del creato”, di cui riconosce in Francesco il “campione del mondo”, si sofferma su alcune gravi lacune del testo, che raccolgo qui sotto in una serie di citazioni in corsivo:

– Per quanto riguarda il punto importante del ministero sacerdotale, l’ “autore” preferisce l’ecclesiastico tradizionale all’indigeno amazzonico. Al volto amazzonico della Chiesa preferisce, nel punto del ministero sacerdotale, il volto romano-latino occidentale. Analogamente a coloro che impongono la ricolonizzazione economica dell’America Latina, l’ “autore” ha preferito la ricolonizzazione latino-romana della Chiesa amazzonica. Contro coloro che, con la maggioranza dei voti nel sinodo Panamazzonico hanno accettato l’ordinazione dei “viri probati”, l “autore” ha scelto la minoranza che l’ha respinta.

–  la “Cara Amazzonia” non è “cara” nei confronti di questi indigeni sposati ai quali si nega l’ordinazione. Non è “cara” nei confronti delle donne, alle quali viene negato il ​​diaconato femminile, facendo inoltre presente, secondo me in modo infondato, il rischio del clericalismo. E non è “cara” soprattutto nei confronti di tanti teologi e vescovi, missionari e missionarie, che si trovano tra gli indigeni, come ha chiaramente detto il già citato vescovo Erwin Kräutler dal cuore dell’Amazzonia (Xingú). Tutti speravano veramente nell’approvazione dei viri probati: indigeni sposati e ordinati con un volto autenticamente amazzonico.

–  La visione di quel testo nel quarto sogno risale al Consiglio IV Lateranense del 1215 indetto da Innocenzo III, che dice “nemo potest conficere sacramentum nisi sacerdos rite ordinatus” (“nessuno può somministrare il sacramento eucaristico se non un sacerdote ordinato secondo il rito”). L’ecclesiologia di questo sogno applica il rigore del Concilio di Trento, che nella sessione XIII dell’11 ottobre 1551, sotto il pontificato di Papa Giulio III, ha ribadito la stessa dottrina esclusivista. Secondo la migliore ecclesiologia nata dal Concilio Vaticano II, la funzione/missione specifica del sacerdote dev’essere pensata non in modo assoluto, ma sempre all’interno del Popolo di Dio e nel contesto della comunità. La sua unicità non è consacrare assolutamente come un mago, ma essere nella comunità principio di coesione e di unità di tutti i servizi e carismi. Non è quella di concentrarsi, ma quella di coordinare. Per il fatto di presiedere la comunità, presiede anche alla celebrazione eucaristica.

–  Per questo continuano a destare perplessità le affermazioni: “È importante stabilire ciò che è specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato. La risposta si trova nel sacramento dell’Ordinazione sacra, che configura Cristo sacerdote … Il carattere esclusivo ricevuto con l’Ordinazione fa sì che solo lui sia abilitato a presiedere all’Eucarestia; questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile” (n. 87). È qui che credo – e non sono il solo – appare una “mano esterna”, con la sua ecclesiologia del potere specifico e indelegabile di consacrare, visione sacerdotalista, arretrata e scollegata dalla comunità della fede. Con questa visione invano può realizzare un’inculturazione del ministero sacerdotale a indigeni viri probati sposati, che darebbero un volto veramente amazzonico alla Chiesa. Anche in questo caso si continua a portare avanti un cristianesimo di colonizzazione dentro al paradigma cattolico-romano, occidentale e favorevole al celibato.

– Ma noi non vogliamo non ricordare un paradosso flagrante: una donna può generare un figlio che è Figlio di Dio. Questa stessa donna che ha dato alla luce questo figlio che è Figlio di Dio non può rappresentare suo figlio che è figlio di Dio. Solo per il fatto di esser donna. Le Scritture dicono che questa donna, Maria, “è benedetta tra tutte le donne” (Lc 1,41). Sembra tuttavia che non sia benedetta abbastanza per rappresentare il proprio Figlio che è il Figlio di Dio che si è fatto uomo

Si deve notare come in Leonardo Boff conviva un linguaggio della denuncia aperta di un “modello teologico di colonizzazione” con un linguaggio del “diritto divino” all’eucaristia, che non può essere condizionato da evidenze contingenti, come il celibato dei ministri. Ma  la logica della inculturazione impone, come è giusto, processi argomentativi nuovi, non solo parole classiche.

Resta, comunque, come dato comune ai due autori, la registrazione di un “deficit teologico” nel IV sogno, rispetto al tenore riflessivo e argomentativo nel resto del documento. Un deficit solo parzialmente colmato dall’onesto riconoscimento con cui QA si impegna a “non sostituire” il testo del documento finale del Sinodo. Questo atto di onestà ecclesiale – che non sarà facile da gestire, proprio per la sua indeterminatezza – lascia aperti gli sviluppi futuri, che in parte sembrano già in corso. Per comprendere questi sviluppi potremmo dire che, per il momento, valga il principio “sit pro ratione voluntas”. Resta il fatto che a queste dinamiche di riforma, prima o poi, occorrerà fornire una “ratio theologica” formale, che, almeno per ora, sul piano delle parole ufficiali, tende al prudente sussurro del nascondimento, quando non addirittura alla retorica pericolosa della autosmentita.

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