Sinodo: intervista alla rivista brasiliana IHU-online: “Una porta che si apre sul nuovo”


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Sul blog della Rivista IHU-online è stata pubblicata questa intervista, con il titolo

Sínodo. Uma porta que se abre para o novo. Entrevista especial com Andrea Grillo

che si può leggere al seguente indirizzo: http://ihu.unisinos.br/entrevistas/548746-uma-porta-que-se-abre-para-o-novo-entrevista-especial-com-andrea-grillo.

Qui sotto riporto le domande e le risposte, nella versione originale italiana:

1) Come valuta tutto il processo sinodale, dalla sua preparazione alla assemblea stessa? La Chiesa ha capito il principio di collegialità, tanto presente in Papa Francesco?

La formula della “consultazione” - animata da ottimo spirito di “inclusione di ogni componente della Chiesa” - ha bisogno di grandi precisazioni. Le domande erano spesso formulate in modo o vago o ideologico; la recezione da parte delle comunità è stata non strutturale e affidata alla buona iniziativa dei singoli Vescovi e Presbiteri. Un caso è suonato particolarmente sorprendente: il Relatore Generale del Sinodo, sia della Sessione straordinaria del 2014, sia in quella ordinaria del 2015, nella fase intersinodale si è rifiutato di distribuire nella propria Diocesi di Budapest il questionario. Questa brutta storia, che la dice lunga sulla impreparazione pastorale e sulla qualità clericale dell'esercizio della autorità di alcuni Arcivescovi, fotografa nel punto più basso, e quasi inqualificabile, una iniziativa che merita invece grande plauso e che dovrà trovare modalità di formulazione e di svolgimento più adeguate e meno formali. Ma le difficoltà del questionario sono direttamente proporzionali alle difficoltà di una matura e seria cultura della collegialità. Per secoli abbiamo formato e alimentato “monocrati”: perché ora, questi stessi figli allevati in vista di una cultura monocratica, dovrebbero desiderare il confronto e la messa in gioco nel dialogo con altri? Preferiscono nascondersi dietro una “dottrina monolitica” e tanto “impietrita” quanto il loro cuore. Questo modello di Vescovi, purtroppo non assenti al Sinodo, dovrebbero parlare di tutto, meno che di famiglia, di cui capiscono poco o nulla e della quale parlano senza tatto e senza esperienza.

2) Il Papa esce rafforzato dal Sinodo?

Nonostante queste, e molte altre difficoltà, papa Francesco può uscire da questo Sinodo con la forza di un duplice risultato: da un lato ha messo i Vescovi a confronto, quasi costringendoli ad esporsi. Dall'altro ha ricevuto un “mandato” ampio e condiviso – almeno sulle linee generali – per incidere profondamente sulla pastorale matrimoniale. Ma la statura profetica delle sue “prese di parola” ha svettato sui discorsi meschini o allucinanti di alcuni Vescovi. La parola del papa, e di altri Vescovi illuminati, ha permesso di dimenticare le brutte figure di Arcivescovi e Cardinali, che hanno proposto paragoni irresponsabili e giudizi squilibrati sul mondo e sulla storia.

3) Quali sono stati i punti principali del discorso di Papa Francesco alla chiusura del Sinodo? Come interpretarlo?

Il papa, chiudendo il Sinodo, ha voluto richiamare due punti essenziali: da un lato la disponibilità della Chiesa a lasciarsi guidare dal suo Signore lungo strade inedite e sconosciute. Non bisogna avere paura di lasciarsi condurre dallo Spirito che soffia dove vuole. Dall'altro, il papa ha censurato tutte le forme di irrigidimento della tradizione. Alcune parole sono apparse liberanti rispetto agli equilibrismi cui si era ridotto il discorso sinodale.

4) Qual è la Sua interpretazione della Relazione finale del Sinodo? Cosa rivela circa il pontificato di Francesco? Come può avere un impatto nella direzione della Chiesa?

La relazione finale esprime, con grande fatica, ma con chiarezza la “rimozione di un divieto”. Dal testo non emerge in alcun modo un divieto di includere i divorziati risposati nella comunione eucaristica, a certe condizioni. In questo modo, dopo il passaggio compiuto da Giovanni Paolo II, che riconosceva ai divorziati risposati la “comunione ecclesiale”, ora il Sinodo nel suo documento finale “non nega più la comunione eucaristica”. Questo mi pare un risultato molto importante, anche se minimale, insieme alla fatica di parlare un linguaggio meno astratto e meno giuridico. Ma non sempre il documento è all'altezza della situazione. Paradossale appare ad esempio quando – nella prima parte - chiede insistentemente ai “politici” tutte le possibili riforme legislative e morali, ma da parte loro, i vescovi, non parlano esplicitamente di nessuna riforma ecclesiale! Chiedere tutto agli altri e non essere disponibili a cambiare nulla nel proprio ambito non è forse una forma gravissima di autoreferenzialità?

