L’economia si definisce “sostenibile” quando consente di raggiungere lo sviluppo e la crescita nel rispetto dell’umanità e dell’ambiente. La finanza può essere definita tale quando a sua volta supporta un’economia sostenibile. Sono definizioni evidentemente molto semplificate, ma è tuttora difficile riportarne una esaustiva poiché si tratta di un tema in divenire, i cui confini non sono ancora chiaramente delineati.
Con questo breve scritto intendo soffermarmi a riflettere sulla posizione assunta dalle banche e dalle istituzioni finanziarie nel processo di trasformazione in atto, tanto nei paesi con economie più “avanzate”, quanto in quelli che si è soliti definire, con una certa imprecisione, “emergenti”.
Quella che segue non vuole certo essere un’analisi delle responsabilità etiche di tali istituzioni. Le banche sono espressione dell’umanità del loro tempo, come ogni altra entità (enti e istituzioni, pubblici e privati), sia essa economica e/o sociale (scuole, ospedali…). La finanza, per quanto astrusa, complessa, ostica, è anch’essa un’attività umana. Ed è proprio in un ambito percepito come avverso che è necessario soffermarsi a riflettere su cosa significhi realizzare – o almeno perseguire – obiettivi sostenibili, come definiti dalla normativa internazionale e nazionale e dalla prassi che si va diffondendo.
Come il passato ci ha mostrato, anche le banche possono cadere in comportamenti inadeguati, eticamente discutibili, ma, oltre a svolgere un’essenziale funzione di intermediazione, esse sono ora chiamate ad assumere un ruolo primario nel controllo e nella guida di taluni profili sociali ed ambientali.