Teologia ad usum Cyrilli: forme del discorso ecclesiale in tempo di guerra


Patriarca Di Mosca Cirillo I - Foto e Immagini Stock - iStock

Può essere di qualche utilità esaminare con cura il Sermone di ieri del Patriarca Kyrill, giudicandolo sul piano squisitamente teologico. Questo potrebbe aiutare la valutazione sia delle reazioni scandalizzate che ha suscitato in molti lettori, sia dei presupposti teorici su cui poggia, sia della qualità teologica ed ecclesiale di cui è portatore. Vorrei distinguere i diversi piani di valutazione, cercando di rispettare la sua collocazione in una tradizione diversa dalla cattolica (quella russo-ortodossa), ma cogliendo anche le affinità profonde con una porzione non marginale della mens cattolica. In fondo, alcuni “luoghi comuni” del discorso teologico sono paralleli alle diverse tradizioni e parimenti apprezzabili o discutibili. Ogni piano che esaminerò corrisponde ad un “uso” della teologia, più o meno infondato o plausibile. E si adatta con un certo margine di approssimazione al discorso che ieri è stato pronunciato a Mosca, nel decimo giorno di guerra, nella Cattedrale della capitale della Russia, paese che sta distruggendo militarmente intere città della Ucraina, con migliaia di militari e di civili che soccombono negli scontri.

Teologia di corte

E’ una variante della teologia che si colloca direttamente sul piano della “gestione della autorità”. A che cosa serve la teologia, in questo caso? Una volta stabilita la “scelta politica” da assumere,  da parte della Chiesa si trovano gli argomenti teologici più forti per giustificarla. Questo è fare “teologia di corte”: si riduce la teologia ad un armamentario di argomenti, più o meno autorevoli, per sostenere una certa posizione politica, sociale, morale. Quasi sempre questa scelta coincide con una teologia di “corte vedute”, perché lascia alla contingenza storica del momento, nel nostro caso alla guerra in Ucraina da giustificare, una autorità eccessiva e una rilevanza esagerata, che schiaccia sotto di sé tutta la tradizione e la riduce a mera funzione (e finzione). Potrebbe allora essere che l’autore del discorso si sia chiesto: come posso giustificare una tale “operazione speciale”? Se si potesse dimostrare che questa “operazione” non è una guerra, ma una “lotta tra il bene e il male”, e che il male è la modernizzazione delle forme di vita e dei costumi, sarà sufficiente evocare lo spettro delle “marce del gay pride” per giustificare ogni cosa, pur di impedire la fine della civiltà. Se si mette sul piatto l’ipotesi di perdere tutto, e anzitutto  di perdere l’identità, ogni reazione, anche la più disumana, potrà apparire lecita e dovrà anche essere benedetta. La modernità viene maledetta nelle marce per la dignità dei soggetti, mentre viene benedetta nelle bombe a grappolo sulle scuole o nei missili sui condomini, che difendono l’onore violato, ma  rendono gli uomini e le donne meri oggetti trascurabili.

Teologia anestetica

La teologia può diventare la più comica e la più tragica delle scienze, perché permette di lavorare ad un livello talmente profondo della esperienza, che, se maneggiata male, produce danni ed equivoci a tutto spiano. Può avere un potentissimo effetto anestetico. La teologia può essere uno schermo e uno scherno potentissimo. Può pretendere di distrarre dai colpi di cannone sulle case, dai neonati distrutti dalle schegge nelle loro carrozzelle, dai colpi di mortaio che annullano famiglie intere, dai cecchini che fulminano civili in fuga con le valigie, e permetterti di parlare della primavera, della Quaresima e del vero problema epocale: del gay pride! Quando la Grande Quadragesima diventa una Enorme Alibi, un Maestoso Schermo, un Monumentale Nascondiglio, un Immenso Parafulmine, allora quella macina legata al collo di cui parla il Vangelo potrebbe essere riconosciuta come l’unica parola saggia. Quando la teologia distorce lo sguardo fino a questo punto, quando chiama male il bene e bene il male, può rivelarsi una patologia grave, una stortura che sfigura, tanto più se intacca i vertici di una Chiesa. Quando un Patriarca inizia così la sua Quadragesima, per altri 40 giorni che cosa dovrà inventare pur di distrarre l’attenzione comune dallo scandalo del male organizzato, perpetrato e inflitto al prossimo inerme? L’uso inadeguato trasforma la teologia in “oppio”: non come teoria generale della religione, ma per l’uso inadeguato di categorie senza equilibrio e senza proporzione, mediante parole irresponsabili di un vertice, che mostra di stare ben sotto il livello minimo della decenza. Teologicamente questo è un disastro totale. Una simile teologia è “anestetica” in due sensi: ottunde i sensi e castra ogni sensibilità, rende ciechi e sordi, senza cuore e senza sentimenti. Il mostro che diventi è il prodotto della cattiva teologia che frequenti e che alimenti. In questo la teologia è una grande potenza che non perdona: se la provochi con i tuoi giochini di posizione, ti afferra e ti distrugge.

Teologia arbitraria

Arriviamo così all’ultimo livello. Una teologia del Dio che è amore, e che proprio la tradizione ortodossa conosce e sa esprimere nei minimi dettagli, con tutta la poesia di una lingua e di una espressione potente e indimenticabile, come può mai arrivare a ridurre questo Dio del mistero e della divina liturgia ad un legislatore scrupoloso, accigliato, armato di bilancino, che pone leggi e giudica i torti come un magistrato inflessibile, distaccato e vendicativo? Nella “festa del perdono” si può forse mai evocare la vendetta contro i gaypride come l’orizzonte serio di un discorso ad una nazione che da giorni porta la guerra in un’altra nazione, con tanti morti e feriti?  Questo appare davvero un esercizio di teologia maldestro e senza rettitudine, come se chi lo propone fosse allo stesso tempo accecato e allucinato, disorientato e teleguidato, prepotente e schiavo del potere, senza rispetto e senza vergogna.

Un principio generale vale sempre, per ogni pastore e per ogni teologo: se non mantieni l’equilibrio, se non consideri tutti i lati della questione, se non dici “tutta la verità”, fai diventare primarie cose secondarie e così sprofondi in basso, nell’invisibile e nel disponibile, quel corpo carbonizzato che grida vendetta al cielo. Il fatto che una Chiesa tanto importante si pieghi così totalmente di fronte al potere delle armi, e che addirittura ne rafforzi teologicamente la violenza, è un fatto gravissimo. E’ la negazione della teologia. E’ teologia negata e violentata. E’ controtestimonianza e abuso di funzioni, in forma scandalosa.

“Beati gli afflitti e beati i perseguitati”: Sua Beatitudine, che di beati, almeno per il nome, dovrebbe intendersene, preferisce giustificare i persecutori e benedire chi affligge. Proprio per queste contraddizioni la teologia, quando sfugge di mano, può diventare la più comica e la più tragica delle parole.

 

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