5) Il pontificato di Bergoglio si basa sugli ideali della misericordia, del perdono, della conversione. Come questi ed altri concetti bergogliani orbitano intorno al Sinodo? E fino a che punto fa avanzare il dibattito sulla famiglia?

Anzitutto, quelli di Bergoglio non sono “ideali”, ma la sintonia con la esigente parola del Vangelo, riletta nell'ottica serena e profetica del Concilio Vaticano II. Il Vangelo non è la negazione del mondo, ma la sua salvezza. Per questo vale la pena di radunare i Vescovi, per confrontarsi sulla traduzione della dottrina del matrimonio nel contesto attuale. L'avanzamento è obiettivo. Purché si esca dal paradigma apologetico antimoderno, di cui sono stati vittime, in modo più o meno evidente, gli ultimi pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

6) C’era una grande attesa nell’incontro sul tema della comunione delle coppie risposate, i metodi contraccettivi, l’unione omosessuale e omosessualità, e lo spazio e il ruolo della donna nella Chiesa. Come Lei analizza le discussioni su questi temi e come valuta il loro impatto nel rapporto finale?

La Relazione finale, per motivi strettamente strategici e di “tattica sinodale”, ha evitato di entrare nelle questioni su cui i Vescovi sono più divisi. Per questo non vi è gran che su nessuno dei “problemi caldi”. Sono però convinto che, al di là del documento elaborato, che rimane provvisorio e preparatorio di altre decisioni, l'incontro e il confronto abbia fatto bene a tutti e abbia anche permesso il manifestarsi del “vero volto” di molti personaggi apparentemente autorevoli. L'autoritarismo che si spaccia per autorità e il fondamentalismo che si mostra come fedeltà hanno oggi nomi e cognomi molto più chiari di prima.

7) Come possiamo interpretare le controversie, le forze che erano in gioco al Sinodo? Come queste dispute si materializzano nella Relatio finale?

Intanto, alcune controversie erano e sono inevitabili e persino salutari. Pensare che la comunione significhi che “tutti sono d'accordo” dimostra una esperienza piuttosto astratta della comunione. Alcune delle forze in gioco temevano proprio il confronto e la discussione. Per questo hanno cercato di anticiparla e di emarginarla. Nella Relatio finale questo “gioco distruttivo” è stato largamente superato, ma si lascia intravedere nella “laconicità del testo”, che, almeno in alcune parti, è “puro rimando oltre se stesso”, ossia al documento papale che lo seguirà. Esercitare la collegialità per rinunciarvi non è una manifestazione straordinaria di coraggio e di responsabilità.

8) In che misura si può affermare che il Sinodo apre una nuova stagione, un nuovo periodo nella Chiesa (dal punto di vista dottrinale alle questioni politiche nell’episcopato mondiale)?

Certo, dopo il Sinodo, come ha detto papa Francesco, “la parola famiglia non suona più come prima”. Ed è vero. Abbiamo “scollinato”, “superato il guado e il passo” e possiamo uscire da uno stile difensivo e di condanna. Da Casti Connubii di Pio XI fino a Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, con la parziale eccezione del Vaticano II, abbiamo avuto molti documenti che fanno della famiglia e del matrimonio un terreno di scontro con la civiltà moderna. Già FC cambia in parte atteggiamento, pur restando in una logica apologetica. Solo ora possiamo trovare la libertà di un linguaggio positivo su matrimonio e famiglia. Soprattutto possiamo abbassare il livello di “finzione” e di “idealizzazione” della famiglia, stile che papa Francesco, citando Freud, ha ricondotto a “una forma di aggressione”. La Chiesa, idealizzando troppo il matrimonio, aggredisce il mondo moderno e, purtroppo, aggredisce anche le vite di tanti uomini e donne. Per evitare questo stile aggressivo e ingiusto sarà anche necessario differenziare la disciplina per grandi zone continentali. Un “decentramento” sarà inevitabile proprio per intercettare le vere istanze del matrimonio e della famiglia, che richiedono una attenzione scrupolosa alla relazione tra vangelo e cultura.

9) In che misura la sfida di “tradurre la tradizione” è stata affrontata dal Sinodo?

