Contemporary Humanism – Editoriale

Umanesimo è una categoria polisemica, al contempo storica, culturale, assiologica. Storica, in quanto indica una precisa epoca della storia intellettuale: quella dell’Umanesimo italiano e dei suoi eredi immediati. Culturale, in quanto vale come categoria generativa di un’intera civiltà, dall’origine dunque etnica – avvenuta entro i confini geografici dell’Europa – ma dalle pretese universali, come le varie dichiarazioni universali dei diritti umani testimoniano efficacemente da alcuni secoli a questa parte. Assiologica, infine, in quanto indica un orizzonte di senso e una costellazione valoriale, che trovano i loro fondamenti in una concezione dell’umanità come compito – e non quale semplice dato di fatto – e in un riconoscimento di tale umanità quale tratto essenziale e costitutivo di ogni essere umano, anche aldilà dell’epoca e della civiltà che hanno prodotto l’umanesimo. Non a caso la categoria di umanesimo riemerge ricorrentemente in ogni epoca di crisi, quale orizzonte ideale di riferimento e di riscatto dei destini dell’umanità: non dunque quale riproposizione di un preciso paradigma storico, ma quale ideale regolativo e orizzonte valoriale di riferimento. Ogni emergenza storica della categoria ha infatti sempre portato con sé una dimensione di impegno civile e di promozione sociale e umana.

Tutto questo rende al contempo complicato, affascinante e urgente interrogarsi intorno alla categoria di umanesimo e alla sua pertinenza oggi. Tanto più che – da un secolo a questa parte – essa è tornata al centro della scena intellettuale, spesso accompagnata da aggettivi (integrale, sociale, esistenziale, ateo, marxista, socialista…) o preceduta da prefissi (anti-, post-, trans-…) che talvolta ne hanno messo in discussione la validità o la pertinenza.

Se da un punto di vista meramente storico, l’umanesimo non è evidentemente più attuale – molto tempo e molta acqua sotto i ponti sono passati dai tempi dell’Umanesimo italiano – dal punto di vista culturale e da quello assiologico, la categoria sembra mantenere una sua validità, anche se talvolta impertinente. Certamente mantiene un suo fascino: attraente per alcuni, respingente per altri.

È dunque la categoria di umanesimo ancora pertinente in senso culturale, quale categoria sintetica e generativa di una civiltà particolare, e in senso assiologico, quale ideale regolatore e orizzonte valoriale di riferimento? Esiste qualcosa che possa essere definito un umanesimo contemporaneo? Quali ne sono eventualmente le forme storiche e le declinazioni? Si tratta di forme soltanto intellettuali o piuttosto di pratiche e istituzioni che recano nel loro DNA una matrice umanistica e che, proprio per questo, favoriscono e condizionano la nostra possibilità di comprendere che cosa sia l’umanesimo? Possiamo fare a meno di questa categoria? Possiamo declinarla in modo tale che non corrisponda a un mero esercizio intellettuale, ma ad un servizio al tempo che viviamo e alle donne e agli uomini di oggi e di domani?

Molte sono le sfide che ci attendono. Tra tutte, certamente, quella legata alla potenza di cui oggi l’umanità dispone: potenza di trasformazione del mondo e dell’umanità stessa. Tale potenza, conoscitiva, tecnica e pratica, non ha in sé stessa strumenti e criteri di regolazione e vale come fine in sé stessa e per sé stessa. Rispetto a tale potenza, così assiologicamente indifferente, occorre un orizzonte di senso e di valore. Può ancora oggi la categoria di umanesimo offrire un orientamento e una guida, così come è accaduto – ormai alcuni decenni fa – dopo la catastrofe della guerra mondiale?

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È a partire da questi interrogativi che hanno preso forma i contributi qui raccolti. Essi restituiscono la traccia di un seminario dottorale svoltosi all’Università LUMSA (Roma) nel maggio 2018, intitolato all’umanesimo contemporaneo e specialmente centrato sul binomio fragilità/forza (dell’idea di umanesimo oggi). L’antitesi o endiadi fra i due termini del titolo terminava, appunto, in un punto interrogativo di cui i molti interrogativi espressi qui sopra sono l’eco e la diffrazione; al tempo stesso, una scelta significativa nella dispositio dei due termini – fragilità vs forza, opportunità – conteneva forse l’accenno di una risposta. Quasi che fin dal loro titolo, assolutamente aperto, i lavori del seminario “salissero” dalla percezione di una crisi alla speranza di un tempo favorevole.

Il seminario di cui parliamo e di cui questo volume offre una parte degli atti ha visto confrontarsi molte diversità, pur all’interno di un orizzonte di valori condivisi. Diversità di provenienze geografiche: erano rappresentati quattro Università e tre continenti dei due emisferi del mondo. Diversità di generazioni: i più anziani e i più giovani si sono ascoltati reciprocamente. Diversità disciplinare: quale categoria se non quella di umanesimo taglia trasversalmente le scienze umane e sociali? Non è dunque sorprendente se i contributi qui raccolti riflettono, non solo un plurilinguismo, ma uno spettro ampio di temi e di metodi; se la portata stessa degli argomenti si apre e si chiude, pulsando, da prospettive panoramiche o teoriche ad approfondimenti strettamente monografici o applicativi, da ricostruzioni storiche a letture del presente: quasi che il motto “provando e riprovando” che Carlo Ossola ha richiamato in conclusione del percorso lo descrivesse, in realtà, per intero e suggellasse l’esperienza di umanesimo in atto che, pur nei suoi limiti, l’evento ha rappresentato.

Il lettore troverà nell’intervento introduttivo del cardinal Ravasi un vero e proprio giro d’orizzonte sulle sfide dell’antropologia contemporanea, che fin dal primo momento ha situato molto in alto l’enjeu dei successivi dibattiti. Seguono alcune riflessioni di carattere storico, storico-sociale, teologico e pedagogico che esplorano il contributo del magistero della Chiesa o di un pensiero di ispirazione cristiana a questioni e ferite aperte del mondo presente: i diritti umani (Claudio Rolle), la liberazione del povero (Rodrigo Polanco), l’emergenza educativa (François Moog), la cittadinanza globale (Federica Caccioppolla), l’ecologia (Jeyver Rodríguez).  L’umanesimo, vien fatto allora di dire, sarà incarnato nella storia, “embarqué”, o non sarà. Ma un blocco di saggi filosofici rimette in questione i fondamentali, rivisitando la storia delle storie dell’umanesimo (Giuseppe Tognon), le grandi “querelles” novecentesche (Jérôme de Gramont), i fili di umanesimo attraverso la trama della decostruzione dell’umano (Domenico Cambria), il rovesciamento del binomio fragilità/forza come in Simone Weil (Francesca Simeoni), i grandi dialoghi a distanza come quello tra Nussbaum e Ricœur (Kamila Drapało). E su questi dibattiti si proiettano le luci del possibile che vengono da altri linguaggi: linguaggi artistici e letterari (Beatrice Venanzi), linguaggio mistico (Alessandro Vetuli), tutti accomunati dal primato di quella dimensione simbolica che potrebbe essere al centro di un nuovo paradigma e rimettere in moto la fragile idea contemporanea di umanesimo (Stefano Biancu).

Fragilità o opportunità? Declino o tempo favorevole? Nel cercare una risposta conviene custodire tutta la densità di quel motto che proviene dalla poesia teologica di Dante prima di esser fatto proprio dalla scienza moderna: “provando e riprovando”, cioè non solo continuando a cercare, ma esercitando il diritto di giudicare e la capacità del discernimento.

 

Stefano Biancu e Benedetta Papasogli

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