Tommaso d’Aquino e la “cultura dello scarto” circa i ministri ecclesiali: dissenso e ammirazione


Non posso negarlo: proprio nel momento in cui identifico in S. Tommaso d’Aquino una delle matrici più profonde e radicate del “pensiero cattolico” sulla relazione tra donna e ministero, e per questo ritengo il suo pensiero del tutto inadeguato a rispondere alle nostre domande attuali, allo stesso tempo debbo riconoscere proprio al Dottor Angelico la figura più coerente e più rigorosa di risposta positiva alla tradizione della “riserva maschile” come condizione del soggetto ministeriale. Provo ad identificare bene non solo il motivo del dissenso, ma anche quello della ammirazione. Perché in teologia, come in molti altri campi del sapere, non si deve ammirare solo ciò con cui si è d’accordo: anche nel più profondo disaccordo c’è lo spazio per un atto di stupore e di meraviglia per la coerenza con cui un “sistema” viene costruito, anche quando non funziona più.

a) Il ministero ordinato come “potere di reggere la moltitudine e di compiere atti pubblici”: la cultura dello scarto

Quando Tommaso fonda il sacramento dell’ordine in relazione alla “vita naturale” dice così:

Perficitur autem homo in ordine ad totam communitatem dupliciter. Uno modo, per hoc quod accipit potestatem regendi multitudinem, et exercendi actus publicos. Et loco huius in spirituali vita est sacramentum ordinis. (S. Th. III, 65, 1 co)

Il sacramento dell’ordine consiste perciò nel “ricevere il potere di governare la moltitudine e di compiere atti pubblici”. Perciò quando Tommaso deve indagare quali siano gli “impedimenti” che si oppongono alla possibilità di ricevere la ordinazione, elenca in modo inesorabile tutti quei soggetti che, secondo la cultura del suo tempo, dovevano essere ritenuti “incapaci” sia di “reggere la moltitudine” sia di “porre atti pubblici”. L’elenco proposto da Tommaso è la elaborazione esemplare di un modello culturale, antropologico e sociologico dello “scarto”. E’ la cultura dello scarto, che Tommaso ha ricevuto tanto dalla tradizione filosofica quanto dal senso comune, a guidare una elencazione singolarmente coerente e ancor oggi molto istruttiva. Esaminata dal fondo alla testa (ossia in ordine inverso rispetto alla sua presentazione) essa propone all’esame questi soggetti (Cfr. Summa Theologiae Suppl, 39):

– i disabili (i portatori di difetti fisici)

– i figli naturali (illeggittimità dei natali)

– gli omicidi

– gli schiavi (lo stato di schiavitù)

– gli incapaci (la mancanza dell’uso di ragione)

– le donne (il sesso femminile)

L’elenco è impressionante, perché mette insieme categorie che oggi distinguiamo accuratamente e non confondiamo più con la “mancanza di autorità”. Soprattutto restiamo colpiti da quella “spudoratezza” con cui l’Aquinate inizia precisamente dalla “donna” come dal caso più alto e naturalmente irreversibile di “mancanza di autorità”. La marginalità sociale si rispecchia perfettamente in una marginalità ecclesiale, che fa della cultura dello scarto la sua regola aurea. Questa tradizione ha caratterizzato non solo la Chiesa, ma tutto il mondo tradizionale, fino alla scoperta della dignità dell’uomo e della donna, a partire dalla Rivoluzione francese e al sorgere del mondo “liberale”.

b) Perché dovremmo ammirare Tommaso?

La risposta è semplice: per la coerenza con cui egli pone, in modo trasparente, la sua soluzione teologica in dipendenza di una comprensione antropologica, biologica e sociologica, che oggi scopriamo contingente e fuorviante. Una lettura problematica della creazione dell’uomo, della generazione, della antropologia e della psicologia risultano decisive per la soluzione adottata dal Dottor Angelico. Per questo studiare la sua teologia del ministero oggi è particolarmente utile: perché mette a nudo i cortocircuiti di una “teologia positiva” che oggi pretende di desumere la “riserva maschile” semplicemente da fragili “fatti storici”, che per Tommaso non hanno alcun valore teologico. In nessun caso Tommaso si accontenterebbe di rispondere alla domanda sulla “riserva maschile”: “perché così ha fatto Gesù”. Egli sa, molto meglio di noi, che questa risposta non è teologicamente autorevole. La “ragione” della riserva maschile per Tommaso sta nella possibilità di “esercitare il governo e gli atti pubblici”, cosa che la sua teoria della creazione, la sua antropologia e la sua biologia escludono possa riguardare una donna. Questa “cultura dello scarto” è decisiva per la soluzione proposta da Tommaso: lo scarto è ciò che Dio vuole. Ed è molto interessante che per Tommaso tutti gli altri “soggetti impediti” si trovino in una condizione “superabile”, mentre solo la donna è posta, a suo avviso, in una condizione che “per natura è priva di autorità di governo”. Pertanto la “cultura dello scarto”, se conosce eccezioni per le altre categorie di “soggetti non autorevoli”, non può essere aggirata solo per la donna che è “soggetta per natura”. La cultura dello scarto si allea ad una antropologia, ad una biologia che può farsi pericolosa ideologia teologica, soprattutto quando nasconde e perde di vista questi suoi presupposti distorti. La differenza tra “sacramento” e “precetto” dipende, in Tommaso apertis verbis, da una antropologia e da una sociologia troppo invadenti. Lo stesso Tommaso, in altri contesti, ha saputo rileggere la donna non come “schiava” ma come “socia” e ha saputo uscire, provvisoriamente, dalla cattura ideologica di evidenze sociali troppo pressanti, riconoscendo come il fatto di confessare che in Cristo “non c’è più né maschio né femmina” possa significare aprire la chiesa ad una ministerialità battesimale anche femminile.

Per questo Tommaso d’Aquino è ammirevole anche quando si deve dissentire da lui: perché egli mette in chiaro quali sono i presupposti sistematici della soluzione adottata, che oggi si pretende di far scaturire semplicemente dal “mistero della fede”. Per questo, di fronte ai suoi testi, possiamo essere allievi fedeli proprio nel pensare, e persino in quanto pensiamo, diversamente da lui. Come sosteneva F. Nietzsche, “il peggior torto che possiamo fare ad un grande maestro è di restare per sempre suoi allievi”. Perché tra differenza e scarto c’è un salto, forse sottile come un capello, ma decisivo per rispondere correttamente alla domanda contemporanea di riconoscimento e di giustizia in fatto di ministero femminile.

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