La valvola della necessità risveglia la presenza dello Stato come Stato essenzialmente amministrativo e su questa base vanno ripensati i fondamentali dell’amministrazione. Proprio nell’emergenza pandemica, nonostante la crisi sia gravata sul sistema amministrativo, è mancata un’idea di fondo di amministrazione: buona parte della gestione dell’emergenza è stata di fatto delegata a forme di amministrazione parallela, spesso appaltata a privati.
In questo quadro frastagliato e indefinito è il neoliberalismo amministrativo come “emergenza” costante che meriterebbe maggiore attenzione. A differenza del paradigma moderno della sovranità, infatti, nel dispositivo governamentale l’emergenza è la strutturazione della quotidianità nell’ottica dell’imprevisto governabile, risolvibile: tale tecnica governamentale diviene, così, un «gigantesco generatore di eccezioni». Lo studioso di diritto amministrativo deve, quindi, prendere consapevolezza di una sua rinnovata centralità critica.
Finora si è ritenuto, non senza una certa ragione, che – per lo studioso di diritto amministrativo – l’integrazione europea non abbia posto, almeno fino alla sua crisi recente, problemi “esistenziali”, stante la funzione “servente” e “tecnica” che a tale disciplina poteva attribuirsi. Diversa è stata l’esperienza del costituzionalista, che spesso si è dovuto porre il problema, specie dopo la crisi economica, della configurabilità di un nuovo diritto pubblico europeo dell’economia. Per l’amministrativista mainstream ha, invece, prevalso per lungo tempo una sorta di cattiva coscienza o, se vogliamo, di cupio dissolvi, corollari dell’idea dell’efficienza del common law e della speculare inefficienza del civil law, come si ricava dai Rapporti Doing Business predisposti dalla Banca mondiale.
In questo senso mi sembra utile riflettere sulle “invarianze” rappresentate dalla regolazione sperimentata durante il COVID-19, destinata probabilmente a rinnovarsi con le riforme che si attendono dall’attuazione del PNRR.