Non c’è dubbio che i dispositivi e i sistemi basati sull’uso dei codici discreti, o digitali, abbiano rappresentato un punto di svolta epocale, non soltanto sotto il profilo tecnico, ma anche dal punto di vista culturale, sociale, politico e psicologico. Con la libertà limitata, ma rasserenante, che ci concedono le convenzioni, si può indicare nel 1980 un discrimine assurto in breve tempo a una perentorietà quasi assoluta, salvo poi attenuarsi verso forme più sfumate e accettabili. Quelli nati prima del 1980 sono dichiarati “immigrati digitali” e sono destinati a restare per sempre stranieri in un territorio alieno fondato sull’informatica; mentre quelli nati dopo quella data sono considerati “nativi digitali”, aborigeni del computer e di internet, cittadini del ciberspazio sottoposti fin dalla nascita a dosi massicce di tecnologia digitale. Naturalmente non si tratta solo di una differenza anagrafica: i nativi sono portatori, rispetto agli immigrati, di certe peculiarità dovute in sostanza all’esposizione precoce e massiccia alla tecnologia dell’informazione e comunicazione: telefoni cellulari più o meno attrezzati, videogiochi, computer di vario tipo, oltre al capostipite di tutti i dispositivi muniti di schermo, il televisore.
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