Penso che questo Sinodo sia stato un buon esempio di quella difficile arte, che costituisce la Chiesa nella sua identità di “discepola” e di “serva”: ricevere dalle generazioni la “buona parola” sul matrimonio e restituirla alle prossime arricchita dalla nostra storia e dalla nostra esperienza. Questo ha fatto la Chiesa per tanti secoli. Solo negli ultimi due secoli abbiamo iniziato a pensare che la tradizione non sia un “giardino da coltivare”, ma un “museo da conservare”. - secondo la felice espressione con cui Giovanni XXIII apriva il Vaticano II Per questo oggi, di fronte a tante difficoltà, ma anche di fronte a tante nuove opportunità, se rimaniamo fermi ad un linguaggio giuridico per annunciare la bellezza della comunione matrimoniale, senza volerlo, facciamo il gioco del “nemico”. Pensare che l'unica risposta possibile alle “crisi matrimoniali” sia oggi la ricerca di un “vizio originario del consenso” - o la rinuncia agli atti sessuale nella seconda unione - significa restare fissati su categorie e atteggiamenti incompatibili ormai con la gran parte delle coscienze contemporanee. Gli unici ad essere “garantiti” da questo metodo sono Vescovi e preti – oltre all'inevitabile codazzo di laici clericali, che non mancano mai. Uscire dalla autoreferenzialità clericale significa comprendere che la fine delle proprie cattive abitudini non è la fine né delle Chiesa né di Dio. Nella espressione “o Dio o niente” - piccolo concentrato di fondamentalismo - c'è la espressione di una paura pericolosa e di una incomprensione grave della storia e della vita.

10) Qual è la Sua lettura sugli “eventi paralleli” del Sinodo, che hanno avuto grande spazio nella stampa internazionale (la “lettera dei 13”, la pubblicazione della notizia su un presunto cancro del Papa e il “coming out” del prete polacco Krzysztof Olaf Charamsa)? Che cosa significano, oltre la assemblea?

Questi fatti gravi sono la prova che l'establishment ecclesiale, dove viene esercitato un potere reale, ha paura delle riforme di Francesco e manifesta anche in modo sgangherato la sua “malaeducacion”. La paura si mostra in vari modi, più o meno sgarbati o scomposti. Scrivere una lettera in anticipo al papa per evitare che accadano alcune cose nel Sinodo o per contestare il suo metodo è un segno di paura e di vigliaccheria, di chi teme il confronto e scongiura di perdere potere. Il fatto che si tratti di cardinali aggrava la loro posizione. Gli altri “eventi” - confessioni e diagnosi – appartengono ad un genere “misto”, dove le storie personali e le mitomanie si intrecciano e si spalleggiano. Quando si ha paura è essenziale fare confusione. Ma in tutto questo Francesco è sembrato sereno e quasi divertito. Senza sottovalutare le insidie, egli sembra vivere tutto questo con uno sguardo distaccato, e preoccupato di altre cose, molto più essenziali. Se pensiamo che mentre questi cardinali senza statura morale ed ecclesiale si immiseriscono in questi giochi di potere, ci sono popoli che migrano, bambini che muoiono per mare, vite sofferte e prive di speranza, capiamo bene la durezza e la franchezza delle parole con cui papa Francesco ha chiuso la Assemblea, guardano profeticamente altrove.

11) Quali sono le sfide del pontificato post-Sinodo

Il Post-Sinodo è una svolta ulteriore, che identificherei sue tre livelli: da un lato una “pratica delle nomine episcopali” che contribuisca a modificare la logica della “pastorale ordinaria”. Una parte dei problemi del Sinodo deriva da una “politica” di nomine episcopali intenzionalmente modesta. Se scegli come Vescovi preti “in carriera”, difficilmente sentirai interventi significativi sui problemi veri... Sotto un altro aspetto, la “continuazione del Sinodo” porterà ad un documento (Esortazione o Enciclica) con cui la teologia della famiglia sarà tradotta in un linguaggio nuovo, coraggioso e fedele, audace e al servizio di una vera comunicazione della fede; infine il Giubileo, ormai imminente, totalizzerà la forza della misericordia e permetterà, nella logica dell'anno santo, di sopportare le “eccezioni” come una regola più profonda e più vera. Sarà, io credo, lo spazio di una vera conversione dalla autoreferenzialità al servizio.

12) Vorrebbe aggiungere qualcosa?

Vorrei aggiungere una considerazione di carattere generale: a lungo la stampa ha voluto presentare il dibattito sinodale come una “partita” tra Vescovi che volevano restare fedeli alla tradizione e Vescovi che se ne volevano emancipare. Questa rappresentazione è falsa e interessata. In verità si tratta di Vescovi che vivono la comunione della dottrina, ma si distinguono nel modo con cui intendono tradurre la dottrina comune in disciplina. Alcuni si illudono che la disciplina vigente possa restare indifferente alla storia e alla società. Questo è un errore di prospettiva, che squalifica precisamente il compito “pastorale” dei Vescovi. In questi casi, quando prevale questo sentimento, i Vescovi confessano una “impotenza” che appare immediatamente sospetta e come la proiezione di una inadeguata comprensione non solo della realtà umana, ma dello stesso Vangelo. Il fatto che il Sinodo, alla fine, non si sia chiuso alla novità, è un bel segno di speranza e di lungimiranza, che papa Francesco riempirà di contenuti sapienti e profetici. Ne sono certo.
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