Munera 3/2021 – Luigino Bruni, Paolo Santori >> «Non vertù ma mercatantia». Tommaso d’Aquino e Dante Alighieri sull’economia del loro tempo

Da sempre il buon economista, anche quello che non ha mai saputo di esserlo, tiene fede a due convincimenti fondamentali. In prima istanza, che il mercato non è uno spazio estraneo agli altri luoghi della vita in comune, un regno dell’avidità da contenere, se non da bandire, all’interno della città (civitas), mentre altrove (famiglia, società civile, politica) viene promosso il bene comune. In seconda istanza, che la legge fondamentale del mercato è il mutuo vantaggio, ma che proprio questa legge chiede di andare oltre sé stessa fino a riconoscere un sostrato di gratuità e fiducia alla base di ogni transazione economica. Il buon economista sa che le donne e gli uomini possono perseguire i propri interessi mentre intenzionalmente si curano degli interessi della parte con cui stanno scambiando o producendo e, così facendo, contribuiscono al bene della società in cui vivono. Epoche differenti hanno chiamato in maniera diversa l’intenzione economica verso il bene comune: «amore per la gente del mondo» (Francesco di Marco Datini, XIV-XV secolo), «forza diffusiva», «amore per la spezie» (Antonio Genovesi, XVIII secolo).

Tra i buoni economisti ci sono gli economisti civili. L’economia civile non è solo una tradizione italiana di pensiero economico del XVIII secolo, ma è un atteggiamento verso il mercato e la società che ha contraddistinto personaggi delle epoche più disparate.

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