Cultura civile e teologia (/6): la teologia come scienza (G. Villa)
Prosegue il dibattito con questo nuovo intervento di Don Giuseppe Villa, che ricorda i recenti sviluppi della impostazione della “scuola milanese”, che ha dato e continua a dare un grande apporto in Italia nel dibattito sul tema.
La teologia come scienza
La storia della teologia
La teologia come scienza fu una questione inizialmente posta nel Medioevo, quando cioè ci si interrogò se la parola della teologia, “logia” appunto, possa essere scienza. Se ne interessò San Tommaso d’Aquino, considerandola “scienza subordinata”, per il metodo che il Doctor Angelicus aveva introdotto. All’origine ci stava la figura di Aristotele. Secondo il filosofo greco ci sono due nozioni di scienza. C’è la “teoria della scienza” che esige la risoluzione del pensiero nell’evidenza della metafisica, e inoltre la “teoria della scienza subalternata”, cioè scienza derivata da una scienza superiore. Questa scienza superiore ha in sé i principi della scienza subalternata, la quale quindi non ha in se stessa i principi propri della scienza e ciò nonostante è scienza. I principi, quindi, restano razionalmente indimostrati nella scienza subalternata, perché hanno la loro dimostrazione nella scienza superiore. Tommaso conclude che la teologia è scienza, propriamente subalternata alla scienza che ha Dio; alla scienza di Dio.
La proposta di Leone XIII formulata nella Aeterni Patris intendeva dare alla teologia un metodo scientifico che potesse unificare il sapere teologico e porsi in confronto con il mondo liberale. A questo proposito scrive Ghislain Lafont a seguito della “giornata di studio Attualità del tomismo”, organizzata dall’Accademia cattolica di Francia (Parigi, Collège des Bernardins, 10 settembre 2016): “vorrei proporre che, sì, san Tommaso resti uno dei dottori comuni della Chiesa – il principale se si vuole – ma non il solo. Ciò che ci spetta fare oggi non è del tomismo, ma della teologia”1. A tale proposito, diversi anni fa, scriveva don Pino Colombo: «Per la teologia il riferimento [alla verità] è irrinunciabile; anche se, dopo Heidegger, non può più essere inteso nei termini formali dell’«onto-teologia» e quindi dev’essere ridefinito».2
Una duplice eredità
Due punti però non possono essere trascurati di quel patrimonio teologico. Anzitutto non si può fare a meno del ruolo che l’uomo ha nella questione, di un pensiero teologico cioè che voglia essere scientifico. In effetti, quando l’uomo scrive di Dio, scrive anche di sé. Tommaso ne scrisse secondo la strumentazione che aveva a disposizione, la metafisica del tempo. Noi oggi forse vediamo nella versione tramandata dalla modernità qualche limite del pensiero che “tratta dell’essere come l’ente più grande”, col rischio che, secondo diversi, la proporzione analogica non salvaguardi più la sua trascendenza. In realtà scrivere di Dio è sempre un rischio, anche quando si potesse usare strumenti più adatti. D’altra parte, il rischio opposto è ancora peggiore, quello di tacere di Dio, e quello di isolare Dio nella sua assoluta trascendenza. Il secondo punto è che proprio Dio ha limitato la propria libertà, ha ridotto la sua trascendenza, morendo sulla croce, consegnando così agli uomini una vicinanza sconvolgente e non solo e non tanto per una devozione pietistica. Gli uomini sono chiamati a stare davanti alla croce, al Crocifisso risorto per dire di sé, ossia per dire “la fede che salva” e per dire di Lui, “la fede testimoniale”.
La verità e il suo contenuto. Il riferimento alla verità qui è cruciale per “la fede che salva”: come farebbe infatti a salvare se quella fede non è vera? La fede che salva, cioè, non ha bisogno di un criterio esterno per essere vera: le appartiene come originaria ed è “l’evidenza della fede”. Il riferimento alla verità è la ragione della credibilità della “fede testimoniale”. Come farebbe ad essere una testimonianza, se non fosse credibile? La “fede testimoniale” non si giudica vera con criteri esterni, che coglierebbero solo alcuni aspetti, e non si giudica da sè: la sua verità sta nel riferimento al Signore3. Tale legame gli è indispensabile.
La con-determinazione reciproca
L’orientamento in corso in questi venti anni ha chiuso in diversi ambiti universitari una lettura storicistica di Heidegger4 per evidenziare la questione dell’evento e la possibilità di ragionare su di esso, sui suoi sviluppi e sulle possibili verifiche delle relazioni con le altre forme del sapere. Forse è ancora presto per vedere la maturazione di un legame della teologia con la cultura civile. Occorre ancora un lavoro profondo di disinquinamento linguistico e la capacità e la volontà di distinguere i contenuti dalla forma, dalla “teoria filosofica della conoscenza” (epistemologia), non tanto come “filosofia della scienza”.
La verità e la sua forma teologica. Il lavoro in corso ha dato modo anche alla teologia di elaborare una propria teoria filosofica della conoscenza. Con ciò ha operato uno spostamento anche al suo interno, rispetto all’usuale impostazione degli approcci dominanti in precedenza.
