Via
V DOMENICA DI PASQUA – A
At 6,1-7; 1 Pt 2,4-9; Gv 14,1-12
Introduzione
Nella V domenica di Pasqua dell’anno A il Signore risorto si rivela alla sua Chiesa come la «via». È questo il tema principale che troviamo nel brano del Vangelo di Giovanni di questa domenica. Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli (At 6, 1-7) troviamo il racconto della istituzione dei «Sette» per il servizio delle mense, cioè l’inizio dello strutturarsi di compiti e ministeri all’interno della comunità cristiana, affinché non venga trascurata la cosa più importante: «la Parola di Dio». Nella seconda lettura (1Pt 2,4-9) l’Autore crea un legame tra Cristo «pietra viva» e i suoi discepoli, costituiti come «pietre vive» di quell’edificio spirituale che è a Chiesa. La seconda lettura, utilizzando l’immagine della pietra che può essere vista in parallelo con quella della vita, crea quindi il legame tra il brano del Vangelo e la pagina degli Atti: la comunità nei suoi ministeri e nel suo servizio alla Parola, diventa prolungamento della missione di Gesù «pietra» e «via».
Commento
Nel brano del Vangelo Gesù sta per tornare al Padre – siamo nel contesto dei discorsi di addio (Gv 13-17) – e dice ai suoi discepoli che essi conoscono la via per raggiungere il luogo dove egli sta per andare e dove un giorno si ritroveranno tutti insieme. A questa affermazione di Gesù, Tommaso reagisce ponendo una domanda: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?».
Il tema della via è un tema molto importante in tutte le scritture ebraico-cristiane. Nell’Antico testamento la «via» è spesso il modo per indicare la Legge, la Torah di YHWH donata a Israele per la sua vita. Il Salmo 1, con il quale si apre il Salterio, parla di due vie la via dei giusti e la via dei malvagi, i reshaim. Anche quando Giosuè entra nella terra dice al popolo che occorre decidersi per la via di YHWH per vivere sulla terra che egli dona a Israele. Ma in particolare c’è un testo dell’Esodo che fa da sfondo al nostro brano giovanneo e in particolare alle domande di Tommaso e Filippo. Si tratta di Es 33,13 dove Mosè chiede al Signore di mostrargli la sua via: «Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca, e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa gente è il tuo popolo». Mosè sta guidando Israele dalla schiavitù dell’Egitto alla terra che il Signore gli dona e chiede a Dio di mostrargli la via, per raggiungere quella terra. Un termine che può indicare sia il cammino fisico, ma anche la volontà, il progetto di Dio. Tommaso pone a Gesù la medesima domanda che Mosè pose a Dio nel deserto: «mostrami la via».
A questa domanda Gesù risponde a Tommaso che lui stesso è la via che i discepoli conoscono e per la quale essi possono giungere al Padre. Gesù risponde: «Io sono la via, la verità e la vita!». Certo tra questi tre termini, per il contesto nel quale si trovano, il tema e il vocabolo ripetuto più volte è quello della «via». Tuttavia, non bisogna dimenticare che nel Vangelo di Giovanni «via», «verità» e «vita» sono termini molto importanti e con un forte senso teologico. Si potrebbe intendere l’espressione di Gesù così: io sono la via della verità e della vita. Cioè i termini «verità» e «vita» servono per specificare il tema della via che è al centro del nostro brano e del testo dell’Antico Testamento a cui il brano si riferisce.
Innanzitutto, Gesù afferma di essere la via della/alla verità. Gesù è via all’incontro con la realtà di Dio che è il contenuto del termine «verità» in Giovanni. Non si tratta tanto di una verità di tipo razionale, ma della realtà di Dio come si manifesta nella vita dell’umanità. In Gv 3,16 Gesù aveva detto a Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». A questo la via che è Gesù risorto conduce la Chiesa: alla scoperta concreta e reale del volto di Dio che si manifesta come amore.
In secondo luogo, Gesù è la via della vita. In fondo non si tratta che di una conseguenza della prima definizione della vita. Se Gesù è la via che conduce alla conoscenza di un Dio che rivela se stesso principalmente come amore, nella vita della Chiesa e dell’umanità questo significa che egli è forza vivificante (Spirito). Sempre nel Vangelo di Giovanni Gesù di sé dice: «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Le due specificazione del termine «via» ci mostrano quindi il ruolo del risorto riguardo a Dio – rivelarne il volto/verità – riguardo all’uomo che nell’incontro con il Padre trova la vita.
A queste parole di Gesù reagisce Filippo con una seconda domanda: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Anche questa domanda ha un parallelo nel testo dell’Esodo a cui abbiamo appena fatto riferimento. È sempre Mosè che parla con il Signore e gli chiede: «Mostrami la tua Gloria!» (Es 33,18). Alla domanda che Mosè rivolge al Signore di mostrargli la sua Gloria, corrisponde la domanda di Filippo rivolta a Gesù di mostrare loro il Padre. Infatti, la «gloria» nella Bibbia è Dio stesso nella sua visibilità, lo splendore della sua presenza che si manifesta nella storia. Chiedere a Dio di mostrare la sua Gloria, significa domandargli di manifestare se stesso.
Alla domanda di Mosè Dio risponde che egli avrebbe visto la sua Gloria, ma solo di spalle. Cioè non direttamente, perché Dio non si può vedere. Questa espressione – «vedere la gloria di spalle» – vuol però dire anche un’altra cosa: Mosè – e con lui il popolo – potrà fare esperienza di Dio, solo «di spalle», cioè solo dal suo passaggio nella storia dell’umanità. Il Dio di Israele è un Dio che si conosce «di spalle», cioè dal suo farsi presenza operante nella storia. Lo si riconosce dalle sue opere, dopo che egli è passato nella nostra vita.
Alla domanda di Filippo Gesù risponde che proprio in lui e alla sua sequela è possibili conoscere il Padre: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuti, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre!». È un tema che ha incorniciato tutta la prima parte del Vangelo di Giovanni: Gv 1,18; 12,45. Anche per il discepolo di Gesù «vedere la Gloria di Dio» è possibile solo di spalle. Cioè è possibile solo nella posizione del discepolo che segue un altro, Gesù, nel quale si manifesta la Gloria di Dio, il suo operare nella storia. È guardando «le spalle» di Gesù, seguendo la sua via, che si può riconoscere la Gloria di Dio. Il discepolo cammina dietro il suo maestro e ne vede solo le spalle; ma è proprio attraverso la sequela di Gesù – «da tanto tempo sono con voi» – che i discepoli possono giungere a conoscere il Padre e alla comunione con lui.
Conclusione
Questo testo, letto alla luce della pagina delle Scritture ebraiche sulla quale è costruito, ci conduce all’incontro con Gesù che nella sua Pasqua è divenuto per noi «via». Anche noi come Tommaso siamo chiamati a passare dalla domanda circa la via all’esperienza della via stessa, che egli toccò con mano la sera del giorno della risurrezione: le piaghe del crocifisso risorto. Lì si può incontrare la via della verità e della vita, per diventare «pietre vive» dell’edificio spirituale della Chiesa.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli