Una Settimana santa “da museo” e la degenerazione della Commissione Ecclesia Dei
Si è appena concluso il Triduo Pasquale, frutto della mirabile riforma della Settimana Santa, su cui il compianto P. Regan ha scritto pagine indimenticabili (cfr. qui ), quando in rete mi imbatto in queste parole:
“PCED permission for pre-1955 Holy Week”.
Cosi recita il titolo di un post di “rorate-coeli” (qui), noto blog tradizionalista americano. Un chiarimento è subito d’obbligo, perché il linguaggio del titolo è cifrato. Provo a darne una versione italiana più ampia: “La Commissione Pontificia Ecclesia Dei (= PCED) ha autorizzato la celebrazione della Settimana Santa secondo il rito anteriore alla riforma di Pio XII, che è del 1955”. La notizia arriva dagli USA ed è stato Massimo Faggioli a segnalarla tempestivamente ieri, su Fb. Anche il blog praytell aveva dedicato al tema un gustoso post nei giorni scorsi (qui). In sostanza, si tratterebbe di una ulteriore radicalizzazione della contestazione alla Riforma liturgica conciliare, che coinvolge anche le sue “pericolose premesse” sotto il pontificato di Pio XII, il quale, come è noto, ha lavorato sulla Settimana Santa in modo assai accurato e fecondo. Ora accade che queste “autorizzazioni” avvengano però al di fuori della “competenza” che il MP Summorum Pontificum (= SP) attribuisce alla PCED, essendo la possibile eccezione al Messale di Paolo VI riservata soltanto in rapporto al Messale di Giovanni XXIII, del 1962. In questo caso la Commissione Ecclesia Dei amplierebbe arbitrariamente la normativa chiara di SP, creando una situazione di questo genere: si può celebrare secondo il messale del 62 in deroga al 69, ma in questo caso si può celebrare in deroga al messale del 62 secondo gli Ordines della Settimana Santa anteriori alla riforma del 1955. Si tratterebbe dunque di una contestazione del rito del 1962 – quella che un precedente Presidente della PCED chiamava la “grande riforma di Giovanni XXIII – rispetto a cui viene autorizzato l’uso di un ordo precedente.
Prima di esprimere una precisa valutazione di questo atto formale della PCED, vorrei far notare una cosa molto gustosa, ma non priva di correlazioni con quanto abbiamo esaminato finora.
Di per sé la soluzione introdotta da Benedetto XVI con SP, ossia il parallelismo opzionale di diverse forme dello stesso rito romano, aveva avuto due precedenti illustri. Uno più noto, proposto da Mons. Lefevbre, al momento della Riforma Liturgica, perché essa restasse “opzionale” e si potesse continuare a celebrare anche con le forme precedenti. Ma il secondo, e più antico, veniva dal Card. Giuseppe Siri, e fu avanzato nel 1951, proprio all’indomani della prima esperienza di “Veglia pasquale notturna”. In quel caso, dopo aver esposto le proprie critiche al provvedimento di passare dalla veglia “in mane” alla veglia “in nocte”, Siri proponeva a Pio XII di introdurre la riforma come una “possibilità” opzionale, che lasciasse liberi i singoli vescovi e parroci di regolarsi diversamente.
Curiosamente oggi, 70 anni dopo, con ruoli capovolti, da Roma viene una decisione – sia pure ad experimentum e ad tempus, come risulta dalla fonte non ufficiale – di autorizzare l’utilizzo di un rito che nel 1955 era stato autorevolmente e universalmente riformato. Essere immuni dalle riforma – del Concilio o di Pio XII – sembra essere diventato un valore, di cui Ecclesia Dei si fa scrupolosa custode.
Ora, se una cosa è chiara, è che alla luce dello sviluppo storico, liturgico ed ecclesiale sopravvenuto, solo l’Ordo del 1969 garantisce la pienezza di esperienza liturgica, teologica, spirituale ed ecclesiale della Settimana Santa. Già la riforma di Pio XII, che pure intuisce alcuni importanti recuperi storici, resta a metà del guado. Ma addirittura il rito anteriore a Pio XII – quello che diremmo “tridentino puro” – appare, oggi, del tutto improponibile, se non per alimentare una Chiesa ridotta a museo diocesano o a coltivazione di attaccamenti nostalgici al limite della patologia sociale prima che personale.
