Una “chiesa sinodale” con messa “privata”? Il lessico che non è canone


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Qualche tempo fa era stato P. Sequeri a segnalare, con acutezza, che il nostro tempo ecclesiale usa spesso il lessico del Vaticano II, ma continua a pensare con il canone tridentino. Diciamo in un modo, ma viviamo in un altro. Da un certo punto di vista è inevitabile che sia così. Però è sempre sorprendente quando questa “tensione” o “polarità” balza di colpo sotto gli occhi di tutti. Oggi, a distanza di poche ore, la Sala Stampa del Vaticano ha dato in sequenza due notizie apparentemente poco correlate. Da un lato ha annunciato che il prossimo Sinodo del 2022 avrà per tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Tre ore dopo, si comunica che, a causa della condizione di presidio sanitario che coinvolge anche il Vaticano, “fino a domenica 15 marzo sarà sospesa la partecipazione dei fedeli ospiti alle Messe a Santa Marta. Il Santo Padre celebrerà privatamente l’Eucarestia”. Che cosa c’è di strano? Il linguaggio che “comunica” contribuisce a costruire la realtà. Per questo è evidente che la prima comunicazione usa il “lessico” del Vaticano II, mentre la seconda, forse per distrazione, ricorre al classico linguaggio tridentino. Come se del “celebrare del papa” si potesse dare una comprensione “privata”. Cerchiamo di capire che cosa è in gioco.

La Chiesa, il virus e la messa

Il primo punto su cui voglio soffermarmi riguarda la interferenza che l’epidemia causa al nostro linguaggio. Proprio la “urgenza” ci porta a far emergere la profondità dei nostri pensieri. Siccome non possiamo “stare troppo a pensare” e dobbiamo comunicare velocemente le cose, facilmente facciamo trapelare le nostre più segrete rappresentazioni. Così, da una semplice comunicazione della Sala Stampa riappare, di colpo, la logica preconciliare: la messa è la messa e riguarda il prete. Gli altri possono partecipare o meno. Questo è l’immaginario che ha retto gran parte della presentazione ufficiale della Eucaristia fino a Pio XII. E che plasticamente collocava, nello stesso messale, “prima” la messa senza popolo, e “poi” quella con il popolo. La grande novità che il Concilio Vaticano II ha determinato, e che è entrata più o meno bene nel nostro lessico, ma ancora troppo poco nel nostro canone, è che la messa è anzitutto col popolo, perché è “del popolo con il suo Signore”, e solo in seconda istanza, e secondariamente, può essere “senza popolo”. Ma in un caso, come nell’altro, non è mai “privata”. Può essere con il popolo o senza popolo, ma mai privata. Il lessico lo sa. Il canone non lo sa. E questo è il problema.

La Messa, il virus e la curia romana

Ma c’è un secondo punto che si deve considerare. La Sala Stampa è in Vaticano. E il Vaticano non è il posto ideale per capire che cosa è la “messa con il popolo”. Perché, proprio in Vaticano, si passa molto facilmente, dalla “adunata oceanica” alla “messa da camera”. E la prassi “conciliare” con cui papa Francesco apre le sue giornate con una “messa partecipata” è normale in una parrocchia o in una diocesi, ma non è normale per Roma. Aggiungo anche una mia esperienza singolare. Molti anni fa, uno studente mi ha raccontato, per esperienza diretta, di aver collaborato con una Congregazione romana che è solita affidare incarichi a giovani preti studenti per svolgere pratiche importanti. E nella congregazione lavorano molte decine di giovani preti di tutto il mondo. Ebbene lo studente mi rivelava di essere uno dei pochi che la mattina “faceva la fatica” di trovare una comunità con cui celebrare l’eucaristia. La stragrande maggioranza dei suoi colleghi “celebrava privatamente” prima di iniziare il lavoro di curia. Consideriamo benevolmente, direi esistenzialmente, quanto è facile pensare che il mondo sia fatto “a misura di ufficiale di curia”. Se Dio vuole, non è così.

La messa “privata” e il Sinodo sulla sinodalità

Non sorprende dunque che, sotto la pressione degli eventi, la Sala Stampa possa avere dato la notizia utilizzando un linguaggio inadeguato. Poco male. Anzi bene, perché ha rivelato qualcosa di importante. Il problema è che in diverse provincie ecclesiali, tra cui anche la Curia romana, la messa senza popolo non è la “risposta alla quarantena”, ma la “normalità”. Ed è questo il punto delicato. Se ci sono ambienti per i quali “dire messa da soli” è normale, ogni percorso di “cammino sinodale” nella Chiesa è mero esercizio retorico, appendice eventuale, distrazione per perdere tempo, quisquilia sociologistica, se non cedimento al maligno. Un errore di stampa (diciamo così) è rivelativo. Non è un caso che proprio su questo punto ci sia anche chi, con una certa faccia tosta, ha cercato di ricostruire l’intera “riforma liturgica” come una sorta di “gioco di società” che riguarderebbe soltanto le “messe con il popolo”, lasciando inalterata la “messa di sempre” – quella “privata” – il cui regime sarebbe passato inalterato attraverso il Concilio e la Riforma. Addirittura qualcuno sussurra che oggi, in una Congregazione, ci sia un progetto per fare la “riforma del rito tridentino del 1962”- come se fossimo ancora nel 1963 e la riforma non fosse stata già fatta… Ma per alcuni ufficiali di curia sembra avere senso anche il non senso. E la condizione di “quarantena”, per loro, sembra strutturale. Non hanno bisogno di una epidemia per separarsi da ogni realtà. Umanamente possono essere capiti. Ma niente di più.

Insomma, le buone ragioni per sospendere gli “assembramenti” non mancano. Neppure mancano le buone ragioni per usare le parole migliori per descrivere ciò a cui siamo tenuti, senza imbrigliare pensieri ed esperienze in evidenze pericolosamente lontane da qualunque “cammino sinodale”. Perché non diciamo, ufficialmente, al mattino una cosa e la sera il suo contrario.

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