In questa breve nota vorrei cercare di abbozzare una risposta provvisoria alla domanda: che cosa si attende papa Francesco dalla teologia e dai teologi? Risponderò a partire unicamente da ciò che egli ha scritto nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013). Non perché questo documento sia sufficiente di per sé ad elaborare una risposta dettagliata, ma perché Francesco ha avuto più volte l’occasione di dire che il testo dell’Evangelii Gaudium è, in qualche modo, la carta fondamentale del suo pontificato, il documento al quale ritornare di volta in volta per comprendere il senso delle sue azioni e quindi mettersi in un atteggiamento di collaborazione.
Il testo riprende e sviluppa – citandola abbondantemente – l’Esortazione di Paolo VI Evangelii Nuntiandi (8 dicembre 1975). In entrambi i casi, troviamo già nel titolo la parola Evangelium e ciò di cui si parla è il suo annuncio, la sua diffusione, l’evangelizzazione. Come se – e questo è il punto su cui vorrei porre l’attenzione – il criterio fondamentale della dottrina della fede fosse la conformità al Vangelo, senza negare le acquisizioni del passato, custodendone al contrario la memoria, ma senza esservi legati in modo rigido. Se è così, la teologia non troverà forse il suo statuto, il suo campo d’azione, i suoi limiti e la sua definizione come “servizio di evangelizzazione”, sia all’esterno sia all’interno della Chiesa?