Abbiamo ancora bisogno, oggi, della poesia? È una domanda alla quale rispondere può apparire allo stesso tempo estremamente semplice ed estremamente complesso. Da un lato sembrerebbe infatti evidente, addirittura naturale, affermare che l’essere umano abbia necessità di poesia in qualunque punto esso si collochi all’interno della scala evolutiva; dall’altro la questione pone in essere interrogativi ulteriori, e più radicali, che inevitabilmente si scontrano con il contesto di un mondo cosiddetto civilizzato e ipertecnologico, almeno per quella parte – sempre maggiore – che si trova nella propria esperienza quotidiana a utilizzare, da fruitore quando non da sottomesso, strumentazioni che alimentano ma anche rideterminano, e a volte pesantemente, la vita quale oggi la conosciamo. Abbiamo quindi bisogno, oggi, in un mondo che sembra quanto mai prometterci ogni cosa come alla portata dei nostri desideri, di un oggetto così povero e “inutile” come la poesia? (E dico “inutile”, giacché la sua funzione e la sua stessa esistenza non sembrano essere di alcuna utilità apparente e immediata). Forse la poesia ha perso davvero, oggi, quel suo carattere specifico, caratterizzante delle favole antiche, che consentiva agli esseri umani di trovare piena rispondenza, nel mondo, del proprio mondo, e già Leopardi si rammaricava, denunciandola, di questa lacerante dismissione. Ma se davvero fosse così, la causa di ciò si troverebbe nella poesia in sé stessa o piuttosto risiederebbe nei rapidissimi cambiamenti sociali e tecnologici che possono rischiare di farci scambiare, come un appariscente belletto, ogni baluginio lontano per una pepita d’oro?
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