In tutto questo, come è evidente, la attenzione deve concentrarsi sulla PCED, a proposito della quale si deve osservare quanto segue:
– constatiamo che ha voluto assumere una decisione che travalica le sue competenze e dobbiamo chiederci: a quali controlli è sottoposta o può essere sottoposta? Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – che ne è Presidente – ne è informato? E perché mai una commissione che è nata dalla costatazione di una “afflizione” della Chiesa (Ecclesia Dei adflicta…recita l’incipit del testo istitutivo) è diventata una commissione non di “afflitti”, ma di “affezionati”, che non sono più di freno e di filtro, ma appaiono essere di sponda e di incentivo ad ogni “nostalgia liturgica”? Perché mai i criteri di “assunzione” nella Commissione sembrano essere diventati – o forse sono stati fin dall’origine – una certa simpatia verso quelle “forme” che “affliggevano” la Chiesa? Potrebbe mai una commissione di controllo essere costituita soltanto da coloro che dovrebbero essere controllati? Quis custodiet custodes?
– ma osserviamo anche un ulteriore questione, ossia che la Commissione non riesce a riconoscere il dato prezioso per cui la “forma liturgica” e il “contenuto teologico” sono strettamente connessi e non si possono separare. E’ quasi costretta a operare “come se” le diverse forme liturgiche del medesimo rito fossero indifferenti rispetto al “contenuto dogmatico ed ecclesiologico” che mediano. Deve quasi necessariamente professare una “logica preconciliare” di comprensione della liturgia per svolgere il proprio ministero, che fino a prova contraria deve essere “al servizio” e non “contro” la riforma liturgica.
– infine essa non sembra avvertire che, per il fatto di aver autorizzato una tale prassi difforme anche rispetto al messale del 1962, contribuisce a rendere vane e vuote le affermazioni fondamentali e comuni a tutta la Chiesa che il giorno della epifania vengono universalmente proclamate e che riconoscono il “triduo pasquale” come il centro di tutto l’anno liturgico. Se si autorizza la celebrazione secondo un “ordo” che non ha (ancora) il triduo pasquale – ma ha piuttosto un triduo della passione e un triduo della resurrezione giustapposti – si introduce un elemento di profonda crisi nella comunione ecclesiale. Si rischia di continuare ad affermare la autonomia della Passione dalla Risurrezione, come fece il Card. Ottaviani durante il Concilio, quando affermò: “che la pasqua sia accidentale alla salvezza lo mostrano le parole di Gesù in croce al buon ladrone: ‘oggi sarai con me in paradiso'”. Se si autorizza a celebrare un triduo che è ancora parte del “tempo di quaresima”, e non è ancora Pasqua, si lede il livello più profondo della comunione ecclesiale nel suo stesso centro. Come può una Commissione pontificia non vedere questo enorme errore in ciò che permette di sperimentare? Come fa a non accorgersi dello svarione spirituale, ecclesiale e liturgico che autorizza?
Se un organo, che è nato nel 1988 per risolvere la “questione lefebvriana” e che nel 2007 ha acquisito maggiori competenze dopo SP, oggi arriva a travalicare le proprie competenze e addirittura ad incentivare comportamenti devianti all’interno della comunione ecclesiale, finisce col creare più problemi di quelli che risolve; allora si dovrà concludere che una parte non secondaria di questi problemi sia oggi rappresentato non dalle singole questioni sollevate, ma dalla Commissione stessa. Va detto chiaramente e con molta onestà: una parte non piccola del problema liturgico di oggi è rappresentato dalla inadeguatezza teologica e dalla incompetenza liturgica della Commissione Ecclesia Dei, che risulta incapace di tutelare e di promuovere la continuità della tradizione liturgica successiva al Concilio Vaticano II ed anzi la mina esplicitamente.
Ciò corrisponde, in modo piuttosto singolare, ad una parallela e sofferta gestione della Congregazione del Culto – cui peraltro è sottratta questa delicata “materia liturgica”, sottoposta invece alla giurisdizione della Congregazione della Dottrina della fede. Intorno alla liturgia vi è troppa confusione – certo non attribuibile all’attuale pontificato – e a farne le spese è proprio quel “magnum principium”, quel lineare orientamento alla “partecipazione attiva” del popolo al rito cristiano, che è frutto preziosissimo del Concilio Vaticano II e rispetto al quale spesso si preferisce sostenere o la tutela di “musei pasquali” come questo o la paralisi devota di una assistenza silenziosa al culto. In tal senso la “collaborazione” tra Commissione Ecclesia Dei e settori non secondari della Congregazione del Culto rischia di minare in radice il cammino della Riforma Liturgica, dal centro verso la periferia.
Occorre una svolta seria e serena, che riconosca efficacemente che cosa è centrale e che cosa deve essere lasciato cadere, mettendo energicamente da parte stili curiali poco degni non dico di un “Chiesa in uscita”, ma quanto meno di una Chiesa minimamente interessata al fatto che esista qualcosa al di fuori di sé medesima, del suo piccolo mondo antico fatto di attaccamenti nostalgici e di risentimenti antimoderni.
John XXIII wasn’t too concerned about offending the memory of Pius XII, as he used the pre-55 Holy Week in 1959.
Altra cosa è farlo negli anni 50, altro nel 2018. Purtroppo non potete annoverare Giovanni xxiii tra i reazionari.
Mea culpa. I should not have referred to the whole of Holy Week in 1959, bu the Good Friday service at Santa Croce in Gerusalemme in 1959. That followed the pre-55 rite.
Stiamo andando sempre verso il meglio! Peccato però che stiamo andando al contrario rispetto alla bussola del Vaticano II.
La smania clericale non smette di spegnersi e ogni occasione è propizia per tirare fuori dai musei forme arcaiche e sorpassate. Che tristezza!
In nome di che Dio e di quale Chiesa si fa questa liturgia archeologica anteriore a 1955?
Ma dietro a questo ci sono argomentazioni teologiche o soltanto immaturita psicologiche e affettive?
Central quest!
Buonasera dott. Grillo,
dalla lettura del Suo articolo (e di altri passati) emergono a mio modesto parere una serie di considerazioni implicite ed esplicite, sulla liturgia in particolare e sulla Chiesa Cattolica in generale, che mi muovono a scriverle queste mie brevi considerazioni.
Dalle Sue parole sembra quasi di capire che il Concilio Vaticano II e la successiva riforma liturgica debbano essere letti in contrapposizione ed in rottura rispetto alla precedenti tradizione cattolica quasi bimillenaria, sia in ambito dottrinale sia in ambito liturgico.
Chi pretendesse di affermare la continuità e l’invariabilità del deposito della fede (e della liturgia, sua manifestazione più alta: lex orandi, lex credendi), temo che venga etichettato da Lei, e da chi la pensa come Lei, come “anacronistico”, “pre-conciliare”, “antimoderno”, “medievale”, “oscurantista” et similia.
Emerge, in poche parole, quella “ermeneutica della rottura” che purtroppo è molto diffusa negli ambienti cattolici “progressisti”, se così possiamo chiamarli, con linguaggio improprio ma, penso, comprensibile ai più (Lei stesso ha usato il termine “reazionari” nella risposta ad un post di altro lettore), e che è all’origine della crisi senza precedenti in cui versa la nostra amata Madre Chiesa.
D’altra parte, spesso sono viste come positive molte idee “moderne” che, in maniera subdola, si sono infiltrate nella liturgia e nella mentalità cattolica negli ultimi 50 anni: Santa Messa come “banchetto conviviale” (anzichè riproposizione incruenta del Sacrificio della Croce), partecipazione dei fedeli come “fare” (anziché “contemplare”), enfasi sull’aspetto Pasqua/
Resurrezione (anziché Passione e Crocifissione), Celebrante come “Presidente dell’Assemblea” (anziché Alter Christus) e altre che qui sarebbe troppo lungo elencare.
Cosa ne pensa?
Grazie per l’ospitalità.
Sia lodato Gesù Cristo.
Può leggere decine di post su questo blog fove trova risposta alle sue questioni. La mia è ermeneutica non della rottura, ma della riforma. Che esige alcune discontinuità.
Saluti
[…] el ínclito Andrea Grillo, de quien ya habíamos dado noticia en este blog aquí y aquí, publicó una furiosa crítica al permiso otorgado por la Pontificia Comisión Ecclesia Dei, y tan […]
What a joke!
Now is suddenly – after one decade of spitting – motu proprio “Summorum pontificum” perceived as an important normative text which should be obeyed to the last paragraph!
An excellent progress for you, Mr. Grillo!
Se non si capisce l’italiano, l’ironia diventa non uno scherzo, ma la conferma della propria ignoranza!
Caro prof. Grillo,
voglio muovere alcuni punti in merito alle Sue osservazioni in questo articolo.
1) La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” ha validamente e lecitamente promulgato il decreto che Lei contesta, secondo il criterio ben esplicitato nella lettera di accompagnamento di Sua Santità Benedetto XVI: “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”. E’ inoltre nelle piene facoltà e prerogative della “Ecclesia Dei”, in quanto ufficio delegato dal Sommo Pontefice, agire e derogare in base alle proprie competenze in merito, incluso derogare, se lo ritiene opportuno, il messale del ’54.
2) Dice benissimo: la Congregazione per la Dottrina della Fede (ai tempi nota come “la Suprema”, e non a caso) ha pertinenza in merito, in quanto la cosa più importante all’interno della Chiesa è la Dottrina. Tale spostamento di baricentro si deve però al Pontefice Paolo VI, il quale spostò l’asse del potere dalla dottrina ai corpi diplomatici, con tutte le conoscenze che ben conosciamo.
3) “E perché mai una commissione che è nata dalla costatazione di una “afflizione” della Chiesa (Ecclesia Dei adflicta…recita l’incipit del testo istitutivo) è diventata una commissione non di “afflitti”, ma di “affezionati”, che non sono più di freno e di filtro, ma appaiono essere di sponda e di incentivo ad ogni “nostalgia liturgica” ”
Lei qui non coglie affatto il punto: l’afflizione del testo riguarda lo scisma lefebvriano e non l’uso del messale tridentino, come recita la frase per intero (che riporto ad uso dei Suoi lettori), “ECCLESIA DEI adflicta illegitimam cognovit episcopalem ordinationem ab Archiepiscopo Marcello Lefebvre die tricesimo mensis Iunii collatam, unde ad nihilum sunt omnes conatus redacti horum superiorum annorum ut nempe in tuto collocaretur ipsa cum Ecclesia communio Fraternitatis Sacerdotalis a Sancto Pio Decimo quam idem condidit Reverendissimus Dominus Lefebvre.” (Motu Proprio ED, 1) L'”afflizione” riguarda lo scisma perpetrato da mons. Lefebvre, non l’uso (legittimo) della liturgia tridentina! Non c’è scritto da nessuna parta che la concessione della Santa Messa tridentina debba essere frenata o filtrata dalla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, ma semplicemente che questa nasce in risposta allo scisma della FSSPX (come Lei ricorda più avanti, peraltro)!
4) Le ricordo che ciò che salva non è la Pasqua, prova della Risurrezione, ma il Sacrificio: non è il sepolcro vuoto, ma la croce. E’ vero che “se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1Cor 15,14), ma d’altro canto noi siamo salvati dalla morte in croce di Nostro Signore. Inoltre, non è affatto vero che non esista il Triduo sacro nel rito tridentino.
5) Credo, infine, che gli insulti (vedasi “attaccamenti nostalgici al limite della patologia sociale prima che personale.”) siano il modo peggiore per affrontare in modo “serio e sereno” la questione, ma anzi siano squalificanti ed indici di mancanza di argomenti da parte di chi li porta. Buona notte e Santa Domenica,
un fedele
Il fatto che la afflizione sia limitata da lei allo scisma, e non alla lacerazione di una riforma contestata, qualifica bene il suo intervento come insensibile alla vera natura delle questioni in gioco. Summorum Pontificum è privo di ragioni teologiche serie Buona domenica
Visto che si è parlato di Lefebvre, faccio presente che nel priorato di Rimini della FSSPX la Settimana Santa è stata celebrata secondo le norme di Pio XII (ci sono alcuni video su youtube che lo dimostrano).
Pensate un po’: i lefebvriani, non ancora in comunione piena con la Santa Sede, paradossalmente sono più vicini ad essa rispetto a istituti che questa comunione (almeno formalmente) l’hanno ottenuta.
Chissà se nella sede della commissione Ecclesia Dei se ne sono accorti.
Non è che uno scandalo maggiore diminuisca di molto lo scandalo minore. Resta la improponibili ta di una chiesa che viene divisa nel suo punto centrale.
Chiarissimo professor Grillo,
avrei una semplice domanda.
Perché tutto quest’odio forsennato verso ciò che è bello?
Volete celebrare la settimana santa con riti moderni?
Nessuno ve lo vieta!
Ma perché dovete precludere ai fedeli che apprezzano la bellezza del rito antiquior – che proprio la riforma del ‘55 ha iniziato a scalfire – la possibilità di assistere alle celebrazioni secondo il medesimo proprio nella più Santa di tutte le Settimane e insultarli come archeofili?
Che, forse, chi preferisce Mozart a Nono è archeofilo?!?
Ascoltatevi pure Nono, ma lasciate che chi vuole possa ascoltare Mozart in santa pace.
Beata la pace liturgica e chi se ne fa portatore. Temo che, invece, chi da parecchi decenni a questa parte si è fatto portatore di guerre liturgiche dovrà renderne un giorno conto davanti al Giudice Ultimo.
Ma nell’ottavario dei morti i tanto deprecati tradizionalisti pregheranno anche per costoro.
Buona Settimana Santa 2022 a tutti.
Caro Luca, non siamo davanti a un repertorio musicale o rituale, siamo dentro la espressione di un cammino di esperienza ecclesiale. E’ possibile vivere bene e bellamente la liturgia rinnovata da Pio XII e poi da Paolo VI. Le guerre liturgiche sono quelle sollevate da estetismi nostalgici, non dal Concilio Vaticano II e dalla Riforma liturgica e di tutti coloro che restano fedeli alla Chiesa che si rinnova nella intelligenza dei misteri. Se Dio vuole il delirio inaugurato da SP è finito con Traditionis Custodes. L’odio verso il futuro non rende pacifici i tradizionalisti, ma solo pericolosi. Buon Triduo pasquale, non Buon doppio triduo! Nella storia non si arretra.
Io, nella mia ingenuità, quando andavo a messa pensavo di assistere a un rito celebrato da un sacerdote.
Apprendo ora invece che sarei “dentro la espressione di un cammino di esperienza ecclesiale”.
Sarò all’antica (eppure ho 35 anni, non poco, ma neanche tanto), non capisco però cosa c’entri questa espressione itinerante con la messa.
Tutti finché viviamo siamo in cammino e se siamo cattolici lo siamo come membra della stessa comunità.
La messa mi sembra si debba porre oltre tutto questo. Proprio grazie al rito si dovrebbe aprire per qualche ora ogni tanto nel nostro faticoso cammino il velo del tempo e assaporare un anticipo di quell’incontro con Dio che vivremo quando il nostro cammino sarà terminato.
Altrimenti non capisco che ci vado a fare a messa, per stare in comunità ci sono tante altre occasioni più adatte
Il paragone con la musica (specie quella cosiddetta assoluta) non mi sembra particolarmente improprio, ascoltando Bach, per esempio, un piccolo anticipo di assoluto io personalmente ce l’ho ritrovato.
Dire che il motu proprio di un Papa dalla profonda scienza teologica e liturgica come Benedetto XVI abbia inaugurato un delirio mi sembra ingeneroso. Era un tentativo di trovare una pace liturgica che si fondava su una premessa che TC ha ingiustamente smentito: non può definirsi sbagliato e vietarsi il modo in cui si è pregato per secoli.
Che poi tanti tradizionalisti ne abbiano approfittato per formare e radicalizzare gruppi di esaltati, sono d’accordo.
Ma perché vietare il rito e non correggere pastoralmente i singoli gruppi?
Per me uno dei veri grossi errori di questo tempo è proprio di aver lasciato un rito così bello in mano a piccoli gruppi di esaltati quando invece è un ottimo io che la Chieda tutta dovrebbe custodire e tramandare gelosamente (questo sì che sarebbe essere veri custodi della tradizione).
Quanto al progresso inarrestabile, buon per Lei che ci crede, occhio solo a non finire contro un muro!