Anzitutto la teologia ha riconosciuto che i diversi binomi (soggetto-oggetto, uomo-Dio …) devono essere ripensati sull’evento in cui si dà un intrico di “con-determinazioni”.5 La proposta si iscrive nell’attuale corso di Teologia filosofica6 che si struttura nel rapporto tra libertà del soggetto e Dio, tale per cui tra i due non viga una relazione concorrenziale, tanto meno una estraneità, ma, al contrario, una relazione nella quale la libertà e la vicenda temporale dell’esistenza umana rimandino a un principio divino che, lungi dal comportare per l’uomo l’impossibilità di decidere da sé e di sé, costituisca anzi la condizione di possibilità della libertà personale, della sua unicità e creatività.
La verità e la teologia pastorale
Sino agli anni precedenti al Vaticano II la teologia pastorale aveva poco spazio nell’insegnamento, ma soprattutto subiva il difetto di un legame deduttivo tra la dogmatica e la pastorale, nel senso che la pastorale era il campo applicativo delle verità della dogmatica. L’aggiustamento di questo difetto ha comportato un ripensamento epistemologico del “fare” e della verità dei soggetti coinvolti nel fare. I luoghi e le occasioni in primo piano di questo “fare” è la liturgia e la celebrazione dei Sacramenti. La Sacrosanctum concilium è il primo documento conciliare, ma, come dimostra l’altro argomento del blog di A. Grillo, continua a stare alla ribalta del dibattito, e soprattutto nel “fare” delle comunità cristiane. L’esposizione continua di questo “fare” segnala che la verità delle comunità sta lì, nel loro celebrare e vivere i Sacramenti, come appunto teologia in atto.
La verità del teologo
All’inizio della “Scolastica” la verità della teologia era un tutt’uno con la verità del teologo. Era una verità non esterna, era invece una “loghia” interna alla “Teo” ed era sintesi interiore del teologo, “loghia” orante. Loghia e sintesi dunque che la teologia trascurerà nei secoli successivi, soprattutto nel periodo della modernità. Anselmo è il primo e il teologo più insistente a praticare tale verità della teologia, non però in qualunque modo. Egli aveva individuato il punto fermo della “Agape Divina”, gratuità perfetta, ma anche Amore che sollecita amore e crea legami. In questa circolarità la “giustizia” ha il ruolo di consentire la possibilità di una beatitudine umana analoga all’Agape Divina. Quello stato di grazia o beatitudine è il risultato di un esercizio continuo della libertà di amare gratuitamente, di ravvedersi e lasciarsi raggiungere dalla misericordia del Signore. Qui la preghiera fa la verità di una teologia.
La valorizzazione oggi di questa unità fa apparire la fede nella sua bellezza, esattamente là dove cerca di mostrare che la bellezza è il modo di mostrarsi della fede e della testimonianza. Mentre il mistero di Cristo, articolandosi nell’unità della con-determinazione tra il Signore e l’uomo, senza una loro divaricazione o assimilazione, fa dell’unità l’articolazione di un’estetica inedita al pensiero occidentale. Si tratta allora non dell’ingenua allusione alla bellezza immanente al divino, ma prima e più ancora della sensibilità di Dio per la bellezza della sua creatura e perciò del principio etico dell’amabilità e dell’abitabilità della vita.
Don Giuseppe Villa
NOTE
1 Si veda: http://www.settimananews.it/teologia/quale-attualita-per-il-tomismo/
2G. Colombo, La ragione teologica, Glossa, 1995, p. 614
3 1 Cor 4, 3A me importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, 4perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!
4 Il lavoro interpretativo è stato dei più faticosi, anzitutto “nell’evidenziare l’evento e di riconsiderare il problema epistemologico. Prendere le mosse da ciò comporta di pensare indicazioni allusive, dietro le quali fanno capolino interessanti implicazioni teoriche, che però lo stesso Heidegger non ha esplicitato e che d’altra parte nemmeno la recezione tradizionale – più incline alla parafrasi del testo che ad una vera ed oculata esegesi – contribuisce a chiarire” (A. Anelli, Heidegger e la teologia, Morcelliana, 2011, pp. 86-87). “Tuttavia la presa posizione
risulta interessante non tanto per ciò che in positivo articola e suggerisce, quanto per quello che intende escludere categoricamente” (A. Anelli, Heidegger e la teologia, Morcelliana, 2011, p. 91).
5 Il termine in corsivo si riferisce alla tesi di D. Albarello nel testo emblematico La libertà e l’evento, Glossa, 2008, ma anche in “Heidegger tra filosofia e teologia”, HUMANITAS, 4, 2013: «tanta con-determinazione da parte della libertà finita dell’uomo, quanta donazione da parte della libertà infinita di Dio» p. 624.
6 Il nuovo corso di Teologia filosofica ha ricevuto un notevole impulso nel confronto e nella revisione delle interpretazioni filosofiche di Heidegger. Si veda G. Noberasco, L’evento escatologico e la ridefinizione della ragione teologica. Sviluppi teologici dell’eredità barthiana, in Humanitas, 4, op. cit.; S. Didonè, La struttura antropologica della fede. Ripensare la teologia filosofica, Glossa 2015.