Sei tu colui che deve venire?
III DOMENICA DI AVVENTO – A
Is 35, 1-6. 8. 10; Gc 5, 7-10; Mt 11, 2-11
Introduzione
Al centro della liturgia di questa domenica c’è sempre la figura di Giovanni Battista. Si tratta di discernere il tempo degli eventi che si compiono, senza scandalizzarsi se questi non corrispondono ai nostri parametri ma a quelli di Dio. Vediamo a confronto «le opere del messia» e le «contraddizioni della storia». A questa lettura ci conduce anche il testo di Isaia (Is 35,1-6.8.10) che afferma che laddove c’è l’assenza della vita, cioè nel deserto risplende la gloria di Dio, laddove la vita è impossibile Dio la rende possibile. Dio rende il deserto ospitale alla vita: per opera sua i ciechi vedono, i sordi odono, gli zoppi saltellano, i muti gridano di gioia. Ma per questo discernimento occorre la longanimità dell’agricoltore (Gc 5,7-10).
Commento
Ci troviamo nel cuore del racconto di Matteo, in un momento del ministero pubblico di Gesù che tutti gli evangelisti, ognuno a suo modo, considerano di svolta: l’imprigionamento di Giovanni Battista. In questo momento c’è come un passaggio di testimone tra Gesù e Giovanni, tra «i giorni di Giovanni» e «i giorni del messia». Giovanni è in carcere (Mt 4,12) e, avendo udito le «opere del messia», manda alcuni dei suoi discepoli a interrogare Gesù circa la sua identità: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?».
Come risposta alla domanda di Giovanni Gesù afferma di voler rispondere e di non voler rispondere allo stesso tempo (Mt 11,2-11). Non dà una risposta affermativa o negativa all’interrogativo molto preciso di Giovanni. Egli afferma di andare a riferire a Giovanni non una risposta, ma ciò che essi hanno udito e visto. Il suo insegnamento e le sue opere «testimoniano» per Gesù.
Gesù facendo riferimento ai testi del profeta Isaia elenca le opere che si realizzano e che corrispondono appunto alle opere del Messia: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella». Attraverso il riferimento alle Scritture Gesù risponde a Giovanni, ma c’è un riferimento a fatti concreti che avvengono, a parole che vengono realmente pronunciate. Gesù non usa la Scrittura per trovare argomentazioni teologiche in suo favore. Egli fa riferimento alle Scritture per interpretare il presente, per dare una lettura della storia. Attraverso la lettura della storia, il discernimento del tempo di Dio attraverso le Scritture, Gesù fa portare la sua risposta a Giovanni.
Ma successivamente troviamo un’altra parte della risposta di Gesù. Egli afferma: «beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,6). A chi si riferisce questa «beatitudine»? Chi corre il rischio di scandalizzarsi di Gesù? Pare che non ci sia dubbio che in un contesto come questo ciò che potrebbe essere il motivo dello scandalizzarsi di Gesù siano proprio le opere che lui compie e le parole che pronuncia. Lo scandalo sta in un messia che non corrisponde alle attese più comuni, ma che si lascia narrare dalla Scritture sante di Israele. Un messia che non è «secondo gli uomini», ma «secondo Dio».
Gesù ci rimanda ad un altro modo di comprendere la sua figura. L’«evangelizzazione» che il messia porta ai poveri non è quella di un potente secondo gli uomini. Egli è «potente secondo Dio»: non stravolge la storia superficialmente, ma la cambia, la ribalta, dal suo interno, apre vie nuove per una vita in pienezza, anche se rinchiusi, come Giovanni, nell’impotenza alla quale costringe il carcere e poi il dono della vita.
Conclusione
Questo è lo scandalo che dobbiamo saper evitare, la via della vera beatitudine. Anche noi infatti, dopo millenni dalla venuta di colui che crediamo il messia, a volte vacilliamo vedendo che apparentemente nulla è cambiato, che l’evangelizzazione dei poveri sembra non essersi realizzata. E questo ci può condurre a scandalizzarci di Gesù. Ma un «sì» divino è stato definitivamente pronunciato nella nostra storia e quindi nulla può essere come prima. Il messia è «l’evangelizzatore dei poveri», ma soprattutto nel senso che egli «evangelizza Dio», dal momento che porta un messaggio lieto su Dio. Come l’agricoltore dobbiamo attenere con longanimità i frutti della terra. Il credente è inviato ad assumere questo sguardo longanime dell’agricoltore per saper attendere le sorprese di Dio. È Dio che apre i nostri occhi perché sappiamo vedere una via nei nostri deserti e per riconoscere le opere del messia in mezzo a noi.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli