Summarum Gosparum, ovvero la istituzione della soprannaturalità presunta


Ogni giorno che passa cresce lo stupore per il fatto che, di fronte alla recente Nota del Dicastero per la dottrina della fede, “La Regina della pace”, le reazioni di alcuni teologi e vescovi non abbiano messo a fuoco il profilo squisitamente istituzionale del provvedimento (con la bella eccezione di Umberto del Giudice, su cui tornerò tra poco). Certo, si è notata la novità di impostazione, si è plaudito alla valorizzazione della esperienza spirituale, si sono rilevate alcune importanti distinzioni, ma non si è fatta attenzione all’impatto istituzionale (e quindi teologico) che quelle parole avrebbero potuto avere sulla realtà ecclesiale. Quando ieri ho letto il testo dell’ultimo messaggio proveniente da Medjugorje (qui nella foto di copertina) ho compreso fino in fondo quelle conseguenze che avevo paventato fin dalla prima pubblicazione.

Tuttavia, per capire meglio la questione, e renderla accessibile anche ai non addetti ai lavori, inizio proprio dalla citazione di uno dei due testi di Del Giudice (qui) dove ricordava come la tradizione dei pronunciamenti sulle “apparizioni mariane” fino agli inizi degli anni 2000 avesse seguito la via classica del “riconoscimento della soprannaturalità” come condizione per il culto. Ora invece la logica viene capovolta. Ma proprio qui sta la questione che vorrei esaminare.

A me pare, infatti, che per comprendere il testo di “La regina della pace” (=RP) bisogna leggere due documenti precedenti (uno prossimo e uno più remoto) che sono in grado di darci la chiave di lettura più corretta.

Due documenti come “fonti”

La prima fonte, esplicitamente richiamata fin dalle prime righe da RP, sono le Norme per il discernimento dei presunti fenomeni soprannaturali del maggio 2024, con cui il Dicastero per la dottrina della fede modificava le Norme in vigore dal 1978. La ratio della riforma ha diversi motivi, ma essenzialmente è legata alla faticosa procedura precedente, che mirava ad arrivare ad una dichiarazione “de supernaturalitate”. Dunque ad una dichiarazione positiva. Ora invece si capovolge il quadro, e si costruisce una “scala” di pronunciamenti possibili, previsti dai nn. 17-22, che comprendono il  nihil obstat, il prae oculis habeatur, il curatur, il sub mandato, il prohibetur et obstruatur, infine la declaratio de non supernaturalitate. Si deve notare che non vi è una affermazione positiva diretta della soprannaturalità, ma solo la recezione di una esperienza con diversi livelli di cautela, fino a quello massimo, che è la dichiarazione di “non soprannaturalità”. Questa procedura nuova è sicuramente più rapida della precedente. Ma di fatto istituisce una rischiosa condizione di “soprannaturalità presunta” che costituisce la questione più delicata da affrontare.

Tuttavia, per comprendere ancora meglio il modello di soluzione adottata, vorrei richiamare alla mente la logica che aveva dominato, per 14 anni, la soluzione del conflitto tra Rito romano cosiddetto Vetus e Rito romano riformato dal Concilio Vaticano II. Con Summorum Pontificum, attraverso il “sofisma” della “doppia forma del medesimo rito romano”, si era rinunciato alla autorità di sintesi e si era liberalizzato l’accesso ad usi contraddittori del rito romano. Si ipotizzava teoricamente che vigessero contemporaneamente due forme contraddittorie del medesimo rito. Questo diceva Summorum Pontificum. Però, sul piano istituzionale, questa soluzione apparente fu un disastro: perché la vigenza contemporanea di forme contraddittorie non può essere gestita in unità e spacca la Chiesa. Credo che non sia azzardato pensare che in parallelo a quel modello fallimentare, oggi ci troviamo di fronte ad una sorta di Summarum Gosparum: in questo caso il “sofisma” non è l’uso duplice del medesimo rito, ma la “autorizzazione a dare in forma prudente la propria adesione”, come criterio fondamentale per giustificare il nuovo assetto della procedura. Dobbiamo chiederci: in che senso questa abile formula di mediazione, escogitata da Bendetto XVI, può giustificare non una posizione teorica (come è nelle sue parole), ma una “prassi cultuale”? Che cosa significa che c’è un “culto pubblico” al quale posso aderire, ma “in forma prudente”? Ossia con un certo distacco? Controllando le emozioni? Tenendomi ad una certa distanza dai contenuti? Non prendendo per buone tutte le parole che ascolto? Una “adesione in forma prudente” è una formula felice sul piano retorico, ma molto problematica sul piano istituzionale.

La traduzione istituzionale

Ciò che è sfuggito, a molte delle reazioni che ho letto in questi giorni, è che la distinzione tra “nulla osta” e “dichiarazione di soprannaturalità” è una distinzione vuota, da ufficio. E’ burocrazia ecclesiale, non teologia e neppure pastorale. Essa di fatto istituisce, quasi inconsapevolmente per gli stessi ufficiali che hanno scritto il testo, una sorta di “soprannaturalità presunta”, che abilita i soggetti interessati ad esercitare pienamente (anche non prudentemente) tutta la loro autorità (presunta, ma realmente efficace). Come era accaduto per Summorum Pontificum, che aveva potuto essere giudicato un atto di “autentico cattolicesimo” ( e ora scopriamo che era uno svarione piuttosto pesante e pieno di conseguenze dolorose), così ora ad alcuni  sembra di dover giustificare la Nota come una “svolta verso l’esperienza” e come una apertura allo Spirito e ai carismi. Io sarei molto meno sicuro di tutto ciò e molto più cauto. E’ sufficiente vedere come il primo frutto del documento sia la comparsa, sotto l’ennesimo “messaggio ritmato” della dicitura “con autorizzazione ecclesiastica” (come si vede supra nella foto di copertina). La traduzione istituzionale della distinzione teorica tra “nulla osta” e “dichiarazione di soprannaturalità” è la confusione sistematica tra le due. Ciò che si voleva evitare, proprio con la Nota, ora è diventato più facile e più insidioso. Ma era chiaro già il giorno della sua pubblicazione, proprio per il fatto che, nonostante tutte le cautele che sarebbe stato giusto riconoscere, che avrebbero consigliato di non usare la forma più alta di riconoscimento (nihil obstat), ma almeno una intermedia (prae oculis habeatur o curatur), l’effetto è stato quello di una generale “autorizzazione” e un generale “riconoscimento”. Dove la prudenza della adesione scompare come neve al sole e resta solo come una sorta “ideologia curiale”, per salvarsi l’anima, che tuttavia può giustificare ogni cosa. Una “soprannaturalità presunta”, garantita burocraticamente, è l’effetto non voluto del testo. E dovremo ancora ascoltare ufficiali interpretazioni dirimenti tutti i dubbi che scaturiranno inevitabilmente da un testo troppo equivoco. Sarà perciò necessario raddrizzare ciò che è storto. A tal proposito lo Spirito potrà essere invocato in modo più classico: rege quod est devium.

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