Su ‘Messa in Latino” (di Wim de Moor)


Ricevo dall’autore una riflessione che merita di essere letta con attenzione. Riprende il dibattito e lo sposta sul piano ecclesiale e musicale. Lo ringrazio di cuore per la lettura libera, saggia e non ideologica della questione (ag)

Su ‘Messa in Latino’

di Wim De Moor

Piuttosto che essere linguistico, il problema di cui si tratta mi sembra sia di carattere ecclesiologico: come rispondere all’appello, espresso chiaramente dal Concilio Vaticano II, di riscoprire la Chiesa come luogo non solo di comunione (sacra) ma anche e forse primordialmente di comunità (umana)? Ossia, detto con le parole di papa Francesco: come essere testimone di fraternità nel mondo e nella cultura di oggi?

Personalmente non ho dubbi che ogni tendenza ad aggrapparsi a ‘certezze’ d’antan – da parte di certe persone a volte comprensibile? – renda impossibile collaborare in modo sinodale all’evoluzione necessaria affinché la Chiesa, uscita dai bunker autoreferenziali del clericalismo e del maschilismo, apra le porte a tante persone che, nelle situazioni più variegate della vita, chiedono di essere riconosciute e accompagnate nel modo in cui cercano di ‘dare alla vita la forma del vangelo’ (Giuliano Zanchi).

Proprio qui vedo entrare in gioco la liturgia. Impossibilmente, infatti, ce la facciamo da soli. Chiedere aiuto e perdono, anche reciprocamente, ringraziare e lodare Dio, condividere il silenzio… si tratta di niente di meno che dell’ossigeno della vita comunitaria. Essendo il modo in cui si prega, poi, non una mera espressione della vita ecclesiale e comunitaria ma la fonte e il culmine di essa, è chiaro quanto sia necessaria avvicinarcisi con la massima cura. Alla stesso tempo, però, rimaniamo coscienti: come, grazia alla liturgia, la comunità rimane in cammino, così la liturgia può dare vita nella misura in cui chi partecipa prega a che lo Spirito l’aiuti a superare la paura dell’altro.

Viste in questo modo, le questioni della benedizione dei rapporti ‘irregolari’, dell’ordinazione delle donne e del ministero ordinato tout court, fanno tutt’uno con la questione su come celebrare oggi. Ne segue che, nella misura in cui i credenti osino aprirsi verso chi e che cosa sono loro sconosciuti, ciò che può porre un problema sono il rito e ciò che consciamente e inconsciamente il rito installa, e non il latino. Non escludo, infatti, che un cristiano ‘progressivo’, ‘inclusivo’, non cercando identità… scopra nel canto gregoriano (che ‘parla’ latino) una testimonianza – di una vita cristiana tutta d’un pezzo che però non mi sembra affatto ragionevole voler copiare oggi – che offre un’indicazione di come anche oggi la celebrazione potrebbe evolversi nel senso che rito, parola e canto si diano la mano, sostengano gli spostamenti spaziali comunitari e altri, provvedano un ‘ministero di risonanza musicale’ sia per un solista che per un gruppo ristretto o per tutta l’assemblea… (Se questo implica che chi compone musica liturgica debba studiare a fondo il canto gregoriano, non lo so. Sono convinto, però, che in analogia al fatto che la celebrazione possa essere il respiro della vita cristiana solo nella misura nella quale è riscoperta come dono e festa celebrati in comunità, chi é responsabile per il canto in Chiesa abbisogni di una solidissima formazione musicale, affiancata della consapevolezza che bisogna superare la dicotomia tra dilettantismo e professionismo. ‘Ars’, anche nel celebrare, richiede mestiere, artigianato, approfondimento… Non meno – sospiro profondo di un musicista… – dopo il Concilio che prima.)

Concludo. Se è vero che, durante i secoli, liturgia e comunità, ormai due fuochi della stessa ellisse, più volte sono state separate e prese per grandezze autonome, è ora di ascoltare dove e in che modo lo Spirito ci inviti a condividere vita e preghiera in un modo che queste si fecondino a vicenda. Superando ogni ‘fa da se’, sia esso di stampo tradizionalista o modernista. Aperti verso il mondo odierno quanto radicati nella Tradizione. Quest’ultima per eccellenza ci tiene sul retto cammino: quello di Emmaus.

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