Zizek sulla pedofilia: il segreto e il pregiudizio


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Ho letto tutto d’un fiato il piccolo libro di S. Zizek dal titolo: “Pedofilia. Il segreto sessuale della chiesa” (Mimesis, 2019).  Ho scoperto subito che non è un libro, ma una raccolta di 4 saggi piuttosto differenti tra loro e non unificati da un tema. Solo il primo è davvero centrato sul tema del titolo, mentre gli altri, a modo loro interessanti, c’entrano poco e per nulla con il titolo.

Ma queste operazioni di “lancio” hanno sempre una loro ragione, data la fama dell’autore. Ciò che tuttavia mi ha sorpreso è la debolezza del ragionamento di Zizek, la fragilità della sua argomentazione, mescolata alla proverbiale e fantasmagorica capacità di affabulazione. Di fronte al tema centrale del libro, la sua teoria è talmente grossolana e così male condotta da dare piuttosto argomenti a coloro che vogliono “chiudere” la questione, piuttosto che alla giusta considerazione del bisogno di “fare giustizia”.

Meraviglia molto la mancanza di distinzioni che caratterizza il discorso di Zizek. Che certo si pone di fronte alle questioni della pedofilia, riconosce con giusta coerenza che non è possibile ridurre il fenomeno ai casi di “crimine personale” compiuta da membri del clero. Il punto delicato, per tutti, resta quello di accettare che questi crimini siano il frutto anche di cause strutturali, che riguardano i modi di formare e di educare le persone. Se questo fosse il contenuto del libro, avremmo certo trovato nel pensiero di Zizek quella lucidità che così spesso lo caratterizza. Ma se invece Zizek pretende di dimostrare – solo con battute ad effetto –  la “coerenza” della pedofilia con la chiesa cristiana, addirittura con la fede cristiana e con la comprensione di Cristo stesso, allora è chiaro che il filosofo, se volesse avanzare davvero in modo fondato in questo campo, dovrebbe fornire qualcosa di più di vaghe allusioni che derivano o dal fatto che non conosce ciò di cui parla o dal fatto che collega male cose che pensa di conoscere bene.

Facciamo alcuni esempi molto impressionanti. Dopo aver presentato un caso scandaloso, accaduto in Croazia, Zizek ne deduce che: “La chiave sta in questa misteriosa ‘trasustanziazione’, per mezzo della quale la stessa legge che ci fa sentire colpevoli quando commettiamo un peccato ordinario ci impone di commettere un peccato molto maggiore: l’unico modo di vincere il peccato è attraverso un peccato più grande” (p.50). Che cosa è questa? Una elaborazione che Zizek pretende di trarre dalla storia che ha raccontato e che però trasforma in una “legge intrinseca” alla vita ecclesiale, alla fede cristiana, ai vissuti del clero, ma anche alle dinamiche dei laici. Può permettersi di usare il termine ‘transustanziazione’ per avvalorare questi passaggi spericolati? Questo pensiero non è altro che una indebita generalizzazione, che associa in modo forzato dei fatti accertati con una “regola” prodotta arbitrariamente da chi li interpreta. I primi sono certi, la seconda no.

Secondo Zizek questa regola sarebbe provata in due modi: per l’esistenza dell’Opus Dei, che viene immediatamente identificato con la ipocrisia della “mafia bianca”, e poi con i fatti delle molestie sessuali, che sono però chiamati “controcultura”. Qui qualcosa non funziona nel ragionamento. Da un lato si identifica la Chiesa con l’Opus Dei, dall’altro di trasformano i fatti in regole. Qui, dal punto di vista argomentativo, il filosofo resta parecchi kilometri indietro rispetto al dovuto. E lavora non con i giudizi argomentati, ma con pregiudizi indimostrati. Che l’Opus Dei sollevi parecchie obiezioni e che i fatti di una parte del clero siano preoccupanti non è affatto una dimostrazione della sua tesi.

D’altronde, poco più avanti, il testo offre un’altra perla di riflessione, quando dice: “Consentire ai preti cattolici di sposarsi non risolverebbe niente, essi non svolgerebbero il loro compito senza molestare i ragazzini, perché la pedofilia è generata dall’istituzione cattolica del sacerdozio come sua ‘trasgressione intrinseca’, come sua oscena appendice segreta” (p.53)

La invincibile volontà di ridurre la Chiesa cattolica ad una setta segreta, che fa il contrario di quello che dice, non mi pare un grande strategia argomentativa, se non porta le prove di quello che dice. Cavarsela con allusioni o con battute da osteria non mi pare una grande prova di lucidità.

La lettura paradossale della Chiesa, il cui inconscio istituzionale costringerebbe tutti al disordine sessuale, corrisponde ad una cristologia e ad una soteriologia con un fascino del tutto caricaturale. Nel suo ultimo saggio , intitolato “Il circuito distorto della pulsione”, Zizek propone una curiosa cristologia in cui Cristo stesso è alla origine della distorsione: “Cristo, dunque, non è ‘uomo e Dio’: ciò che diviene visibile in lui è semplicemente la dimensione divina in un uomo ‘in quanto tale’… La questione non è che a causa del limite della sua natura mortale e peccaminosa, l’uomo non potrà mai diventare divino, ma che, a causa della scintilla divina che risiede in lui, l’uomo non potrà mai divenire pienamente uomo” (p.100) Una cristologia senza alcuna comunicazione al di là di sé, che determina perciò una soteriologia impossibile, apre lo sguardo parziale e distorto su un cristianesimo come patologica incommensurabilità tra pulsione e desiderio. Ma un Cristo e una salvezza ridotti a caricatura non fondano alcuna analisi convincente. La redenzione cristiana è un mistero non perché sia un segreto che capovolge la santità in perversione, ma perché apre ogni uomo e ogni donna alla pienezza di sé in relazione all’altro e per grazia. Negare questa evidenza della tradizione, e pretendere di capovolgerla nel suo contrario, è una forma della stravaganza, certo, ma anche della non conoscenza.

Il libro, però, attesta una ulteriore e più feconda contraddizione: alla fine pone due questioni veramente serie. Chiede che la pedofilia non sia confinata nella “devianza di singoli soggetti”, ma venga riferita ad una questione istituzionale, ossia a ciò che papa Francesco ha giustamente qualificato come “abuso di potere”, frutto della autoreferenzialità clericale. Che la Chiesa non si possa identificare con il clericalismo autoreferenziale è il vero spazio per una vera contestazione della pedofilia come fenomeno istitizionale. Se si finisce con la disperata identificazione della Chiesa con la sua perversione, non si ha titolo per chiedere di “fare giustizia”. L’unica giustizia consisterebbe nel chiudere in gabbia tutta intera la Chiesa. Il fatto che Zizek oscilli tra la domanda di giustizia “alla Chiesa” e la domanda di soluzione finale “contro la Chiesa” mostra la confusione che rimane nelle sue categorie. E potrebbe essere utilizzato con molta efficacia da chi, dopo averlo letto, si convincesse che non si deve fare proprio nulla, e che è destino che le cose vadano così. Ancora una volta la estrema sinistra finisce con il fare il gioco della destra oscurantista.

Ho letto tutto d’un fiato il libro di Zizek. E per quanto lo abbia letto velocemente, ho perso tempo. Da un filosofo ci si aspetta che usi bene le distinzioni. Nel suo volumetto c’è troppa confusione di livelli e di giudizi, e se si alternano le battute ad effetto con le tentate dimostrazioni, a soffrirne è anzitutto la filosofia e la intelligenza del problema. Anche la Introduzione, che Pierre dalla Vigna ha premesso al testo, non aiuta né a farlo apprezzare né a integrarvi tutto ciò che nel libro manca. E imita l’autore nel procedere, sommariamente, a colpi di pregiudizio. Le questione serie e drammatiche, che riguardano la relazione tra clero cattolico e pedofilia, non si possono affrontare facendo diventare la pedofilia una sorta di “verità ultima della chiesa”, usando solo allusioni o teorie psicologiche di supporto, applicate non a soggetti, ma ad istituzioni. Da un filosofo di razza e da un introduttore solerte ci saremmo aspettati una maggiore considerazione della intelligenza dei lettori e della loro legittima domanda di giustizia verso una istituzione che è da riformare a fondo, non da liquidare e squalificare con risentimento.

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