Munera 2/2022 – Laura Palazzani >> Umanesimo tecnologico

Se nel passato la bioetica si è occupata, nell’ambito del progresso scientifico-tecnologico, della invasività della tecnologia nel corpo e nella mente (discutendo proporzione e sproporzione nella cura del paziente), del rapporto uomo-animale e uomo-ambiente, oggi è al centro della discussione filosofica l’ambito delle tecnologie emergenti, della “nuova ondata tecnologica”, del rapporto uomo-macchina e del potenziamento umano. Alla luce dell’esponenziale evoluzione delle tecnologie della robotica e dell’intelligenza artificiale (IA) – per esempio, nella forma del cosiddetto apprendimento automatico o machine learning e dei sistemi di deep learning, in cui i passaggi intermedi tra dati di input e quelli di output non sono conoscibili nemmeno dai programmatori, né in generale sono comprensibili dalla mente umana–, emerge l’interrogativo: potrà una macchina agire e pensare come l’uomo? Si tratta di un interrogativo tecnico, se per “possibile” si intende “tecnicamente realizzabile”, ma non è di questo che si occupa la filosofia. La domanda della filosofia è antropologica: l’uomo è riducibile a macchina? Ammesso che la macchina possa diventare tecnologicamente simile all’uomo, è bene che “la macchina diventi umana” o “l’uomo diventi macchina”?

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