Un vero dibattito sul diaconato delle donne, con un grazie a Massimo Nardello


Caro Massimo,

come dici bene nella tua risposta, non è facile che in teologia si aprano veri dibattiti. Spesso è più semplice o il silenzio, o la mormorazione. In questo caso la parrhesìa ha prevalso e non è entrata nel corto circuito, sempre possibile, del risentimento. Quando si chiede ragione all’altro, non è raro che l’altro si senta solo frainteso e attaccato. Se prevale il credito verso le ragioni dell’altro, allora inizia un confronto vero. Questo può essere un servizio prezioso per tutti. Per questo riparto dalle tue affermazioni per identificare una serie di “cautele teologiche”. Sì, voglio proprio parlare del modo con cui i teologi possono far uso della loro prudenza, nel senso più vero e più alto del termine.

Concordo in pieno con la prima preoccupazione che esprimi, ossia quella che riguarda le “argomentazioni”. Molto spesso si esprime un parere, su questioni che riguardano la tradizione ministeriale, con motivazioni di corto respiro(1). Per questo, insieme ad altri 5 teologi (3 teologhe e 3 teologi) abbiamo scritto un volumetto, che uscirà tra due settimane da Queriniana, dal titolo Senza impedimenti. Le donne e il ministero ordinato. In questo volumetto di sole 180 pagine, provvediamo ad istituire, in modo franco e competente, un esame accurato del “magistero sulla donna autorevole” mostrando, dall’interno, la debolezza delle argomentazioni con cui si prova a difendere la “riserva maschile”. Sul piano biblico, patristico, canonistico, ecclesiologico, dogmatico e sistematico. La cosa interessante è proprio questa: non si tratta di “cedere alla modernità”, ma di “vedere il pregiudizio che ha segnato la tradizione, da Tertulliano, a Tommaso d’Aquino, a Von Balthasar. Liberare il magistero da questi pregiudizi significa abilitare anche le donne ad essere capaci di autorevolezza vera nella Chiesa. Va detto che su questo la letteratura femminista è piena di perle che i teologi possono anzitutto riconoscere e integrare nei loro ragionamenti. Una “cautela” importante è andare fino in fondo alle argomentazioni, senza fermarsi alla superficie. L’unica prudenza vera è chiamare le cose con il loro nome, mostrando con chiarezza la inconsistenza degli argomenti classici sul tema.

Questo modo di portare alla luce le debolezze del magistero cattolico dal 1976 ad oggi può dare nuovo fiato alla grande intuizione di Giovanni XXIII nel 1963: dare riconoscimento alla donna nello “spazio pubblico”. Questo, proprio come “segno dei tempi”, è un contenuto della tradizione che deve emergere in modo nuovo, perché nella storia un certo “complesso di superiorità maschile” lo ha compresso e talvolta offeso, anche con tutte le migliori intenzioni. Per questo, io penso, non solo non si deve temere che l’accesso delle donne al diaconato posso indebolirlo, ma anzi, si può pensare che possa essere la occasione migliore per rilanciarne il profilo ecclesiale e personale. Il fatto che ora tu dica molto più chiaramente che sei favorevole alla integrazione delle donne nel ministero diaconale, mi permette di capire meglio le tue “cautele”. Tu specifichi che non si tratta di ritardare questo accesso prima di aver chiarito meglio il terzo grado del ministero ordinato: questa era una argomentazione che ho sempre ascoltato, anche da grandi teologi, e che nel tempo mi convince sempre meno. Talvolta la ascolto anche dalle dirette interessate alla ordinazione: essa suona, più o meno così. Prima riformiamo ministero ordinato e diaconato, e poi le donne potranno entrarci. Altre volte il ragionamento è anche più pesante: prima liberiamo il ministero dal clericalismo e poi lo apriamo alla donna, perché anch’essa non diventi clericale. In realtà questi ragionamenti sono frutto di “idealizzazioni” e contengono una certa dose di idealismo e di unilateralità. Sia chiaro: non significa che le donne possano oggi accedere al migliore dei ministeri possibili. Senza un accurato lavoro di ripensamento della istituzione, tutto potrebbe restare in superficie e non incidere né sulle quantità né sulle qualità del ministero. Ma è evidente che la apertura alle donne sarebbe uno dei passi concreti e tangibili di questo rinnovamento della istituzione ministeriale. Il fatto che cada la “riserva maschile” al grado del diaconato del ministero ordinato sarebbe una nuova autocomprensione del ministero, una tappa fondamentale del suo possibile rinnovamento e della conseguente riforma della Chiesa cattolica, di cui da 60 anni abbiamo bisogno.  Una cautela teologica è perciò capire i limiti strutturali e istituzionali di una “riserva maschile” che non trova più argomenti degni di questo nome, se non in ricostruzioni storiche unilaterali o in irrigidimenti autoritari dotati della pretesa di poter restare senza motivazioni teologiche e addirittura con la presunzione di impedire agli altri di fornirne di migliori.

Caro Massimo, anche grazie al garbo della tua risposta credo che oggi sia possibile un avanzamento comune della coscienza ecclesiale italiana sul tema. Forse è venuto anche il momento in cui di questa tradizione in movimento si riconosca che le donne stesse siano abilitate a parlare, visto che la “riserva maschile” ha coperto finora solo la ordinazione, ma non la “cultura teologica” né la “responsabilità comunitaria”, dove le donne, esattamente come gli uomini, da 50 anni sono riconosciute in tutta la loro autorità formale. E come tali hanno prodotto fior di testi (2), dei quali spesso neppure ci siamo accorti, né come teologi né come pastori. Anche per questo io credo torni di grande attualità la osservazione che Giovanni XXIII allegava ai “segni dei tempi”, tra cui quello della donna nello spazio pubblico, quando diceva:

“In moltissimi esseri umani si va così dissolvendo il complesso di inferiorità protrattosi per secoli e millenni; mentre in altri si attenua e tende a scomparire il rispettivo complesso di superiorità, derivante dal privilegio economico-sociale o dal sesso o dalla posizione politica”. (Pacem in Terris, 24)

  1. Su questo aspetto mi sono soffermato negli ultimi due anni con due testi che ricostruiscono sia la storia delle principali argomentazioni a favore della “riserva maschile” (A. Grillo, “Se il sesso femminile impedisca di ricevere l’ordine”. Ventiquattro variazioni sul tema, Cittadella, 2023), sia i limiti del magistero del XX secolo ( Id., L’accesso della donna al ministero ordinato. Il diaconato femminile come problema sistematico, San Paolo, 2024). Segnalo anche l’importante studio generale sul tema della “eguaglianza”: L. Castiglioni, Figlie e figli di Dio. Eguaglianza battesimale e differenza sessuale, Queriniana, 2023.
  2. Solo a titolo di esempio, sul nostro tema: S. Noceti (ed.), Diacone, Quale ministero per quale Chiesa? Queriniana, 2017; C. Simonelli – M. Scimmi, Donne diacono? La posta in gioco, Messaggero, 2016; M. Perroni, Il duplice principio, “Osservatore Romano”, 2/12/2022, p.5.
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