La coscienza di una possibile fine del mondo non è nuova: essa ha abitato lo spirito degli uomini a più riprese. Ma ha incontestabilmente assunto ampiezza nel corso del XX secolo, alimentata dagli orrori di due guerre mondiali, di genocidi senza precedenti e di terrori totalitari su larga scala, così come dalle inquietudini che provengono da tecnologie che assommano minacce nei confronti dell’umanità. In questo modo, dalla fantascienza alla volgarizzazione scientifica, passando per la filosofia e la teologia, i discorsi sulla fine si moltiplicano e prospettano differenti scenari possibili: guerre, epidemie, inverno nucleare, catastrofe ecologica, collisione con un meteorite, etc. Le visioni della fine abitano anche l’immaginario dei pittori. Trionfo della morte (James Ensor, 1896), Paesaggio apocalittico (Ludwig Meidner, 1915), Apocalisse del nostro tempo (Frans Masereel, 1941), Inferno (Max von Moos, 1955), Paesaggio barbaro (Enzo Cucchi, 1982): questi pochi titoli bastano a illustrare l’onnipresenza dell’apocalisse nella pittura del XX secolo.
Come vedremo, anche l’opera di Friedrich Dürrenmatt (Konolfingen 1921-Neuchâtel 1990) è abitata da questa apocalisse moderna, tanto nei suoi testi quanto nei suoi disegni e nelle sue pitture.