Grande protagonista della scena politico-sociale degli ultimi mesi è senza dubbio il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un programma di riforme e interventi senza precedenti avviato dal Governo al fine di accedere alle risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione europea con il Recovery and Resilience Facility, perno della strategia di ripresa post-pandemica finanziata tramite il programma Next Generation EU.
Il Piano copre i più diversi settori, spaziando dalla digitalizzazione del sistema produttivo, al turismo, all’agricoltura e all’economia circolare. Tra le sei missioni contemplate dallo stesso, particolare attenzione è riservata al processo penale, che viene individuato quale settore decisivo per il raggiungimento di quegli obiettivi di efficientamento fissati dalle autorità europee.
Invero, attesi gli intuitivi riverberi che il PNRR determinerà sul piano del sistema penalistico, non c’è dubbio che esso costituisca l’occasione per realizzare quel radicale ripensamento del sistema anzidetto, quale volano per una riforma oltremodo necessaria, che già da alcuni anni costituiva oggetto del più ampio dibattito scientifico.
In tale cornice si inserisce la pubblicazione della L. 27 settembre 2021, n. 134, (Delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), che si configura come una delle prime riforme organiche in materia di giustizia penale, di poco successiva alla riforma gemella in tema di giustizia civile, varata nel mese di settembre e in discussione alla Camera.
A bene vedere, la riforma della giustizia penale, da questo momento riforma Cartabia, costituisce l’effetto di una doppia spinta centrifuga: se da un lato essa è figlia della necessità di soddisfare gli obiettivi del PNRR, dall’altro la stessa è il prodotto in un dibattitto di fondo assai più ampio e antecedente rispetto ai problemi generati dalla pandemia.
La riforma Cartabia si innesta, invero, nel solco già tracciato dal progetto di riforma a firma dell’ex Ministro Alfonso Bonafede (AC 2432 del 13 marzo 2020) e dei lavori della commissione Lattanzi, strutturandosi, nella sua veste formale, come un emendamento al disegno di legge Bonafede. La Legge delega porta, dunque, con sé una pesante eredità, non solo in termini di dibattito teorico, ma anche di opportunità politica; come la dottrina più autorevole non ha mancato di evidenziare, è stato proprio grazie all’assai peculiare contesto politico, a una maggioranza composita e dalle più diverse posizioni, che riflette visioni diverse in tema di diritto e processo penale, che la riforma è potuta arrivare in porto. Nei suoi contenuti, essa si presta ad affrontare direttamente i nodi gordiani sottesi al processo penale, non limitandosi a “tagliare i tempi” attraverso mere modifiche in tema di prescrizione.
In via generale, a voler utilizzare il titolo della più recente opera del premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman e dei professori Olivier Sibony e Cass R. Sunstein, la riforma del processo penale mira a ridurre il rumore del sistema, ossia la dispersione casuale, tutti quegli errori cioè che ne minano l’efficienza complessiva. Allo stesso tempo, la riforma Cartabia prende in carico quello che, nonostante i problemi evidenti e i moniti della dottrina sostanziale e processual-penalistica, è stato trattato come un problema del laggiù, certamente grave e impegnativo, ma che non toccasse risolvere nell’immediatezza.
Il PNRR, dunque, costituisce l’effetto di tali spinte nella loro interezza, dando l’impulso per realizzare un cambio di paradigma sotto il segno dell’efficienza e per trovare un adeguato bilanciamento tra le esigenze della ragionevole durata e le garanzie fondamentali per l’imputato e per la persona offesa.