Spazio liturgico: Mantua me genuit. Una bella scoperta
«Disporre l’assemblea è comporre la Chiesa»
Giovanni Battista Montini
Giovedì 5 dicembre u.s. dovevo parlare di musica e teologia a Mantova. Siamo arrivati poco prima dell’inizio della Conferenza al Palazzo Vescovile e chi ci ha accolto ha avuto la gentilezza di farci entrare per pochi minuti nella cattedrale, lì accanto, per considerare il progetto di “adattamento” dello spazio liturgico. Come raramente accade, subito siamo stati attirati dal centro di quello spazio di ascolto e di azione. La rilettura dello spazio celebrativo appare infatti sorprendente, come si può notare confrontando la soluzione “classica” e quella “sperimentale”, presentate nelle due immagini. La relazione tra altare, ambone, sede e sede episcopale si mostra con una chiarezza singolarmente esplicita. Al centro dell’aula sta la relazione tra parola e sacramento. L’uso del pulpito come ambone, la costruzione posizione centrale dell’altare, la disposizione circolare del popolo di Dio manifestano, plasticamente, una forma di chiesa che si lascia ristrutturare dalle due azioni fondamentali: ascoltare e condividere.
Siamo rimasti pochi minuti dentro lo spazio redistribuito della Cattedrale di Mantova, ma sono rimasti negli occhi e nel cuore una serie di suggestioni e di suggerimenti importanti, che ora provo a mettere in ordine:
- Radunarsi intorno all’altare e all’ambone, al sacramento e alla Parola, diventa ora una azione possibile anche nello spazio. Ciò che da 60 anni diciamo e pratichiamo con un grande margine di astrazione, ora diventa possibile e reale;
- La coraggiosa rilettura di ambone e altare, sia risignificando un elemento “altro” come il pulpito, sia edificando un elemento ex-novo come l’altare, permettono di dar forma visibile ai due poli fondamentali della liturgia della parola e della liturgia eucaristica;
- Ogni azione ha il suo luogo e il suo percorso, la sua posizione e la sua altezza;
- Le dinamiche interne alla celebrazione recuperano un grande spazio vuoto che non si identifica con il “presbiterio”, ma con la correlazione ecclesiale tra parola e sacramento. La ampiezza di questo spazio lo rende coerente con la sua rilevanza universale e non solo particolare;
- Il carattere provvisorio dell’esperimento conta, per il momento, di forme semplificate di tutti gli arredi (a partire dalle sedie, su cui ogni attenzione unilaterale appare esagerata e immotivata). Al momento della definizione dell’adattamento, ogni elemento troverà la propria piena dignità;
- Infine, ma forse è la cosa più importante: il coraggio di questa prospettiva di rilettura dello “spazio della celebrazione” mette in particolare rilievo la limitatezza della classica discussione tra “versus populum” e “versus orientem”. Guardando a questo luogo mantovano, anche per pochi istanti, si percepisce la ricchezza di una celebrazione che mette al centro la parola e il sacramento, verso cui tutti convegono, con una espressione plastica indimenticabile di ciò che significa «circumstantes».
Si tratta di alcune provvisorie osservazioni, correlate ai pochi minuti di esperienza di un progetto che può essere giudicato anche assai velocemente, ma che è certamente il frutto di lunga meditazione e di prudente decisione. Per questo sarebbe assai utile che questo modo di concepire una chiesa cattedrale possa suscitare una giusta attenzione e una crescita di consapevolezza comune, al di là del territorio mantovano. Senza esagerare troppo, potremmo dire che lo spazio sacro può oggi dire, con pacata verità: «Mantua me genuit». Non si tratta di una novità assoluta, ma è certo un passaggio significativo nel modo di pensare lo spazio celebrativo di una Chiesa cattedrale in Italia. Forse questa “forma bella” della chiesa nel gioco rituale può e deve ricordare quella parola forte e vera di Giovanni Battista Montini: «Disporre l’assemblea è comporre la Chiesa», che suona oggi come una profezia.