Von Balthasar e la gerarchia dei sessi
Profezia e abuso della distinzione tra principio petrino e principio mariano

“La via regia della semplicità divina e la via della più inaudita illusione corrono parallele nella storia della teologia, in tutti i tempi e in tutti gli sviluppi, separate soltanto dallo spessore di un capello”
K. Barth1
Il magistero ecclesiale, nel pronunciarsi negativamente sulla ordinazione sacerdotale della donna, ha prudentemente tenuto le distanze da ogni “teoria universale” della esclusione della donna dal ministero ordinato. Non ne troviamo traccia né in Inter Insigniores né in Ordinatio sacerdotalis. La questione viene risolta sul piano della “autorità dei dati storici” e sul piano della “mancanza di autorità” della Chiesa di fronte ad essi. La questione è sciolta, in fondo, con un rimando al “mistero della fede”. Per quanto si possa discutere nel dettaglio una tale soluzione, è evidente che essa rinuncia ad una “giustificazione di principio” della riserva maschile.
Altrettanto ovvio è che i teologi, se sono di razza e se non vogliono cadere in una semplice (e sempre fragile) teologia di autorità, provino a “spiegare” il contenuto del depositum fidei. Tra le diverse forme di “teologia della riserva maschile” sicuramente la più elegante e ambiziosa è quella prodotta dal pensiero di H. U. Von Balthasar, che identifica nella “riserva maschile” la traccia di una “struttura originaria” della esperienza ecclesiale, che come tale non può essere superata e vincola per sempre la Chiesa. Ma da dove viene questa intuizione?
La formalizzazione sistematica
Si deve notare che la grande formalizzazione, di cui Von Balthasar è stato capace in tutti i suoi capolavori (come in Herrlichkeit o in Theodramatik) costituisce il suo merito più alto e il suo contributo più potente al rinnovamento del pensiero teologico del 900. Nel suo Solo l’amore è credibile tutta la tradizione cristiana viene interpretata come segnata da due istanze (ontologiche e antropologiche) che attraversano i 2000 anni, fino al manifestarsi di un nuovo compito, nella forma di un primato non dell’essere, né dell’uomo, ma dell’amore. In queste straordinarie e meravigliose “genealogie” del pensiero, Von Balthasar collega tra loro pensieri, opere, eventi in una maniera del tutto sorprendente. Ma, proprio formalizzando, corre sempre grandi rischi: periculum latet in generalibus. Così, in queste catene di autori e di movimenti, di pensieri e di fatti, si possono leggere giudizi ponderati, ma anche idee azzardate e persino affermazione stravaganti. Un solo esempio: egli riesce a far scaturire dal pensiero di Immanuel Kant persino il Movimento Liturgico, che, in nota, può essere ridotto, “sotto sotto”, a mero autocompiacimento dell’uomo nel culto. Questo rischio di semplificazione è intrinseco alla potenza di ogni formalizzazione. Una distinzione assunta come “principio” diventa sia occasione di intelligenza acutissima, sia di semplificazione disarmante.
Una profezia ecumenica
La elaborazione dei “due principi” (petrino e mariano) nasce per Von Balthasar dal desiderio di uscire da una semplificazione: quella che riduce la chiesa cattolica ad un principio istituzionale. Ricondurre la esperienza cristiana non ad uno, ma a due principi, quello istituzionale-petrino e quello carismatico-mariano, permette allo stesso tempo di leggere la propria identità e quella altrui con uno strumento più potente e più duttile. Per questo non si deve negare che questa elaborazione formale, che rende più complessa la lettura della tradizione cattolica, costituisca una obiettiva profezia, mediante la quale il cattolicesimo cambia il modo di guardare a se stesso e alle altre tradizioni. E pone anche le premesse perché le altre tradizioni possano comprendere la ricchezza e la non univocità della tradizione cattolica.
La trasposizione dei due principi “eis allo genos”
Che cosa è accaduto, successivamente? Come non di rado accade alle formalizzazioni, esse possono essere applicate al di fuori del contesto originario in cui sono nate. Anzi, fa parte delle operazioni e delle ambizioni più accese di un grande autore, il fatto di saper spostare le categorie e i principi da un ambito ad un altro. Von Balthasar così ha utilizzato una distinzione elaborata per una “profezia ecumenica”, al fine di giustificare un assetto istituzionale interno alla chiesa cattolica. Ma non solo, ha identificato la figura identificatrice dei due principi (Pietro e Maria) come archetipi non di due forme di chiesa, ma della diversa vocazione dei due sessi e dei due generi. Così “principio petrino” e “principio mariano” si sono trasformati, non più teologicamente, ma direi metafisicamente ed essenzialisticamente, in “principio maschile” e “principio femminile”. Fino a teorizzare una “perenne gerarchia dei sessi” come orizzonte (anche pregiudiziale) di esercizio dei due principi. Qui la formalizzazione è scappata di mano al suo autore e ha iniziato a condizionarlo come un pregiudizio ammantato di sapienza.
