Il cinema ha fin dalla sua nascita la capacità di rendersi, consapevolmente o inconsapevolmente, testimone dei propri tempi o, ancora, specchio in cui la società può riflettere su sé stessa, sulle sue ansie e paure come sui suoi sogni e i suoi desideri.
L’occhio del Novecento, infatti, come lo ha giustamente chiamato Francesco Casetti, già con i fratelli Lumière, gli inventori della macchina cinematografica, dispiega il suo potenziale di registrazione della realtà: i film Lumière erano e sono la perfetta documentazione della Francia della Belle Epoque, della società europea che ancora non ha conosciuto l’orrore delle guerre mondiali e che guarda con ottimismo al futuro, credendo fermamente nelle nuove tecnologie e nel progresso che queste porteranno con sé.
D’altro lato, anche l’altro grande cineasta francese dello stesso periodo, Georges Méliès, pur realizzando film diametralmente opposti ai “documenti” realistici, sorta di quadri impressionisti in movimento, dei Lumière, ci mostra attraverso le sue pellicole di finzione, storie di avventure, di magie e illusioni, di fantascienza (il famoso Voyage dans la lune, 1902), come anche queste opere siano intrise dello spirito dell’epoca e ne raccontino le attese e le speranze.
Dunque è fin dalle origini che il cinema, nelle opere degli inventori del cinematografo, i Lumière, e in quelle del creatore del cinema vero e proprio, Méliès, secondo la nota distinzione dello storico Edgar Morin, mostra la sua natura profondamente “testimoniale”, la sua vocazione a farsi voce dei propri tempi, interpretandone gli umori e mettendone in evidenza le caratteristiche.
Naturalmente non bisogna mai dimenticare che si tratta di una testimonianza parziale, che viene cioè da un punto di vista, quello del regista, quello della macchina da presa, che sceglie di raccontare una storia piuttosto che un’altra, inquadrare una certa porzione di realtà e non quella attigua. Dunque, il cinema è sì il testimone privilegiato dei propri tempi, ma non va considerato come un documento completamente obiettivo, è un documento “filtrato” come osserva lo storico Pierre Sorlin, che va analizzato, studiato e inquadrato adeguatamente.
Questa breve premessa era necessaria per spiegare come, ancora oggi, il cinema ci permetta di leggere, attraverso le storie che racconta, i tratti della nostra contemporaneità, ne esprime la cultura, le mode, i costumi, la filosofia del vivere e del pensare, la spiritualità. Ogni pellicola è una grande o piccola opportunità che ci viene offerta per comprendere la realtà che stiamo vivendo e farci porre delle domande in proposito. A questo riguardo, pensando ai tempi drammatici che stiamo attraversando, il cinema può darci una mano per tentare di decifrarli, per suggerire possibili soluzioni, per immaginare scenari futuri.
C’è un genere, in particolar modo, che si adatta al nostro presente: è quello della fantascienza. I film che appartengono a questo filone, infatti, sono quelli che più spesso hanno immaginato un futuro difficile per l’umanità e la conseguente risposta messa in atto da essa per rispondere alla catastrofe. Sono apologhi sul nostro futuro, che però sapeva tanto di presente, e che oggi, in maniera drastica e improvvisa, lo è diventato.
I film di fantascienza, non tutti naturalmente, bensì quelli che potremmo definire distopici o catastrofici sono sempre stati, a mio avviso, “favole morali” con cui si ricordava a noi umani di non perdere mai di vista la nostra umanità, di non sacrificare tutto alla tecnologia e alla economia, di rispettare la natura e non sfruttarla, altrimenti il futuro che ci aspetta sarebbe stato quello descritto dentro le pellicole.