Alcune contraddizioni in questo spostamento
Come ho imparato soprattutto da due autori contemporanei (da Marinella Perroni, che ha scritto sul tema varie cose importanti, tra cui quella riportata come post su questo blog [che si può leggere qui] e da Luca Castiglioni, che dedica pagine accuratissime a Von Balthasar nel suo Figlie e figli di Dio. Eguaglianza battesimale e differenza sessuale, Brescia, Queriniana, 2023), in questo spostamento dall’ecumenismo alla teologia del ministero i due principi entrano in crisi, almeno per due motivi:
a) Il primato del principio mariano e carismatico, che è un esito sorprendente della indagine ecumenica, si converte nel primato del principio petrino, come affermazione della perenne gerarchia tra i sessi, riportata sul piano naturale e creaturale. Una distinzione nata per “mettere in movimento” viene utilizzare per “bloccare”.
b) Lo spostamento sul piano “personale e sessuale” dei due principi introduce una sorta di “oblio” anche nella prodigiosa memoria balthasariana. I “principi” non hanno mai un nome e cognome, ma, proprio in quanto principi, sono trasversali rispetto alle biografie, anche dei santi. Non è difficile trovare il principio mariano all’ opera in Pietro e il principio petrino efficace in Maria. La tradizione conosce bene come la competenza petrina sul perdono dei peccati non deriva a Pietro soltanto dal “principio petrino” della potere delle chiavi, ma anche e soprattutto dal “principio mariano” del pianto di fronte alla colpa del rinnegamento del Signore. Il carisma delle lacrime fa miracoli, anche nei maschi. D’altra parte l’accudimento materno che Maria riserva al figlio non impedisce a Paolo di considerarla, nell’unica citazione che le dedica, come il riferimento di un “nascere sotto la legge” che è chiarezza e identità istituzionale, non carisma. Un Pietro mariano e una Maria petrina sono un dato della scrittura che il sistema formale dei principi non sa più riconoscere e tende a cancellare. La idealizzazione ha una componente violenta che le è intrinseca e dalla quale occorre difendersi.
Le distinzioni come semplificazioni
Lo slittamento dalla profezia ecumenica alla apologetica cattolica dei due principi conduce ad una finale considerazione: vi è un effetto paradossale di ogni distinzione teologica. Da un lato essa aumenta la profondità della comprensione, ma dall’altro alza anche il rischio della semplificazione. Una dualità feconda, come la dialettica tra istituzione e carisma, se applicata rigidamente e direi quasi imposta al genere maschile e femminile, finisce per avvalorare sistematicamente un pregiudizio culturale. Che i maschi siano specializzati in istituzioni (anche senza carisma) e le donne in carismi (ma necessariamente senza potere istituzionale) è un esito che si può spacciare per teologia sublime e inarrivabile, ma che si rivela come un pregiudizio lucidato e infiocchettato, in un modo neppure troppo nascosto. Von Balthasar conosceva i rischi della formalizzazione. Può accadere, infatti, che un uso incontrollato di buone distinzioni approdi a forme di cecità, tanto più pericolose perché garantite e coperte da parole troppo sublimi. Von Balthasar sapeva bene ciò che il suo amico K. Barth aveva detto un volta, all’inizio del suo grande testo su S. Anselmo: ”La via regia della semplicità divina e la via della più inaudita illusione corrono parallele nella storia della teologia, in tutti i tempi e in tutti gli sviluppi, separate soltanto dallo spessore di un capello”
1K. Barth, Anselmo d’Aosta. Fides quaerens intellectum. La prova dell’esistenza di Dio secondo Anselmo nel contesto del suo programma teologico, ed. M. Vergottini, Brescia, Morcelliana, 2001, 120: il corsivo è di Barth.
Grazie dott. Grillo, i suoi scritti ci aprono alla speranza.
Gentile Giovanna, io credo che il confronto critico, anche sui temi più delicati, permetta alla Chiesa di compiere quella operazione che Dante descrive come la relazione tra “ciò che non muore e ciò che può morire”. La “riserva maschile” è stata una “struttura istituzionale” che può morire, senza che con questo nulla dela tradizione rivelata possa essere compromesso. Non trovo, neppure nei teologi più illustri, nulla che mi convinca del contrario. Per questo lo dico con tutta serenità, valutando gli argomenti che si mettono sul tavolo, come ho imparato da S. Tommaso d’Aquino. Se gli argomenti che impediscono la ordinazione delle donne non convincono, è giusto creare le condizioni perché esse siano ordinate.
Grazie per la ricostruzione della proposta di von Balthasar e per le pertinenti osservazioni, carissimo Andrea. Il caro von Baltharsar mentre offriva l’opportunità di una importante opportunità alla riflessione della Chiesa attraverso la dinamica positiva tra ministero e carisma, è scivolato pregiudizialmente verso la giustificazione della riserva maschile del ministero. Una domanda: ma ministero e
carisma sono per davvero due cose diverse, oppure la ministerialità si regge sul carisma (o vocazione) e il carisma non tende a sua volta alla ministerialità come sua espresione concreta? Da qui un S. Pietro mariano, ovvero materno e femminile e una S. Maria petrina, ovvero paterna e maschile a chi tolgono qualcosa? Si tratterebbe di una osmosi di grazia differente. Inoltre, parlare di principio, sia esso petrino o mariano, andrebbe chiarito con una chiara explicatio, dato che l’essere principio spetta solo alla Santissima Trinita, comunione di amore, della quale la Chiesa dovrebbe essere “ad immagine”. In questo orizzonte abbiamo bisogno delle duplice dimensione carismatico/istituzionale, ovvero abbiamo bisogno della condizione paterna/materna e maschile/femminile in senso complementare se vogliamo evocare qualcosa della realtà divina, (in questo caso Padre materno/Madre paterna) con tutte le precauzioni che ci impone il procedimento analogico, per intravedere la ‘differenza’ del Nome del Padre, principio della vita divina e della deificazione. Come l’insieme delle migliori espressioni della paternità e della maternità (e della maschilità e della femminilità) possono, seppure con discrezione, lasciarci intendere qualcosa del mistero divino; così l’insieme delle esperienze paterne/materne (maschili e femminili) della ministerialità potrebbe aiutarci a intendere il senso di essa in quanto si compie “nel nome del Padre…”.